Paolo Di Paolo al Festival: “I giovani giornalisti culturali? Parassiti su un animale morente”

Al Teatro Rossini di Pesaro i direttori del Festival Giorgio Zanchini e Lella Mazzoli, Di Paolo e D'Ayala
di OLGA BIBUS

PESARO – Il mondo è cambiato anche per l’editoria. Quello della produzione libraria è forse il campo che più di altri deve slegarsi il più presto possibile dai vecchi schemi di comunicazione, altrimenti rischia di affondare nel mare infinito della Rete.

Paolo Di Paolo, giovane scrittore, non fa troppi giri di parole e fa l’esempio dei suoi libri. “La televisione – dice lo scrittore romano – non cambia più le sorti di un’opera letteraria. All’inizio anche io pubblicizzavo i miei libri in maniera tradizionale, con gli uffici stampa e tutto quello che ne deriva. Non funzionava. Se c’è una cosa che mi ha salvato è stato un articolo su un mio libro uscito su la Repubblica scritto da Antonio Tabucchi. Perché dopo quel pezzo il libro è stato mandato in ristampa addirittura nella stessa settimana”. Di Paolo racconta come invece per il suo ultimo romanzo, uscito nel 2016, si sia rivolto per la prima volta al marketing, che ha movimentato una rete di blogger.

“Oggi per un libro non sono più importanti i recensori, i canali tradizionali – continua Di Paolo – a volte per esempio mi capita di scrivere sulle pagine di un giornale di carta e mi sembra davvero di essere un parassita su un animale morente. Capisco che le persone della mia età non mi leggono,  non hanno la minima idea di cosa mi occupo, mi rivolgo a un pubblico che non so bene nemmeno chi sia. Poi succede, invece, che butto un pezzo sul blog ed ecco che acquista vita e diventa magari il mio articolo più letto di sempre”.

Zanchini è d’accordo con questo punto di vista. “Se prima il filtro del giornalista di cultura era importante ora non lo è più. Abbiamo perso il nostro potere, la nostra figura di mediatori”. Francesco D’Ayala, giornalista anche lui, dà una sua interpretazione a questa perdita d’autorevolezza: “Stiamo invecchiando e non ce ne rendiamo conto”. In maniera provocatoria D’Ayala, che nella sua carriera si è occupato spesso di cultura, vuole mettere in evidenza come il pubblico cui i giornalisti si rivolgono sia cambiato. “I giovani non comprano i giornali. Qui bisogna ripensare totalmente la comunicazione. Non siamo più nel nostro tempo”. E fa l’esempio di quella volta che gli è capitato di intervistare E.L. James, l’autrice della trilogia 50 sfumature: “Prima di pubblicare il suo libro ha messo in Rete alcuni frammenti. Ha invogliato i lettori oltre a ottenere dei feedback sul libro ancora prima dell’uscita del libro stesso. Quindi quando è uscita sapeva già che sarebbe diventato un best seller”.

“Il fatto è che ci sono degli schemi vecchi in cui i contenuti nuovi non riescono a stare – riprende la parola Di Paolo – io me ne rendo conto guardando le pagine di cultura dei giornali. Al di là della morte della carta stampata, la famosa terza pagina ha lo stesso formato di 100 anni fa. Sono rimasti gli schemi, che però sono vuoti”. Lo scrittore se ne è reso conto parlando in particolare con i ragazzi dell’università. “In’un aula universitaria di una facoltà letteraria non c’è nessuno che legge il giornale – afferma lo scrittore – e se provi a chiedere ai ragazzi se hanno degli abbonamenti digitali dicono di no. Si informano in rete, sui social.”

Ma non sono solo le televisioni e gli uffici stampa a non garantire più il seguito a un libro come un tempo, lo stesso discorso vale per i premi letterari. “Gli editori che si muovono da vecchi puntano sullo Strega. Ma ormai nemmeno lo Strega ha rilevanza di un tempo. Paolo Giordano lo ha vinto quasi 10 anni fa e per lui ha significato triplicare le tirature. Oggi non è più così”.

Di Paolo vede nella rete un grande strumento di amplificazione per i libri, quasi più dei premi.

“Qui ci stiamo scervellando su come fare per vendere, ma non sappiamo nemmeno a chi stiamo vendendo. Forse prima bisogna studiare la società, il lettore” conclude la curatrice del festival Lella Mazzoli.