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La prima vittima del 2000 si chiama Anton Mariyadasan, ucciso il 1 gennaio di quest'anno nello Sri Lanka. L'ultima, almeno per il momento è Mir Illais Hossain, morto il 15 gennaio in Bangla Desh. Vittime di una guerra silenziosa, trasversale a tutte le altre e che non ha lasciato finire il primo mese del nuovo millennio per mietere nuovi morti e feriti. E' la guerra alla libertà di informazione.

Gli ultimi morti sono solo un'ulteriore conferma di quanto sia realistico il panorama tracciato dal bilancio annuale di Reporter senza frontiere, i cui dati per il 1999 dimostrano che informare è un mestiere sempre più pericoloso in molti paesi del mondo.
L'anno scorso sono stati uccisi 36 giornalisti, quasi il doppio rispetto al 98. La maggior parte di loro è stata assassinata nel corso del proprio lavoro o a causa delle proprie idee politiche. I nomi che figurano più frequentemente nel rapporto sono quelli di paesi come la Sierra Leone, la Serbia, la Cecenia, ma anche la Turchia, la Cina, Cuba o la Birmania.

Ventotto giornalisti sono stati uccisi mentre seguivano dei conflitti. In Sierra Leone i ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito (Ruf) hanno organizzato, dal 6 al 12 gennaio, un'operazione sistematica per eliminare i reporter vicini al governo. Nove di loro sono stati uccisi con un'esecuzione sommaria, come Paul Abu Mansaray, quarantunenne editore del quotidiano Standard Times, giustiziato mentre era in chiesa con la moglie e i suoi tre figli. Ancora i membri del Ruf non hanno esitato a eliminare anche rappresentanti dei media internazionali, come Miles Tierney, cameramen dell'Associated Press, scambiato per un elmetto blu. Ma in un equivoco sono caduti anche i soldati della forza di pace dell'Africa occidentale Ecomog, responsabili dell'omicidio di Abdul Juma Jalloh, del magazine African Champion perché lo sospettavano di essere un ribelle del Ruf.

In Colombia 6 giornalisti sono stati assassinati da organizzazioni armate e gruppi paramilitari. Tra gli altri anche Jaime Garzon, una figura simbolica del giornalismo colombiano e un ardente sostenitore della pace. Due corrispondenti speciali del periodico tedesco Stern, Gabriel Grumer e Volker Kramer sono stati assassinati in Kosovo, in circostanze ancora poco chiare. E la recente offensiva russa un Cecenia ha causato la morte di tre giornalisti locali.

E' leggermente calato, invece, secondo il rapporto di Reporter senza frontiere, il numero dei giornalisti imprigionati. I detenuti, il 28 dicembre del '99 erano ottantacinque, nove in meno rispetto alla stessa data del '98. Questi dati però, sottolinea il rapporto, non offrono necessariamente un quadro veritiero riguardo alla repressione in alcuni paesi. La cifra diventa molto più alta, infatti, se si contano i giornalisti arrestati e poi rilasciati nel corso dell'anno. Solo nella Repubblica del Congo ne sono stati arrestati 40 e da quando Laurent-Désiré Kabila ha preso il potere, nel 97, sono stati circa cento quelli detenuti per periodi più o meno lunghi. La situazione è simile anche a Cuba e in Turchia.

Alla fine del 1999 il paese con più giornalisti detenuti era la Birmania, col triste record di 13 prigionieri. La Siria invece ne vantava 10 e la Cina e l'Etiopia 9. Nelle carceri birmane e siriane, inoltre, i giornalisti sono soggetti a trattamenti degradanti e non sempre ricevono le cure mediche indispensabili. In Turchia, paese candidato come membro dell'Unione europea, quattro reporter sono stati torturati da ufficiali dello Stato.

Sempre stando al rapporto, l'aumento del numero dei conflitti armati nel mondo, ha portato anche ad un maggior numero di giornalisti rapiti. In Sierra Leone sono quindici quelli sequestrati dal Ruf, e 16 quelli che in Colombia sono in balia di vari gruppi armati. In Cecenia, dove il rapimento dei giornalisti ha assunto le proporzioni di un'industria, tre sono ancora nelle mani di bande armate che hanno richiesto pesanti riscatti per il loro rilascio.

La dichiarazione dello stato di guerra o di emergenza è servita spesso come pretesto ai governi per restringere la libertà di stampa. Un esempio è quello della Yugoslavia di Slobodan Milosevich, o quello dell'offensiva russa in Cecenia.

(maggio 2000)

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