Ius Soli, Viktorio, Olga e gli altri: nati in Italia, studenti a Urbino, 5 storie di cittadinanza (ancora) negata

Viktorio Grebenyuk e sua sorella Olga
di LORENZO PASTUGLIA

URBINO – “Mi infastidisce chi ci critica solo perché nati da genitori stranieri e contrari alla nostra cittadinanza. Siamo in un mondo aperto, le culture si mischiano e tutti hanno diritto di abitare dove vogliono”, sembrano le parole di un adulto, invece Viktorio Grebenyuk, 13 anni, è di Pesaro ma è nato da genitori stranieri. Sua sorella, Olga, si è laureata con due 110 e lode, nonostante questo non ha potuto dare molti concorsi perché non ha passaporto italiano: “Le amministrazioni mi vedono come un ostacolo”, racconta. “Ho sempre lavorato da quando sono in Italia dimostrando di essere una cittadina sana e rispettosa dell’Italia. Anche io e i miei figli meritiamo i nostri diritti”, spiega Laila Essifi, 36 anni, di origini marocchine. Tutti e tre vivono in Italia da tempo ma non hanno la cittadinanza italiana. Raccontano la loro esperienza, ora che in Parlamento è in discussione la legge sulla cittadinanza che potrebbe introdurre lo Ius Soli.

Lo “Ius Soli temperato”, la riforma al Senato

La legge ora prevede lo ius sanguinis (diritto del sangue, dal latino): un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.

La riforma, passata alla Camera alla fine del 2015 e in discussione ora al Senato, prevede che un bambino nato in Italia possa diventare italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente nel Paese da almeno cinque anni. Nel caso il genitore in possesso di permesso di soggiorno non provenisse dall’Unione Europea, deve dimostrare di avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge e deve infine superare un test di conoscenza della lingua italiana.

Nato in Italia da genitori stranieri: la storia di Viktorio

Viktorio Grebenyuk nasce il 29 aprile del 2004 ad Aversa, la città campana di 53.000 abitanti a pochi passi da Napoli. Il papà Alexander è nato in Kazakistan ma passa gran parte della sua giovinezza in Russia e ha passaporto ucraino. Sua madre Lucia e sua sorella Olga (che sarà una delle protagoniste di questo articolo) nascono a Kherson, in Ucraina, e poi si trasferiscono in Italia. 

Viktorio Grebenyuk durante la lettura

Nel 2006 Viktorio va a vivere con la famiglia a Pesaro, città dove vive attualmente. Oggi ha appena terminato la seconda media al “Galileo Galilei” di Villa Fastiggi e gioca a calcio a Villa San Martino, due piccole frazioni del pesarese.

Viktorio ha dei sogni nel cassetto che in futuro vorrà raggiungere: frequentare il liceo scientifico e poi laurearsi in Economia. “Vorrei aprire delle mie attività e sviluppare il campo dell’immobiliare ma – racconta – adoro le auto e chissà che prossimamente possa aprire una concessionaria nonostante i tempi molto duri”. 

Oltre ai sogni, anche le speranze. O meglio, la speranza. Che la legge sullo ius soli passi al Senato e diventi finalmente realtà: “Mi danno fastidio le persone che ci discriminano e ci stereotipano. Sono nato, studio e vivo qui. Parlo l’italiano, ho amici italiani e non ho nessuna etica diversa”, dice Viktorio. “Siamo in un mondo aperto, le culture si mischiano e tutti hanno diritto di abitare dove vogliono. Se la legge non passasse – conclude Viktorio – dovrei tornare in Ucraina, fare il visto o rimanere là, in una cultura che non è mai stata mia perché mi sento italiano a tutti gli effetti”.

