La cicogna migra a Rimini: centinaia di mamme marchigiane ogni anno partoriscono in Romagna

di ISABELLA CIOTTI

URBINO – Residenti nelle Marche, ma figli della Romagna. E’ Rimini il luogo prescelto da molte future mamme di Pesaro e Urbino per dare alla luce il proprio bambino. Nel 2013, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Agenzia Regionale Sanitaria delle Marche, sono state 300 le donne della provincia che hanno scelto di partorire nell’ospedale del capoluogo romagnolo, il 10% del totale delle pazienti assistite a Rimini. Il motivo principale è, oltre alla vicinanza geografica, la presenza a Rimini della terapia intensiva neonatale per assistere i parti a rischio.

Nel 2014 hanno partorito all’ospedale Infermi 281 donne marchigiane (il 9,2% delle mamme ricoverate), mentre nei primi undici mesi del 2015 le donne che hanno scelto Rimini sono state 230, l’8,4% dei ricoveri in Ostetricia e ginecologia.

Nel caso di Urbino, dei 95 bimbi nati nel 2015 e residenti in città, secondo l’Ufficio Stato Civile, il 12% è stato partorito negli ospedali di Rimini, Pesaro e Ancona.

Anche negli ultimi anni – caratterizzati da un calo delle nascite in entrambe le province –  il numero dei parti avvenuti a Rimini è rimasto più alto rispetto a quelli registrati nella provincia di Pesaro e Urbino. Nel 2015 all’ospedale Infermi, unico punto nascita della provincia romagnola, sono state assistite 2.983 mamme, contro le 2.413 ricoverate in totale nei tre centri di Urbino, Pesaro e Fano: quasi 600 pazienti di differenza a favore di Rimini che possiede un solo punto nascita e ha quasi 30.000 abitanti in meno.

Rimini, più vicina e più sicura. La parola chiave per comprendere la migrazione delle mamme verso la riviera è Tin – Terapia intensiva neonataleè il reparto di rianimazione destinato ai bimbi nati prematuri o con specifiche patologie diagnosticate già durante la gravidanza. A Rimini c’è, a Urbino, Pesaro e Fano manca.

Niente di strano: i tre punti nascita marchigiani sono centri di primo livello, che normalmente assistono donne con gravidanze a basso rischio e quindi non devono essere dotati di una rianimazione neonatale. Accade però che qualche futura mamma, pur non riscontrando alcun problema nel corso dei nove mesi, scelga comunque di partorire in un centro di livello superiore. Delle 281 donne marchigiane “migrate” in Romagna nel 2014, solo 65 hanno avuto complicazioni o sono state sottoposte a cesarei. Nel 2015, 177 delle 230 mamme arrivate a Rimini dalle Marche hanno avuto un parto naturale e senza complicazioni.

“È un’idea sbagliata, un falso mito – sostiene il primario di Ostetricia e ginecologia di Pesaro, il dottor Alberto Marabini – la verità è che meno dell’1% delle donne in dolce attesa ha necessità di una terapia intensiva neonatale. Quanto al rischio di un parto prematuro, superato il settimo mese le future mamme possono tranquillamente partorire anche da noi”. La vicinanza geografica di alcuni Comuni marchigiani con il capoluogo romagnolo fa il resto. “Più ci si avvicina al confine, più alta è la probabilità che la paziente scelga di partorire in Romagna”.

Lo conferma il primario di Ostetricia e ginecologia di Urbino, il dottor Enrico Canducci: “Le donne che vogliono stare sul sicuro, anche quando non hanno nulla da temere, preferiscono Rimini, raggiungibile da qui in un’ora di macchina”.

Ma sarebbero le stesse neo-mamme, secondo Marabini, ad ammettere, di ritorno da Rimini, come il ricovero non le abbia pienamente soddisfatte: “Niente da ridire sul personale, ma un reparto che gestisce in genere almeno 3.000 parti, è certamente più caotico dei nostri”.

