La pena di morte: crimine di Stato?

dossier a cura di Laura Cuppini
Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino

   
   
   
 

I trattati internazionali

   
 
  • Dichiarazione universale dei diritti umani, 1948: fu l’occasione per la prima discussione a livello internazionale sulla pena di morte. L’articolo 3 riconosce infatti a tutti gli individui "il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona". Non si parla esplicitamente di pena di morte, perché questa era considerata una legittima eccezione al godimento del diritto alla vita.
  • Convenzione europea sui diritti umani, 1950: nell’articolo 2 viene affermato il diritto alla vita, ma non si fissano limiti alla possibilità di infliggere la pena di morte.
  • Convenzione europea di estradizione, 1957: stabilisce che "se il reato per il quale è richiesta l’estradizione è punibile con la pena di morte secondo le leggi del paese richiedente, e se per tale reato la pena di morte non è prevista dalla legge dello stato cui viene fatta la richiesta o non è normalmente eseguita, l’estradizione potrà essere rifiutata a meno che la parte richiedente non dia assicurazioni ritenute sufficienti dalla parte richiesta che la pena di morte non verrà eseguita". Quest’ultimo punto, che era previsto anche nell’art. 698 n.2 del codice di procedura penale italiano, è stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza 223/1996 (caso Venezia). L’estradizione di Pietro Venezia, cittadino italiano accusato di omicidio in Florida, era stata chiesta dalle autorità statunitensi, che avevano offerto garanzie di non inflizione della pena di morte. Venezia ha presentato ricorso al Tar, che ha demandato la questione alla Corte Costituzionale, la quale ha dato ragione al ricorrente. Per effetto di questa sentenza l’Italia rifiuta in ogni caso l’estradizione per reati punibili con la pena di morte nello stato richiedente.
  • Patto internazionale sui diritti civili e politici, 1966: traduce in norme vincolanti per i Paesi aderenti i principi della Dichiarazione del ’48. Anche in questo caso non si giunge a condannare la pena di morte come violazione del diritto alla vita, ma se ne auspica l’abolizione.
  • Convenzione americana dei diritti umani, 1969: prevede alcune limitazioni all’uso della pena di morte.
  • Sesto protocollo alla Convenzione europea sui diritti umani, 1983: adottato dal Consiglio d’Europa, è il primo accordo internazionale che prevede l’abolizione della pena di morte in tempo di pace (ma non per reati commessi in tempo di guerra o di minaccia imminente di guerra).
  • Risoluzione del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite: garanzie per la protezione di coloro che rischiano di essere condannati alla pena di morte, 1984: si stabilisce che la pena di morte può essere inflitta solo per i reati più gravi e comunque mai a minori, donne incinte o puerpere e malati di mente. Ancora: la condanna al patibolo può essere emessa solo da un tribunale competente e come conclusione di un processo equo, in cui l’imputato possa godere di un’assistenza legale adeguata. Chi è condannato a morte ha diritto di fare appello a un tribunale superiore e di chiedere la grazia o la commutazione della pena. Infine si invitano tutti gli Stati mantenitori della pena capitale a ridurre al minimo la sofferenza del condannato durante l’esecuzione.
  • Secondo protocollo opzionale al Patto sui diritti civili e politici, 1989: adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, prevede l’abolizione della pena di morte, tranne che per gravi reati commessi in tempo di guerra (ma solo per i paesi che ne avessero fatto richiesta al momento della ratifica).
  • Protocollo alla Convenzione americana sui diritti umani, 1990: adottato dall’Assemblea generale dell’organizzazione degli Stati americani, prevede l’abolizione totale della pena di morte, tranne che per i reati commessi in tempo di guerra (per i paesi che ne avessero fatto richiesta).
  • Risoluzione sulla pena di morte approvata dal Parlamento europeo, 1992: nella risoluzione, presentata dalla parlamentare italiana Adelaide Aglietta, si afferma "la necessità di promuovere, a livello comunitario, una politica concreta per pervenire all’abolizione della pena di morte". Da quel momento la questione "pena di morte" è entrata a far parte integrante della politica dei diritti umani della Comunità europea.
  • Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, 1994: propone l’adozione di un nuovo protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti umani, contenente un obbligo di abolizione totale e incondizionata della pena di morte, non limitata al tempo di pace. Vi si legge, tra l’altro: "l’Assemblea considera che la pena di morte non possa avere legittimamente alcun posto nei sistemi penali di società civili moderne, e che la sua applicazione possa essere paragonata alla tortura ed essere considerata una punizione inumana e degradante"; "l’inflizione della pena di morte si è rivelata inefficace in quanto deterrente e, a causa della possibilità che la giustizia umana fallisca, anche tragica in ragione della esecuzione di persone innocenti"; "si obblighino tutti gli Stati la cui legislazione ancora prevede la pena di morte ad istituire non appena possibile una commissione in vista della sua abolizione"; "l’Assemblea raccomanda di considerare l’atteggiamento degli Stati desiderosi di entrare a far parte del Consiglio d’Europa in tema di pena di morte nel decidere la loro ammissione o meno quali membri a pieno titolo dello stesso Consiglio d’Europa". Quest’ultimo punto ha portato il Consiglio d’Europa a intraprendere una decisa politica abolizionista nei confronti dei paesi dell’Europa orientale, che sta portando, seppure con difficoltà e resistenze, all’eliminazione della pena di morte nella regione.
  • Risoluzione 1997/12 della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, 1997: il documento, presentato dall’Italia, invita "gli Stati che non hanno ancora abolito la pena di morte a prendere in considerazione la sospensione delle esecuzioni, in vista dell’abolizione completa della pena di morte".
    (Hanno votato a favore della risoluzione: Angola, Argentina, Austria, Belarus, Brasile, Bulgaria, Canada, Capo Verde, Cile, Colombia, Danimarca, Ecuador, Federazione russa, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Messico, Mozambico, Nepal, Paesi Bassi, Nicaragua, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Sud Africa, Ucraina, Uruguay. Hanno votato contro: Algeria, Bangladesh, Bhutan, Cina, Corea del Sud, Egitto, Indonesia, Giappone, Malaysia, Pakistan, Stati Uniti. Si sono astenuti dal voto: Benin, Cuba, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gabon, Guinea, India, Madagascar, Regno Unito, Sri Lanka, Uganda, Zaire, Zimbabwe. Era assente il Mali.)
  • Risoluzione 1998/8 della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, 1998: in questo documento, presentato ancora dall’Italia, si parla per la prima volta di una moratoria di tutte le esecuzioni (sospensione delle esecuzioni in vista di una graduale abolizione della pena di morte).
  • Statuto della Corte penale internazionale, stipulato a Roma nel 1998: non prevede la pena di morte, seguendo l’esempio dei due precedenti tribunali internazionali per il Ruanda e per la ex Jugoslavia.
  • Direttive sulla politica dell’Unione europea nei confronti degli Stati terzi in materia di pena di morte, 1998: adottate dal Consiglio dell’Ue, stabiliscono dei limiti internazionali all’uso della pena di morte, la moratoria e la successiva abolizione delle esecuzioni. Prevedono anche l’intervento dell’Unione in favore di singoli condannati a morte.

