La Liberazione delle Marche » Silvia Colangeli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Wed, 04 Jun 2014 09:01:16 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche no a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche » Silvia Colangeli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche L’eroe che perse un braccio: “Giovani, studiate e ribellatevi alle ingiustizie” http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=173 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=173#comments Tue, 01 Apr 2014 11:08:17 +0000 Silvia Colangeli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=173 Raffaelle Di Pietro ora ha 88 anni; mentre combatteva nella brigata Maiella ha perso l’uso del braccio sinistro e del ginocchio destro. Ma racconta con piacere la sua Resistenza, iniziando con un invito: ” I giovani devono studiare meglio la storia del Novecento. La nostra formazione non aveva appartenenze politiche, siamo riusciti a conservare anche la nostra autonomia dall’esercito. Ma prima di tutto eravamo giovani e la ribellione alle ingiustizie fu un gesto spontaneo, naturale”.

Era il 3 febbraio 1944 quando Di Pietro fu ferito. Si trovava sul fiume Senio: “Avevo un fucile mitragliatore che serviva d’assalto, ero al servizio dei due comandanti Dubai e Filetti, che mi avevano promosso caporale maggiore. Filetti una mattina mi ordinò di sparare su un mezzo della Croce Rossa perché mi disse che conteneva munizioni e non farmaci. All’inizio mi opposi, ma poi eseguii l’ordine: il camion saltò, qualcuno morì, qualcun altro si stese a terra per evitare  i colpi. Fu il giorno successivo, quando i tedeschi spararono per rappresaglia, che rimasi ferito. Mi portarono in ospedale e, quando venne a trovarmi il comandante, mi disse che avevo fatto bene a sparare perché avevano ritrovato le munizioni”.

Il caporal maggiore Di Pietro in poche settimane viene portato in tre ospedali: Forlì, Cesena, Loreto: “Ho subito varie operazioni, ma non sono bastate a farmi recuperare il braccio e il ginocchio. Dopo mi hanno portato anche a Bari per un ultimo intervento. Sono tornato a casa il 2 giugno 1945”.

Raffaelle Di Pietro non è né il primo, né l’ultimo invalido di guerra nella sua famiglia. Il padre aveva combattuto la Prima guerra mondiale e si era opposto con forza alla scelta del figlio di entrare nelle fila della brigata Maiella, tanto da mentire agli ufficiali che si occupavano dell’arruolamento: “Io e mio cugino, stufi dei soprusi tedeschi, ci presentammo dall’ufficiale di zona che stava costituendo il gruppo. Ma mio padre ci aveva seguiti e disse che eravamo minorenni. Quella volta tornammo a casa. Poco dopo, durante un blitz in casa mia, un tedesco mi puntò una pistola alla testa. Sento ancora il freddo della canna. Dopo quell’episodio decisi di combattere”.

A Recanati Raffaele Di Pietro entra nella brigata Maiella, insieme a suo cugino, che muore dopo pochi mesi. Uno dei momenti più brutti di quell’esperienza, insieme alla battaglia di Brisighella: “Tre giorni di disastri. Facevo parte della compagnia polacca del generale Anders. Prima della battaglia venne l’ordine di attaccare la roccaforte tedesca, così l’artiglieria iniziò il bombardamento. Era già sera quando la fortezza tedesca era stata distrutta. Quindi venne il nostro turno. Ci arrampicammo lungo il dorsale della collina e andammo avanti così per ore. Era gennaio inoltrato, pioveva e nevicava. Si combatteva a pochi passi dai tedeschi”.

Ma il caporal maggiore di Brisighella ricorda soprattutto la mattina successiva: “Oscar Fuà aveva 17 anni, uno meno di me. Quando in mattinata diedero il segnale iniziammo a retrocedere a pancia in giù , come i serpenti, senza alzare la testa. Fuà era a pochi metri da me e fece per alzarsi. Gli spararono subito”. I mesi passavano anche nel rimpianto: “Nei momenti difficili pensavo: chi me lo fa fare? Ho pianto diverse volte mentre ero in montagna, per esempio quando ho saputo che mio fratello era rimasto invalido a Tripoli. Ma so di aver combattuto per una nazione migliore e questo prevale su tutto”.

Il calore delle persone aiutava i partigiani ad andare avanti, nonostante le difficoltà: “Appena ci vedevano uscivano a salutarci. Non ne potevano più di stare in casa. Ci offrivano sempre acqua calda e cibo a volontà. Le ragazze erano splendide e gentili. Appena siamo arrivati a Modigliano, tutti insieme abbiamo cantato Bella ciao“.

