Fossombrone, detenuti a lezione con gli universitari. L’Ateneo di Urbino nella top ten per la “Terza missione”

Gli studenti dell'Università di Urbino si confrontano con gli studenti/detenuti di spalle nella foto. Credits: Paolo Bianchi
di MARIA CONCETTA DE SIMONE

URBINO – Tra i detenuti del carcere di Fossombrone c’è un padre che durante gli incontri con il figlio parla di storia, di letteratura e di quanto sia difficile imparare l’inglese a una certa età. C’è anche un nonno che non potendo leggere le favole ai nipoti ha deciso di far loro un ‘regalo’ simbolico ma che ha molto più valore. Vuole dimostrare che è in grado di fare anche qualcosa di positivo così da poter diventare, forse, anche un esempio. Perché non è mai troppo tardi per tornare sui libri e laurearsi. A Fossombrone, da gennaio 2016, l’Università di Urbino ha portato lezioni ed esami. I detenuti possono studiare Giurisprudenza, Informazione media e pubblicità, Scienze dell’educazione, Scienze politiche economiche e del governo, Scienze e tecniche psicologiche, Scienze umanistiche, Sociologia e servizio sociale, direttamente dentro l’Istituto penitenziario.

È anche grazie a questa iniziativa che l’Università di Urbino è tra le prime otto d’Italia per le attività di “Terza missione”: quella che favorisce l’applicazione diretta, la valorizzazione e l’impiego della conoscenza, contribuendo allo sviluppo sociale, culturale ed economico della società, secondo un’indagine dell’Osservatorio Socialis. Il Polo universitario all’interno della Casa di reclusione è coordinato dalla professoressa Daniela Pajardi, dal prorettore alle attività di Terza missione Fabio Musso e ha come dipartimento di riferimento quello di Studi umanistici (Distum). Sono 12 i detenuti che partecipano al progetto e che vivono questa “realtà gratificante sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista personale. Peccato che sia anche poco conosciuta, ma sul sito dell’Università sta per essere inaugurato un blog così da ‘diffondere’ in qualche modo quest’esperienza” racconta la stessa Pajardi.

Studenti dentro e studenti fuori

Per questo progetto, i detenuti hanno l’occasione di incontrare e confrontarsi con gli studenti universitari, gli appuntamenti spesso si sviluppano seguendo alcune tematiche incentrate sullo studio: come si studia, come ci si concentra e come si affrontano gli esami. “Durante gli incontri con gli studenti universitari, i detenuti danno una grande lezione sul piano motivazionale – spiega la Pajardi – ciò che li motiva a intraprendere questo percorso è solo un interesse culturale. Vogliono tenere sveglia la loro mente, la loro curiosità. Molti di loro hanno pene molto lunghe quindi non lo fanno per una prospettiva di lavoro ma per cultura e questo è importante. Per loro è anche un modo per riappropriarsi del tempo. In un carcere il tempo scorre lento, le giornate sono lunghe e vuote, avere una ‘scadenza’ – come per esempio un appello d’esame – serve a scandirlo e a tenerli impegnati”.

“Si trasmettevano l’ansia da esame”, racconta la professoressa Anna Tonelli, docente di storia contemporanea. Il carcere è l’unica istituzione alla quale non abbiamo alcun accesso. Il fatto di avere un confronto con dei detenuti che studiano aiuta molto, così aiutiamo gli studenti a combattere lo stereotipo nei confronti del carcere: una strategia è sicuramente quella del contatto che deve avvenire tra persone che hanno qualcosa in comune. Non conta più l’età o il vissuto.

Anna Tonelli crede molto in questo progetto e nei benefici che può portare, da una parte e dall’altra: “Questi sono studenti che trovano nell’idea del percorso universitario delle motivazioni diverse da quelle di un ventenne. C’è chi lo fa per dimostrare ai familiari di aver sbagliato nella vita ma di avere un’opportunità. Togliersi quell’etichetta di rifiuto umano che la società gli attribuisce”.

Un’esperienza importante anche per gli stessi professori: “Il rapporto che si crea con noi docenti è intenso e di riconoscenza. Le lezioni nel carcere sono principalmente un momento umano. Si sentono lusingati che il mondo esterno si occupi di loro perché vedono che qualcuno ha fiducia e crede che possano fare qualcosa di diverso nella loro vita che non è l’esperienza detentiva e l’esperienza di deviazione che li ha portati li. E poi… io ho uno studente di quarant’anni che ha fatto un esame di storia contemporanea brillante. Non sentivo da anni una cosa del genere”.