Laila e i suoi quattro bambini ‘italiani’

Laila Essifi nasce il 6 giugno del 1981 in Marocco. Arriva in Italia nel 2002 per raggiungere sua madre che si trova nel Paese dal 1998. Le due abitano inizialmente a Pieve di Cagna poi si trasferiscono a Urbino dato che Laila conosce quello che sarà il suo futuro marito, Mohamed

“Mia madre aveva fatto richiesta per la cittadinanza e l’ha avuta solo nel 2014 dopo sette anni che l’aveva chiesta, ricevendo la carta d’identità e il passaporto italiano. Io ho il permesso di soggiorno illimitato”, racconta Laila.

Ricevere la cittadinanza, per Laila, è impossibile al momento, non per colpa sua: “Mentre avevo fatto richiesta di cittadinanza e la mia richiesta era passata dalla Prefettura di Pesaro a quella di Roma, – continua la donna – Mohamed è stato beccato con 125 grammi di hashish dalla polizia”. 

Così dopo poco Laila riceve la comunicazione dell’avvenuta disdetta del processo di acquisizione della cittadinanza per i problemi del marito: “Non è giusto per nulla. Ho sempre lavorato e sempre mi sono comportata bene. Lo Stato deve tutelare i miei diritti”. 

E in effetti tanti sono i lavori che Laila ha svolto: “Ho lavorato in una fabbrica di verniciatura a Borgo Massano, prima che la ditta chiudesse, e in una nel settore metalmeccanico”. E ancora: “Ho fatto la cameriera all’agriturismo “Sant’Antonio” di Gadana, la casalinga e la benzinaia a Ca’ Gallo. Infine, l’assistente negli ospedali di Urbino, Sassocorvaro e Fossombrone fino a prendermi cura degli anziani di una casa di riposo di Mercatello sul Metauro. Mi sono data parecchio da fare”.

Con Mohamed, con il quale Laila ha un rapporto problematico ed è in attesa delle carte per la separazione, la donna ha avuto quattro figli: la più grande di sei anni; il secondo, di quattro; la terza, nata nel 2014 mentre il più piccolo, ha appena nove mesi.

Tutti e quattro nascono all’ospedale di Urbino e, nel caso la legge sullo ius soli passasse in Senato, avrebbero il diritto di cittadinanza perché nati da genitori stranieri su territorio italiano. Questo è quello che spera Laila nonostante lo scetticismo: “Si parla molto di questa proposta ma non so se diventerà legge. Siamo arrivati in Italia per vivere in maniera diversa dal Marocco: i miei figli sono nati in Italia, cresceranno e lavoreranno qua. In Francia ed in Germania quando un bambino ha cinque anni prende la cittadinanza e non capisco perché noi siamo ancora così indietro – conclude – perché non dovrebbero avere i loro diritti? Dovrebbero essere a tutti gli effetti italiani”.

La cittadinanza grazie all’istruzione: lo Ius culturae

Se la nuova legge passasse anche al Senato, introdurrebbe anche un altro criterio per la concessione della cittadinanza. Con il diritto sull’istruzione, o Ius culturae, potranno richiederla i minori stranieri, nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato un ciclo scolastico (scuole elementari o medie).

Olga, da 20 anni in Italia, due volte 110 e lode a Urbino

Olga Bibus è la sorella di Viktorio. Vive in Italia da due decenni. Nasce nel luglio del 1990 a Kherson, città di 333.000 abitanti nella regione di Odessa. Kherson è anche un importante porto sul Dneper, il quarto fiume più lungo d’Europa. La madre Lucia la partorisce all’età di 20 anni. Lucia proviene da una famiglia benestante, suo padre Vittorio è un capitano meccanico della marina mentre sua madre Irina è direttore dell’Enel russa. Ma nel 1991 le cose cambiano: l’Urss cade dopo un fallito colpo di stato tentato da alcuni elementi dei vertici militari e dello Stato.

