“Il ‘mio’ Dylan come Huckleberry Finn”, Rossari e il “fantasma elettrico” al festival di Urbino

di ANTONELLA MAUTONE

URBINO – “Tutto il libro è un lungo monologo di un fan ubriaco di Dylan” racconta Marco Rossari, autore di Bob Dylan. Il fantasma dell’elettricità, presentato durante l’ultima giornata del festival “Urbino e le città del libro”.

Una frase che racchiude il senso dell’opera scritta su Robert Allen Zimmerman che non vuole essere la solita biografia o un romanzo, bensì il racconto di cosa Dylan ha significato nella vita dell’autore. Attraverso la lettura di alcuni brani, accompagnato dalla chitarra di Marco Di Meo, Rossari, in un dialogo immaginario tra un guidatore e un agente di polizia, ha cercato di raccontare Bob Dylan, le sue canzoni, in particolare il significato di una strofa di Visions of Johanna che recita: “il fantasma dell’elettricità grida dalle ossa del suo viso. Dove queste visioni di Johanna adesso hanno preso il mio posto”. Nessuno ha mai capito bene il significato di queste strofe, cosa fosse il “fantasma dell’elettricità”. Per l’autore è chiaro: è l’arrivo dell’elettricità, la svolta musicale ed esistenziale di Dylan che negli anni ’60 si allontanò dal folk per imbracciare la chitarra elettrica. Molti suoi fan non glielo perdonarono, vollero ancora altre canzoni di protesta, tanto che Dylan in Inghilterra nel 1966 venne fischiato e chiamato “Giuda” per essersi venduto al mercato.

Ma lui come in altre occasioni, continuò diritto per la sua strada.

In fondo parliamo di un personaggio irriverente, difficilmente etichettabile, indisciplinato ai cui tutti volevano mettere la museruola “a destra perché rompe i coglioni, ovvio. A sinistra perché ora abbiamo un genio della nostra, non può continuare a cantare le canzoncine che ci piacciono?”. Un’icona che scrive tanti capolavori ma capace di fare tanti passi falsi, come scrivere canzoni brutte, pubblicare sdolcinati album natalizi o esibirsi per Giovanni Paolo II.

Rossari oltre a scrivere un’antologia di racconti, articoli, poesie e traduzioni di Dylan, ha una carriera attiva da traduttore di scrittori celebri come Dickens e Mark Twain.

La copertina di The freewheelin’ di Bob Dylan

L’imprevedibilità è l’aspetto rimasto intatto in Dylan in tutti questi anni. Un anticonformismo tipico dei personaggi tradotti da Marco Rossari che ha iniziato ad appassionarsi al ‘menestrello del rock’ trovando da ragazzino il vinile di Freewheelin’, quello con la celebre copertina, dove un ragazzo e una ragazza, lo stesso Dylan a passeggio sottobraccio con Suze Rotolo, la fidanzata di allora, camminano insieme abbracciati. Il primo ascolto, di cui l’autore dice “Non rimasi incantato. Ma rimasi”.

“Le prime cose che ho tradotto per piacere sono i testi di Dylan quando avevo 15, 16 anni. È stata una cosa che mi ha formato, segnato. Sicuramente Dylan assomiglia all’ Huckleberry Finn di Mark Twain, è ribelle e scapestrato. Ha un’indole fastidiosa, è indolente, un fumatore, è un ‘mai stare fermo, mai lasciarsi inquadrare’”.

C’è tanto di lui anche nei personaggi di Kerouac, quelli di On the road. “Credo che gran parte della letteratura americana abbia qualcosa di Dylan”.

A Dylan piace il successo, ma allo stesso tempo cerca di sfuggirgli, questo è capitato sia quando si era ritirato per vivere in campagna con la sua famiglia, sia quando ha vinto il premio Nobel. Intervistato da Il Ducato Rossari conferma: “Ha avuto la stessa reazione di quando negli anni ’70 gli assegnarono una laurea honoris causa, c’è una canzone che lo racconta: parla di una sensazione di claustrofobia, di fastidio, si sente a disagio in queste situazioni. È una questione di timidezza”.

Un personaggio schivo che ha però dietro un fan club tutt’altro che tranquillo. Rossari diverte il pubblico presente in sala raccontando di un libro in cui sono classificati i dylaniani: il “feticista, per cui ogni superficie sfiorata dal guru è oro… c’è gente che si è accaparrata la sedia a dondolo di sua nonna”; l’esegeta: c’è un fan convinto che Blowin’ in the wind sia un inno razzista e non è ancora stato internato; il tipo ossessionato dalle registrazioni clandestine… ogni nota strimpellata dal Nostro, dalla prima cantata in età prescolare a poche ore fa mentre accordava la chitarra in albergo con la cameriera che rassettava; infine il seguace misticheggiante, quello che afferma: ‘E allora mi ha guardato dal palco e ho visto la Luce’”.

Rossari nel suo libro ha messo a fuoco soprattutto tre canzoni di tre periodi molto lontani tra loro: gli anni ’60, i ’70 e i 2000: “Una, The Lonesome death of Hattie Carroll perché è una perfetta canzone politica che ho amato moltissimo e che mi ha fatto piangere da bambino; La seconda Tangled Up in blue, fa vedere che Dylan è un grande pittore e la terza Mississippi perché è la canzone che dà il senso al libro”.

Per salutare il suo pubblico lo scrittore rivela qual è stato il suo personale fantasma dell’elettricità: è il ricordo di una ragazza. “Me lo sentivo che non l’avrei vista mai più”. La accompagnò a prendere il treno e le regalò un disco di Bob Dylan: “In quel momento, prima di perdersi per sempre, trovarsi, volersi bene, il disco aveva toccato le sue dita, da me a te, ecco, una scossa, una scarica, la scintilla dei corpi, sì eccolo lì, da me a te, il fantasma dell’elettricità”.