“Coltivate il vizio della memoria”: il consiglio di Marco Laudonio ai giornalisti di domani

Foto: Nicolas Magand social media editor per Gen
di OLGA BIBUS

Pensare prima di parlare, comunicare con i propri utenti, usare i social in maniera consapevole. Sono alcuni dei consigli ai giornalisti di Marco Laudonio, uno dei tre giudici di Hackathon 2017, la maratona di due giorni organizzata da Global Editors Network e dal Gruppo Espresso in cui le principali redazioni italiane hanno proposto nuovi progetti per il giornalismo d’emergenza.

Laudonio, social media manager durante il governo Letta e ora digital media strategist del ministero dell’Economia e delle finanze, ha spiegato il ruolo complicato che hanno oggi i social soprattutto nei momenti disastrosi come un terremoto. Quando diventano l’unica fonte di notizie senza una verifica accurata.

L’INTERVISTA SU FBLIVE

Laudonio critica i giornalisti di oggi per non essere sempre accurati nelle loro verifiche, ma ha anche lasciato un consiglio ai reporter di domani.

Durante il suo intervento ha parlato di “while”, cioè del ruolo del “mentre” nell’informazione. Quando conta il mentre nel giornalismo d’emergenza?

L’informazione oggi è un flusso dentro altri flussi. Ognuno si crea da solo un’enciclopedia dell’informazione, guardando la televisione, ma anche i siti dei giornali. L’unico modo per l’informazione per continuare ad avere dignità è verificare con molta attenzione le notizie che circolano sul web per evitare che ‘mentre’ sta accadendo l’evento partano informazioni sbagliate. Può capitare che un utente particolarmente spaventato esageri nelle sue dichiarazioni sui social. Questo i giornalisti lo devono tenere sempre in mente. Devono essere precisi, accurati, evitando anche la ridondanza perché dieci lanci tutti uguali fanno sì che non si riesca più a capire cosa accade. Verificare accuratamente per evitare la diffusione di fake news.

Possiamo dire che “while” e la sesta W del giornalismo?

Sì, è la sesta W del giornalismo. Ma deve essere un giornalismo che non si fa prendere dall’urgenza di parlare solo per dire qualcosa. Le redazioni devono pensare prima di postare.

Parlando del flusso continuo di informazioni che circolano sul web, quanto i social possono essere fuorvianti come fonte?

Gli utenti a volte si destreggiano tra i social meglio degli operatori di informazione o di chi lavora nelle istituzioni, perché è una competenza che si riesce a maturare soprattutto stando sui social. L’errore che fa la maggior parte dei giornalisti è quello di considerare il flusso di Twitter al pari di un notiziario di agenzia e la veridicità di ciò che si legge si dà per scontata. Non si verifica, insomma, con la dovuta attenzione. È vero che ormai i social sono diventati strumento di informazione, ma bisogna ricordare che non è questa la finalità con cui nascono. ‘L’ho letto su Facebook’ sta diventando sinonimo di garanzia, come il vecchio ‘l’ha detto la televisione’. Gran parte dei giornalisti pesca a sproposito dal grande acquario di Internet, e si dimentica che i mezzi di informazione devono rimanere tali, mentre i social devono rimanere social. Possono incontrarsi, ma con moderazione. Anche se a volte interrogare gli utenti diventa fondamentale, soprattutto lì dove le istituzioni tardano ad arrivare.

Secondo lei le istituzioni in questo senso dovrebbero essere più social?

Il mio proposito è proprio quello di portare le istituzioni sui social. Però qualcuno pensa che basti avere un account, invece bisogna anche interagire con gli utenti, spiegare le ragioni delle proprie scelte. Questo viene fatto ancora poco. Si confonde la comunicazione online con quella dei social. Manca l’interazione. Anche gli stessi giornalisti ancora rispondono poco ai commenti. Si pensa che è una perdita di tempo quando, invece, è un modo per costruire fiducia.

Quanta comunicazione c’è tra istituzioni e giornalisti  nei momenti di emergenza?

Le istituzioni comunicano con due canali: la conferenza stampa e l’informazione tramite contatto diretto, ad esempio e-mail, telefonate, messaggi WhatsApp. Bisognerebbe migliorare proprio questo secondo canale: la verifica che fai per uno dovrebbe valere per tutti. In questo senso si potrebbero creare delle chat comuni, in modo che lo stesso messaggio, ad esempio sulla viabilità, possa essere inoltrato a 300 giornalisti contemporaneamente. Nei momenti di emergenza la priorità delle istituzioni diventa quella di mettere in sicurezza un luogo ma la comunicazione tra istituzioni e redazioni deve rimanere lo stesso massima: le persone devono sapere con certezza cosa sta accadendo.

Noi siamo prima di tutto una scuola di giornalismo, che consiglio può dare ai giornalisti di domani?

Leggere tanto, appuntare, coltivare il vizio della memoria. Viviamo nel paese della memoria a breve termine, in cui non si verifica la coerenza di chi parla. È fondamentale per un giornalista mettere in fila quello che succede. Su un giornale, sul sito, su Twitter. Ovunque.