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Incontro con Lazrak, algerino rifugiato in Italia

Sono le cinque di pomeriggio. Al Centro Astalli è ora di cena. Davanti ai banchi del self-service comincia la sfilata dei vassoi, e dietro ogni vassoio c’è una faccia diversa: bambini, vecchi, giovani di Paesi lontani, ognuno con una storia, spesso drammatica, da raccontare. Rifugiati politici curdi, iracheni, afghani, nordafricani, immigrati arrivati a Roma per restare o per raggiungere altri Paesi europei. Il Centro Astalli, fondato per l’assistenza agli immigrati, organizza corsi di lingua italiana, ha vari dormitori e un "Centro d’ascolto" che aiuta i nuovi arrivati nella ricerca di un lavoro o di una casa. La mensa si trova dietro piazza Venezia, nel cuore di Roma: la religione più rappresentata qui è quella islamica.

Lazrak Benkadi, 26 anni, algerino, lavora alla "Casa di Giorgia", uno dei dormitori del Centro, quello che ospita donne e bambini. Vive a Roma da due anni. Prima che sia servita la cena, si ferma volentieri a parlare della sua esperienza in Italia.
Come fa un musulmano a conciliare la preghiera e il rispetto delle feste islamiche con la vita in Italia?
Si cerca di trovare il tempo: la festa che chiude il Ramadan, per esempio, può durare tre giorni, quindi si cerca un momento per incontrare le persone e farsi gli auguri.
In che cosa consiste il festeggiamento?
Posso raccontare com'è nel mio Paese. Si preparano dolci, si comprano vestiti per bambini, è un momento molto atteso perché durante il mese precedente non si mangia fino al tramonto. L'ultima notte di Ramadan si sente pregare in Moschea fino all’alba. Alle otto c'è una preghiera solenne, e un'altra verso le dieci. Le famiglie pranzano insieme.
In Italia questa tradizione si mantiene?
La mantiene soprattutto chi ha famiglia qui. Ma chi non ce l'ha fa gli auguri alle persone che conosce e fa una telefonata a casa, per farli ai parenti. Un po' ti senti male, a stare da solo in un giorno così importante.
Come vive il Ramadan fuori dal suo Paese?
Vivere il Ramadan all'estero è più difficile, soprattutto farlo nel modo giusto. In un Paese musulmano si sente che è un periodo diverso: bar e ristoranti sono chiusi per tutto il giorno, la gente non mangia, non fuma, non beve. Qui non è così, puoi sforzarti di non fumare, di non bere, di comportarti in modo diverso da tutti quelli che hai intorno, ma devi essere un grande per riuscirci. Per me che sono un fumatore è un grande sacrificio. Comunque, anche se io non prego regolarmente, non potrei rinunciare al Ramadan. Non ci si può definire musulmani se non si rispetta almeno questa regola.
Ha mai pensato al matrimonio, da quando vive in Italia?
Penso che potrà succedere, in futuro. Certo non mi sposerei mai senza il rito islamico, e se mi sposassi con una donna cristiana, non vorrei avere figli, perchè non sarebbero nè musulmani, nè cristiani. E' impossibile trovare un accordo tra marito e moglie, in questo campo.
L'Islam ha alcune regole alimentari, come l'esclusione degli alcolici, della carne di maiale, di tutta la carne non macellata in un certo modo. Si rispettano anche in Italia?
Qui al centro Astalli non si cucina il maiale e non si mangiano salumi, perchè conoscono le nostre abitudini.
Com'è cambiata la sua vita in un Paese cattolico?
Quando lasci il tuo Paese senti davvero chi sei, se sei davvero musulmano. In Algeria, come in tutti i Paesi del nordafrica, ci sono quelli che non pregano, non applicano nessuna regola della religione, e quelli che le applicano completamente, anche se è molto difficile. Ma se nel tuo Paese è più difficile abbandonare la religione, qui hai la possibilità di farlo, e devi decidere. Io sento che la mia religiosità si è rafforzata.
Com'è il suo rapporto con i cristiani che conosce?
Ci sono musulmani che non hanno nessun contatto con la comunità cristiana, a parte il lavoro. Io l'anno scorso ho lavorato all'Università Gregoriana, e ho conosciuto molti preti. Mi sono trovato bene, anzi un padre, il giorno della festa islamica che cade un mese dopo il Ramadan, mi ha fatto gli auguri. Sono rimasto proprio stupito: è una cosa grande che un sacerdote cattolico esca dalla chiesa e faccia gli auguri a un musulmano per una sua festa.
Le sembra che le comunità islamiche vivano isolate dalle città in cui si trovano?
Molti immigrati di religione musulmana vivono qui ma non conoscono la cultura italiana. Questa è una cosa molto negativa, perchè per vivere bene bisogna conoscere la cultura del popolo con cui si vive. La cultura è la prima porta da cui si entra. Magari si va a lavorare e la sera si ritorna a casa senza avere nessun altro contatto con l'Italia. Faccio qualche esempio: appena arrivato in Italia, ho notato che al bar tutti bevevano il caffè con una certa velocità. Per voi prendere il caffè è un momento, noi algerini davanti al caffè stiamo un'ora, chiacchieriamo come fareste voi bevendo del vino tra amici, con la differenza che noi non beviamo alcolici. Anche la vostra abitudine di salutarsi con un bacio sulla guancia era una novità per me. Eppure, anche su queste piccole differenze non bisogna essere ignoranti.
Questo significa cambiare qualcosa della propria cultura?
Io dentro di me resto algerino. La mia cultura è parte di me, non posso dimenticarla. Ma per vivere e lavorare in Italia devo metterla da parte.
Qual è il rapporto degli italiani con l'Islam, secondo lei?
Chi si sforza di conoscere la nostra religione non basandosi sui luoghi comuni o sull'immagine presentata dai media, la rispetta. In fatto di religione sarebbe meglio conoscere prima di giudicare, ad esempio leggere il Corano, come io potrei leggere la Bibbia in arabo.
Le organizzazioni che rappresentano l'Islam in Italia vogliono raggiungere un'intesa con lo Stato e presentano varie richieste. Se lei potesse fare una sua richiesta, quale sarebbe?
Mi sembrano giuste le proposte già fatte, come quella di avere un momento per andare in moschea il venerdì interrompendo il lavoro. Ma il mio sogno più grande è che la libertà religiosa si realizzi nel mio Paese.

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