Olga Bibus alla Scuola di Giornalismo di Urbino

Lucia in quel momento fa la maestra di musica in un asilo e insegna pianoforte ai bambini. Per questo fatto, perde il lavoro ed il conto in banca le viene bloccato con Olga che ha solo un anno e ha ancora tutta la vita davanti. In quel periodo però si aprono anche le frontiere e si iniziano a organizzare dei viaggi di lavoro in occidente, cosa che prima non si poteva fare. Lucia decide così di partire per l’Italia lasciando Olga con Viktorio e Irina. Fa la ragazza alla pari ad Ischia con un permesso di soggiorno temporaneo che va dai tre ai sei mesi. Sull’isola campana, Lucia conosce un uomo che è proprietario di un supermercato e che le propone di lavorare per lui. La permanenza così si allunga. La madre di Olga si trasferisce da Ischia a Caserta e qui, dopo un anno di lavoro, la bella notizia. Ottiene il permesso a lungo termine e con alcuni documenti può portare in Italia sua figlia che intanto è cresciuta e ha sette anni.

“Quando mi ha dato quella notizia, ero ancora piccola ma è stata una grande gioia – racconta Olga – mi è venuta a prendere e poi siamo partiti per Caserta. Il mio permesso era per motivi familiari”.

Nella città della Reggia Borbonica, Olga frequenta le elementari e le medie. Poi nel 2006, a 16 anni, si trasferisce a Pesaro e contemporaneamente frequenta il Liceo Scientifico “Laurana” di Urbino. All’età di 21 anni, il permesso per motivi familiari non può più essere rinnovato e Olga ottiene il permesso di soggiorno temporaneo.

Olga insieme a sua madre Lucia

“È un permesso problematico perché va rinnovato ogni anno per un minimo di 120 euro – prosegue Olga – questo significa pagare una tassa in più, non poter votare e non avere la possibilità di viaggiare nei paesi europei inclusi nel Trattato di Schengen se il tuo permesso è in scadenza”. 

Dopo le superiori, Olga frequenta l’università di Bologna, la più antica del mondo. Si laurea con 110 e lode sia alla triennale in Lettere che alla magistrale in Italianistica. Ora sta frequentando la Scuola di Giornalismo di Urbino anche se con un pizzico di rabbia ricorda il passato: “Non avendo la cittadinanza molti concorsi non potevo farli nonostante i buoni risultati conseguiti e – continua – ho avuto parecchie altre difficoltà come le numerose pratiche che ho dovuto sbrigare per partire per l’ Erasmus in Galles”. 

“Le amministrazioni mi vedono come un ostacolo – conclude Olga – se io tornassi nel mio Paese sarei praticamente un’analfabeta: conosco poco il russo e il mio studio è in Italia. L’inquadramento per cui ho studiato non sarebbe lo stesso. Il permesso che ho è una sorta di handicap e una discriminazione che lo Stato italiano fa nei miei confronti. Voglio i miei diritti”.

Il lavoro per pagarsi gli studi. L’ambizione di Eni

Eni Rroshi nasce il 28 giugno 1991 a Croia, un piccolo centro dell’Albania a metà tra Durazzo e Tirana. Primogenita di tre fratelli, nel 2008, all’età di 16 anni, arriva a Pesaro con il resto della famiglia per seguire il padre che si trova già in Italia. La sorella, di 22 anni, studia Antropologia all’università di Bologna e svolge lavori occasionali come la videomaker; il fratello, di 18, frequenta il liceo linguistico “Mamiani” di Pesaro.

“Siamo stati sette anni senza nostro padre in Albania, – racconta Eni – mia madre lavorava alla Telecom albanese. Ciononostante, vengo da una famiglia che ha puntato sempre in alto: tutti noi non volevamo rimanere nella nostra città e volevamo trasferirci in un centro con più prospettive”.