In conclusione di questo rapido schema sui trattati internazionali sulla pena di morte, bisogna purtroppo aggiungere una nota negativa: la risoluzione per una sospensione delle esecuzioni, che doveva essere presentata all’Assemblea delle Nazioni Unite alla fine dello scorso anno (novembre 1999), è stata bloccata dai ministri degli Esteri dell’Unione europea. La motivazione? Gli emendamenti presentati da alcuni paesi, tra cui Egitto e Singapore, non sono stati considerati accettabili. Vi si affermava, in sostanza, che le Nazioni Unite non possono intervenire nella giurisdizione interna degli Stati. La rinuncia dell’Ue a presentare la moratoria ha provocato grandi sollevazioni e proteste in tutta Europa e negli Stati Uniti. (Nel novembre 1999 i 188 paesi aderenti all’Onu erano così divisi: 68 avevano abolito la pena di morte; 14 avevano abolito la pena di morte per i reati comuni; 23 mantenevano la pena di morte ma non la applicavano da oltre 10 anni; 83, tra cui Stati Uniti e Cina, applicavano la pena di morte).

26 aprile 2000: la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che invita gli Stati mantenitori della pena di morte ad avviare una moratoria delle esecuzioni. Tra i voti contrari, 15 su 53 (11 astenuti), quelli di Cina, Stati Uniti, Giappone, Cuba. Nel documento si affronta anche il problema delle estradizioni, chiedendo agli Stati di rifiutarla nei casi di persone condannate a morte, qualora non ci siano garanzie sufficienti che la condanna non verrà eseguita.
La senatrice italiana Ersilia Salvato, presidente del Comitato del Senato per l’abolizione della pena capitale ha detto che ''il nuovo voto a favore della moratoria universale delle esecuzioni capitali espresso oggi a Ginevra rilancia la battaglia internazionale contro la pena di morte'', aggiungendo che attualmente esistono ''le condizioni migliori per riproporre all'Assemblea generale dell'Onu una risoluzione per la moratoria universale''.

 
   
 



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