Marche ed Emilia Romagna: due modelli diversi. L’unico punto nascita di terzo livello nelle Marche è quello di Ancona. E’ lì che vengono indirizzate, prima della scadenza dei nove mesi, le donne con una gravidanza ritenuta a rischio. Ed è lì che vengono trasferite nei casi in cui insorgano complicazioni dopo il parto in un centro di primo livello. “L’anno scorso ci sono stati 8 casi, per la maggior parte parti pretermine – spiega la dottoressa Flavia Allegretti, ostetrica all’ospedale di Urbino – il neonato viene stabilizzato qui da noi, poi un’equipe viene a prenderlo in ambulanza per portarlo ad Ancona”.

A Rimini, l’unico punto nascita ha anche la terapia intensiva neonatale. Quando si dice “meno è meglio”: su questo sono d’accordo i due primari di Pesaro e Urbino. Per il dottor Canducci, l’Emilia Romagna “ha investito prima, e con maggiore attenzione, rispetto alle Marche, dove invece c’è stata una dispersione delle risorse”. Marabini preferirebbe che gli sforzi della Regione si concentrassero su “un ospedale unico di livello superiore, piuttosto che dividersi tra strutture non necessarie e distanti tra loro pochi chilometri”.

Per il primario di Pesaro, non va in questa direzione il salvataggio temporaneo dei punti nascita di Fabriano, Osimo e San Severino Marche, che invece dovevano essere chiusi. I tre centri, di cui l’Asur Marche aveva disposto la chiusura per essere scesi sotto i 500 parti all’anno, hanno fatto ricorso al Tar e hanno ottenuto, per ora, di restare aperti. “Una lotta politica tra poveri – la definisce Marabini – che guarda agli interessi del singolo ospedale e non al bene della persona”.

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Rispetto alle Marche, per Canducci “l’Emilia Romagna ha puntato su attrezzature all’avanguardia e più avanzati protocolli di assistenza”. E anche Marabini riconosce come gli ospedali del territorio siano “più piccoli e più vecchi” di quelli della vicina Regione.

Gli strumenti dei punti nascita della Provincia  di Pesaro e Urbino sono a norma, il personale è preparato e gli ambienti, proprio per le loro dimensioni, favoriscono un più stretto contatto tra ostetriche e pazienti. “Non è la vernice o un mobile nuovo a migliorare la cura di una paziente – dice Flavia Allegretti mostrando le nuove tende alle finestre della sala del monitoraggio di Urbino, che lei stessa ha portato da casa – ma gli ambienti e le attrezzature potrebbero essere ammodernate”.

Il calo delle nascite. Dal 2011 al 2015 i punti nascita di Urbino, Pesaro e Fano hanno registrato un calo di 389 parti. Per Urbino la prima grande flessione si è verificata nel 2012 quando, dagli 841 parti dell’anno precedente, si è passati a 709: meno 132 in tutto. Per Pesaro e Fano, che fino al 2012 hanno continuato a registrare oltre mille parti all’anno, la discesa è stata più graduale, fino al drastico calo di due anni fa: nel 2014 Pesaro ha perso 133 pazienti, passando da 934 a 801 parti, mentre Fano ne ha perse 101 (nel 2013 i parti erano stati 1002).

Nel 2015 il calo sembra essersi stabilizzato: Fano e Urbino hanno registrato, rispettivamente, 22 e 32 parti in meno rispetto all’anno precedente, mentre Pesaro – il Comune che in cinque anni ha perso più pazienti, 246 – l’anno scorso ha assistito 35 donne in più rispetto al 2014.

La mobilità passiva, com’è chiamata la tendenza dei pazienti a “migrare” nelle strutture sanitarie di altre città, è solo una delle cause della diminuzione del numero dei parti. Il primo fattore, spiega il primario di Urbino, resta la forte denatalità, cioè il calo generalizzato delle nascite in tutta Italia. “In parte dovuta alla crisi economica e alla mancanza, negli ultimi anni, di un reddito garantito per tutte le famiglie”.

Da non sottovalutare, poi, “il progressivo allontanamento dalle nostre città di molti extracomunitari, che negli anni hanno trovato un lavoro e poi, in tempi recenti, lo hanno perso”. Dei 60 nati nei primi mesi del 2016 a Urbino, evidenzia Canducci, “24 sono bimbi di origine straniera”. Un 40% destinato a scendere nei prossimi anni.