Stefano Feltri all’Ifg di Urbino: “Scegliete un campo e diventate i migliori”

Stefano Feltri durante la sua lezione ai ragazzi dell'IfgStefano Feltri durante la sua lezione ai ragazzi dell'Ifg
di ELEONORA SERAFINO

URBINO – “Specializzatevi, diventate i primi in qualcosa, se siete i terzi finirete a lavorare al McDonald’s”. Stefano Feltri, vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, racconta di sé e del suo lavoro e dà consigli ai giornalisti praticanti dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino.

Ospite della scuola, classe 1984, una laurea in economia alla Bocconi, uno stage a Radio 24 e uno a Il Foglio, ha lavorato a Il Riformista, collaborato a Otto e Mezzo di Lilli Gruber, lavorato a Il Fatto Quotidiano come curatore della sezione economica, fino a diventarne vicedirettore nel 2015. A 31 anni. Oggi di anni ne ha 33, pochi in più rispetto agli studenti della scuola, forse per questo ancora più incuriositi da lui e dalla sua esperienza.

Feltri si accomoda dietro la cattedra e inizia la sua lezione. Una lezione che lascia spazio a interventi, domande, riflessioni. “Vorrei conoscere i vostri nomi, forse non ne ricorderò nessuno, ma mi piacerebbe sapere chi siete e cosa vi interessa del giornalismo”, esordisce. Varie le risposte. “È positivo che abbiate interessi specifici – controbatte – che siano gli esteri, la politica, la cultura… Oggi i giornali tendono ad assumere poche figure di coordinamento e ad appaltare articolisti esterni. Il futuro è dei free lance tematici. Mai dire ‘mi occupo di tutto!’. Ti occupi di Corea del Sud? Quando ci sarà qualcosa su questo Paese, avrai da lavorare”.

“Il giornale di carta non si legge più in tram o al bar, ma può sopravvivere”

Quello raccontato da Feltri è un mondo distante anni luce dall’epoca in cui “il lettore acquistava il giornale in edicola tutti i giorni, lo leggeva sul tram, ne parlava al bar con gli amici”. Oggi ci sono sempre meno edicole, “il cartaceo lo compri solo quando ti interessa approfondire qualcosa” e soprattutto “il dibattito non è più al bar ma sui social”.

A chi gli chiede come un giornale possa navigare in queste acque, senza venirne sommerso, risponde senza esitazione: “Devi capire che rapporto ha il tuo lettore con il giornale e monetizzarlo”. Sbagliare a calibrare questa relazione delicata non può che portare alla sconfitta. “Dalla mia esperienza ho imparato che in questo campo ammettere gli errori è difficile, correggerli praticamente impossibile”.

“Scrivere per i colleghi e non per i lettori, il vizio del giornalismo italiano”

Uno dei principali errori dei giornalisti italiani è, secondo Feltri, quello di scrivere per altri giornalisti: “Quante volte sento dire ‘tizio mi ha fatto i complimenti per quell’articolo’. E poi scopro che tizio è un collega. Si continua a pensare che quello che pensa il lettore è irrilevante, poi la gente reagisce non comprandoti. E fa bene”, spiega.

Qual è il modo per dare più peso al lettore che a qualsiasi specialista del settore? “Chiedersi sempre: ‘A chi potrebbe interessare questo pezzo?’. Se la risposta è ‘A nessuno’, meglio cestinarlo subito”.

Sbagliato pensare che la soluzione sia targettizzare il pubblico facendo ricerche di mercato. “Le ricerche dicono che le persone vogliono la Coca senza zucchero e poi invece comprano quella zuccherata”, scherza.

Dalle battaglie contro Berlusconi a quelle contro Renzi

E in effetti al Fatto Quotidiano non sono servite ricerche di mercato e statistiche per capire, nel 2009, anno della sua nascita, che cavalcando l’onda dell’antiberlusconismo avrebbe conquistato molti lettori. “È più facile attirare gente contro qualcuno che a favore di qualcuno e qualcosa”, risponde Feltri a chi glielo fa notare. Ma Il Fatto, malgrado il trend discendente nelle vendite che lo accomuna ormai alla maggior parte delle testate italiane, è riuscito a rimanere a galla anche quando Berlusconi è “andato a casa”.

“Ricordo bene quel giorno – racconta – arrivarono diversi colleghi con lo spumante, esultando. Il direttore disse: ‘Aspettate a esultare, perché ora sono cavoli!”.