(Di: Maria Gabriella Lanza, Marisa Eleonora Labanca, Silvia Colangeli, Virginia Della Sala) 

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Banditen: quando la Resistenza va a teatro http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=39 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=39#comments Mon, 31 Mar 2014 14:50:17 +0000 Silvia Colangeli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=39 La storia della brigata Maiella è arrivata nei teatri. A metà tra l’unità partigiana e quella regolare, senza rientrare pienamente in alcuna delle due tipologie, la formazione non aderì mai al Comitato di Liberazione Nazionale, né fu inquadrata ufficialmente nelle forze Alleate. La sua successiva assegnazione alla 209esima Divisione del Regio Esercito ebbe carattere del tutto formale, al punto che nessun maiellino indossò mai le “stellette” sulle mostrine. Descritti come partigiani o patrioti a seconda dei libri di storia, furono l’unica formazione a ricevere la medaglia d’oro al valore militare perché non si fermarono in Abruzzo, ma proseguirono la lotta anche nelle Marche e in Emilia Romagna, contribuendo alla liberazione di città strategiche come Pesaro e Bologna.

A portare nei teatri la storia dei “banditi” abruzzesi ci ha pensato la compagnia dei Guasconi, con lo spettacolo Banditen, diretto da Nicola Pitucci e rappresentato per la prima volta il 4 marzo 2012 al Piccolo Teatro Guascone di Pescara. “Da quel momento – dice Orazio Di Vito, attore – è iniziata la nostra esperienza, umana e teatrale, su questa formazione partigiana. E non si è più interrotta. L‘idea è nata durante le prove di un altro spettacolo: la storia della Brigata Maiella ha affascinato tutti, così abbiamo iniziato ad approfondire e leggendo ci siamo resi conto di molte cose che non sapevamo. È stato un lavoro lunghissimo di documentazione, fra gli archivi e i testi degli storici ci sono voluti mesi e ci sarebbe molto altro da leggere e studiare.”

Lo spettacolo, interpretato da Andrea Maria Costanzo, Orazio Di Vito, Pierluigi Amadio si regge su una scenografia semplice e un linguaggio variegato: s’inizia in vernacolo abruzzese e si finisce con l’italiano per dare voce a tutte le anime che composero la formazione partigiana. “I primi maiellini – spiega Di Vito – erano una quindicina di giovani: contadini, operai, studenti che si autodefinivano banditi perché messi al bando dai tedeschi. Decisero di combattere perché così non si poteva più vivere, senza riflettere troppo sul significato della loro scelta. La maggior parte di loro parlava in dialetto. Non c’erano idee politiche prevalenti e si poteva abbandonare liberamente la brigata.”

Ma quando sulla scena arrivano i tre protagonisti, si passa all’italiano: “Abbiamo scelto – prosegue l’attore – Ettore Troilo perché è stato il fondatore della Brigata. Intellettuale, di famiglia benestante, avvocato di formazione socialista, era amico personale di Turati. Grazie alle sue conoscenze negli ambienti politici fece da intermediario fra i suoi e l’esercito inglese, riuscendo a mantenere l’autonomia della formazione”.

L’altro protagonista è Domenico Troilo, ufficialmente vice comandante, in realtà il braccio armato, vera mente strategico-militare della brigata Maiella. Il comandante aveva rapporti personali con i reparti. Sotto la sua direzione, in due anni di combattimenti, morirono solo 40 maiellini. In Emilia i polacchi volevano attaccare direttamente, ma Domenico si oppose perché, disse, “davanti ci sono i miei”.

“Fratelli: parole tremolanti nella notte. Nell’aria della notte involontaria rivolta dell’uomo” sono versi del terzo protagonista di Banditen, Vittorio Travaglini: “È meno conosciuto dei Troilo – commenta l’attore che ne veste i panni – ma dopo il ’45 continuò a darsi da fare per le popolazioni abruzzesi e i reduci della brigata fondando nel suo paese un ufficio per l’assistenza post bellica”.

Banditen ha fatto letteralmente il giro d’Italia. Lo spettacolo è stato rappresentato in una scuola e in oltre 50 comuni. La scorsa estate, in occasione del settantesimo dell’armistizio, la compagnia teatrale ha aderito all’iniziativa dell’Anpi di Pescara: una pedalata che dal 3 all’8 agosto 2013 ha ripercorso le tappe della Brigata. Racconta Di Vito: “Non avevamo neanche uno sponsor, ma molta gente si è appassionata seguendoci sui social network, dove in tempo reale abbiamo cercato di raccontare l’evento. La sera mettevamo in scena Banditen e allo spettacolo seguivano dibattiti con storici e reduci”.

Il prossimo 24 aprile lo spettacolo sarà replicato a Vasto, il 25 a Bologna: un modo originale di celebrare la Resistenza, che rende orgogliosi i Guasconi: “Anche parlare della Liberazione rischia di diventare retorico, se si ricorre a cerimonie e parole vuote. Attraverso una storia vera, il nostro spettacolo cerca di andare oltre, di raccontare quegli ideali che hanno davvero guidato i partigiani in difesa degli ultimi”.

(Di: Maria Gabriella Lanza, Marisa Eleonora Labanca, Silvia Colangeli, Virginia Della Sala) 

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