La città di Croia in Albania, dove è nata Eni

Dopo l’arrivo in Italia i genitori divorziano. Eni così inizia a mantenersi da sola come sua sorella: inizia a lavorare in un bar ristorante di Pesaro e con i guadagni si paga gli studi universitari. Oltre al lavoro, infatti, Eni è anche studentessa di Economia ad Urbino. Suo fratello minore invece è sostenuto da sua madre: “Lui ha il permesso di soggiorno illimitato essendo minorenne e anche mia madre ce l’ha. Io invece ho il permesso di soggiorno per lavoro subordinato: un contratto da apprendistato di tre anni che ora sto rinnovando perché mi è scaduto da poco. Dovrò pagare 120 euro”. 

Anche Eni, come Olga, se passerà la legge che istituisce lo ius culturae, alla fine di un ciclo di studi potrà richiedere la cittadinanza: “È più una cosa burocratica per me. Però mi darebbe alcuni vantaggi che ora non ho (diritto di voto, voli in paesi della Ue sotto il Trattato di Schengen, ndr). Mi sono sempre trovata bene e penso che l’Italia sia un bel Paese ma ci sarebbero cose che andrebbero modificate”.

Eni ricorda in particolare un fatto che l’ha molto limitata: “Tempo fa feci un biglietto per andare a Londra. Mi sono reso conto che avevo però bisogno di fare il visto perché l’Albania non è un paese della Ue”. Ma il tempo prima della partenza era troppo poco: “Ho dovuto buttare via il biglietto – dice –  perché per fare il visto ci vogliono tre mesi”.

Grande è così il desiderio della cittadinanza: “Per carità, da un lato è giusto che ci sia la carta di soggiorno limitata per dimostrare che con i tuoi requisiti sei in grado di vivere in questo Paese, – conclude Eni – d’altro canto però mia mamma e mio fratello hanno la carta di soggiorno indeterminata e hanno giri burocratici in meno da fare”.

Grent, dall’Albania all’Italia: “Qui sono a casa”

Grent Sota nasce nella capitale albanese di Tirana il 13 aprile del 1990. Secondo figlio di Lefter e Vida Sota, ha una sorella di 32 anni, Lirjeta. Fino all’età di nove anni, Grent rimane in Albania ma la crisi inizia a farsi sentire. All’epoca la Grecia offriva numerosi posti di lavoro e l’economia girava bene. Così i Sota decidono di trasferirsi ad Atene. Grent rimarrà lì fino ai 16 anni poi, per motivi familiari e con l’economia che comincia a rallentare, anticipando l’arrivo della crisi in Grecia, si trasferisce a Morciano di Romagna in provincia di Rimini. In Albania frequenta le materne e arriva al terzo anno di elementari, in Grecia il resto delle elementari e il “ginnasio” (l’equivalente delle superiori) fino al terzo anno. In Romagna è invece costretto a ricominciare gli studi all’Istituto statale di istruzione secondaria superiore per la questione dell’apprendimento della lingua. Ora Grent studia Scienze politiche all’università di Urbino e sta lavorando in un mini-market per la stagione estiva. 

Grent Sota

“In Italia sto benissimo, mi sono integrato alla perfezione e qui per me è come stare a casa, anzi, sono a casa”, racconta. Nonostante ora siano disoccupati, i suoi genitori hanno ottenuto il permesso di soggiorno di lunga durata quando ancora lavoravano: il padre era falegname e la madre casalinga. Anche la sorella ha il permesso illimitato mentre Grent è l’unico a non averlo perché ancora non ha un lavoro fisso.

Per Grent l’obiettivo è ottenere la cittadinanza: “Solo dopo dieci anni di soggiorno posso richiederla. Il permesso che ho mi limita e ogni anno dovrei aggiornarlo e rinnovarlo. Sicuramente non mi sento tranquillo”. E ancora: “Ogni anno devo rinnovare questo documento e pago parecchi soldi. Non ho diritto di voto e non posso viaggiare in molti paesi d’Europa, che non hanno aderito al Patto di Schengen, perché non ho il visto”.

“Se questa riforma passa al Senato – conclude Grent – i tempi per diventare italiano verrebbero anticipati e sarebbe utile, dato che con la legislazione attuale solo a 18 anni puoi richiedere la cittadinanza”.