Ma poi è arrivato Matteo Renzi, non esente, durante il suo governo ma anche ora, da critiche e sferzate ironiche da parte del giornale. “Renzi ci ha dato da lavorare”, dice Feltri. “Il pezzo ‘Tutte le bugie di Renzi’ con l’immagine di Matteo col naso da pinocchio è un nostro grande classico. Ormai ci viene con la mano sinistra. Piace molto a Travaglio”, aggiunge ridendo.

Marco Travaglio, un direttore controcorrente

Una parte della discussione, durante l’incontro, non può che soffermarsi su Marco Travaglio, non solo in quanto direttore del giornale dopo Padellaro, ma in quanto vera anima della testata. Innegabile che quando oggi si dice “Il Fatto Quotidiano” il suo nome sia il primo che viene in mente.

“Non è un uomo dalle mezze misure. La sua più grande dote non è certo la capacità di mediare”, così lo descrive Stefano Feltri. “Il suo approccio è ‘facciamo incazzare tutti, così li attiriamo verso di noi’”, continua. Dalle parole del giornalista emerge il ritratto di un direttore che spesso ha preso decisioni anche impopolari, pur di seguire la propria linea.

“Il no al referendum, per Il Fatto una battaglia vinta”

È il caso della campagna per il no al referendum voluto da Renzi. In quell’occasione, come racconta Feltri, il Fatto era diventato un giornale “ossessivo e politico”, con copertine manifesto, articoli, interviste dedicate. Il tutto faceva da corredo agli spettacoli di Travaglio “in cui portava avanti un’opera di alfabetizzazione del pubblico, fornendo strumenti informativi per discutere dell’argomento anche a tavola ma con cognizione di causa. Era una scommessa. Abbiamo vinto la battaglia, poi tornare alla ‘vita civile’ non è stato facile. Per un po’ il nostro giornale è diventato veramente un giornale politico”, conclude.

In realtà il Fatto è tutt’ora considerato il giornale più vicino al Movimento Cinque Stelle. Ma il vicedirettore non è d’accordo: “il vero organo dei grillini è il Corriere della Sera, essendosi incaricato di portarli nell’establishment, di renderli presentabili al governo”.

Il giornalista sottolinea come non ci sia alcun rapporto tra Travaglio e Grillo, ma semplicemente “Il Fatto è per il comico un serbatoio da cui attingere, perché Marco crea epiteti e parla meglio di lui”.

“Le scuole di giornalismo creano illusioni”

Il dibattito non poteva non concludersi con un parere del vicedirettore sulle scuole di giornalismo. Laureatosi in un’università privata, in una materia non umanistica, Feltri ha deciso di sfruttare subito le sue competenze in campo economico e ha trovato in questo la sua chiave di accesso al mondo del giornalismo. “Che sia stata fortuna o altro, io sono riuscito a inserirmi senza aver prima frequentato una scuola di giornalismo. Non dico siano tutte uguali queste scuole – afferma – ma molte vendono illusioni. Gli stage sono sempre meno disponibili e spesso non portano ad assunzioni. Inoltre a volte noto in chi proviene da una formazione di questo tipo una certa presunzione di professionalità. Per la serie: ‘Sono un giornalista professionista, non puoi mettermi a fare una notizia breve’”.

La soluzione proposta è quella di “lavorare oltre che sugli strumenti, che di sicuro queste scuole offrono, sulle proprie conoscenze, su quella cultura che soltanto da soli ci si può costruire”.

“Le lauree umanistiche: un biglietto della lotteria”

E a chi gli ricorda di alcuni suoi articoli in cui affermava l’inutilità delle facoltà umanistiche al fine di trovare un lavoro (articoli che, tra l’altro, scatenarono la reazione del blog Valigia Blu e molte polemiche nel web), risponde: “Non lo dico io, lo dicono le ricerche Istat. Un ragazzo che dopo le superiori deve scegliere cosa studiare, lo deve fare in maniera consapevole. Deve sapere che se studia cinema o fumetto, poi non sarà facile trovare lavoro in quel campo o vivere di solo quello. Deve sapere cosa gli può offrire lavoro e cosa invece lo mette dinanzi ad altissime possibilità di fallimento. È come comprare un biglietto della lotteria”.

“Qui siamo laureati tutti in materie umanistiche”, ricorda una ragazza. “Se finiremo a lavorare in un McDonald’s, avremo di certo più tempo libero per i nostri hobby”, risponde ironico un altro allievo.

“Anche io ho i miei hobby, ma di hobby non si vive. Mi piacciono i fumetti. Collaboro con la Panini infatti. Ma questo lavoro mi frutta 150 euro al mese. Potrei campare facendo solo questo?”, conclude Stefano Feltri sorridendo.