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Il branding è un tipo di scarificazione ottenuto bruciando la pelle per mezzo di barrette di metallo incandescenti. Ha origine dall’abitudine di marchiare gli animali per dimostrarne la proprietà e dai marchi praticati sugli schiavi, nell’antico Egitto, tra i Romani e altrove. Agli schiavi erano imposti collari non rimovibili e, spesso, segni a fuoco specifici.

In altri Paesi, come in Francia e Inghilterra, il branding era usato per marchiare i criminali e gli eretici, pratica mantenuta fino al XVIII secolo.

La stessa pratica, spinta però da motivazioni differenti, è stata recuperata negli Stati Uniti del XX secolo: i membri di confraternite universitarie, specialmente di quelle con una predominanza di neri, si marchiano per rendere pubblica tale appartenenza. Come scrive l’autore Michelle Delio, "la pratica continua fino ai nostri giorni e molte figure preminenti, quali le star dei "Chicago Bulls", Michael Jordan, Emmit Smith dei "Dallas Cowboys" e il reverendo Jesse Jackson, hanno la lettera greca della confraternita di appartenenza indelebilmente marchiata sulla pelle".

In altri contesti, poi, il branding viene utilizzato come segno radicale di sottomissione e di possesso: così fu descritto, ad esempio, nel celebre romanzo "La storia di O".

Negli anni recenti, tuttavia, si è cominciato a concepirlo come mezzo ornamentale, scegliendolo da solo o in concomitanza con il tatuaggio. In molti Paesi, perfino nella permissiva Olanda, la pratica del branding è vietata dalla legge, per cui è ancora poco diffuso, ma decisamente in ascesa.

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