Speranza di vita, Marche seconda regione più longeva. Merito del cibo sano

di MARIA CONCETTA DE SIMONE

URBINO – Nelle Marche, in particolare nella provincia di Pesaro e Urbino, si vive a lungo. La popolazione arriva mediamente a 83 anni, solo un anno in meno rispetto a quella del Trentino Alto Adige che si conferma la regione più longeva d’Italia. A dirlo è l’Osservatorio nazionale della Salute, un progetto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma nel focus Disuguaglianze di salute in Italia che compila la graduatoria sui dati del 2016. Seconda tra le province marchigiane Ancona, seguita da Macerata, Ascoli Piceno e infine Fermo.

Il secondo posto delle Marche, nella classifica nazionale, è fortemente legato alla connotazione rurale della regione. Il 66% del territorio è agricolo, ciò favorisce uno stile di vita sano con un’alimentazione legata ai prodotti del territorio.

“Nelle nostre zone siamo molto fortunati perché abbiamo accesso a materie prima di qualità e soprattutto siamo a conoscenza della provenienza dei prodotti – commenta Roberta De Bellis, docente di Scienze dell’alimentazione all’università di Urbino – in un territorio relativamente piccolo è facile conoscere in prima persona l’agricoltore, l’allevatore e questo spinge le persone ad acquistarli direttamente da loro perché sono ritenuti affidabili. Nel territorio è possibile recuperare con molta facilità prodotti maturi coltivati nei campi che hanno vitamine e sali minerali, elementi che stando tempo sul bancone di un supermercato si perdono”. Per quanto riguarda la longevità, la buona alimentazione per un anziano è fondamentale: “È fonte di prevenzione perché dai 60 anni in su cambiano i ritmi fisiologici e un modo per restare in salute è sicuramente il mangiare bene. Saper mangiare”.

In chiaro le province con aspettativa di vita più alta. In scuro le province con aspettativa di vita più bassa

Istruzione e salute

Netta è la spaccatura tra nord e sud. A Napoli e Caserta, per esempio, si vive in media tre anni in meno che a Firenze, Rimini e Trento, le tre province più longeve d’Italia. Uno dei principali fattori che fanno la differenza è il livello di istruzione. Più basso è il livello culturale e minore è l’attenzione a stili di vita più sani e alla prevenzione. Secondo quanto riportato dal focus, in Italia la speranza di vita è di 77 anni se si ha un livello di istruzione basso e 82 se si possiede almeno una laurea. Tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni contro 86. Il livello di studio influisce anche sulle condizioni di salute legate alla presenza di malattie croniche. Tra i 25 e i 44 anni la percentuale di persone con almeno una patologia cronica grave è pari al 5,8% tra coloro che hanno un titolo di studio basso e al 3,2% tra i laureati. Questo divario aumenta con l’età: tra i 45 e i 64 anni sale al 23% tra le persone con licenza elementare mentre si ferma all’11,5% tra i laureati.

Lo stato di salute è preoccupante quando è così legato ai fattori economici e culturali che influenzano gli stili di vita e, soprattutto, condizionano le future generazioni. Un chiaro esempio è l’obesità: una condizione che affligge il 12,5% della parte più povera della popolazione e che si riscontra principalmente al sud dove il tasso di disoccupazione è più alto e gli stipendi sono mediamente più bassi. Il problema dell’obesità ricade sulle scelte che riempiono il carrello della spesa: così si acquistano prodotti che costano meno come pasta, pane e patate ma che, se mangiati sempre, portano all’aumento di peso.

La rinuncia alle cure

Alle disuguaglianze che toccano l’aspetto della salute, si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica. Si tratta delle rinunce, da parte dei cittadini, alle cure o alle prestazioni sanitarie a causa dell’impossibilità di pagare il ticket. Un problema grave perché porta alla difficoltà oggettiva di poter prevenire le malattie con la necessaria tempestività delle diagnosi. Anche in questo caso il livello di istruzione si incrocia con l’aspetto economico e sanitario, infatti nella fascia che va dai 45 ai 64 anni le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria sono pari al 12% tra coloro che hanno completato le scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati.