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L'inchiesta / L'Italia da salvare
La nuova vita dei paesi fantasma


versione stampabile (.rtf)
>>L'Italia da salvare
 
Una veduta di Morterone
 
Documenti da consultare
- Il rapporto Legambiente 2001 "Investire nel BelPaese"
(file in formato Acrobat Reader; se non hai il programma, clicca sul logo per scaricarlo)
clicca per scaricare Acrobat Reader
L’hanno chiamata piccola, grande Italia: è quella dei comuni minori, degli antichi centri che contano ormai poche centinaia di abitanti, dei borghi in via d’estinzione. E’ l’Italia, forse sconosciuta, che rischia di sparire, con tutta la ricchezza di storia e tradizioni che costituisce probabilmente uno dei sostrati principali della cultura del nostro Paese. Non solo Rocca Calascio, ma una lista di piccoli paesi che sembrano destinati a un declino inevitabile. Qualcosa, però, si sta cominciando a fare.

Secondo il 14° censimento italiano (dati provvisori), sono 5838 i comuni considerati piccoli, vale a dire con meno di 5000 abitanti. In totale, rappresentano ben il 72,1% dei comuni del nostro Paese. Non tutti, ovviamente, corrono il "rischio estinzione". Qualcosa, però, vorrà pur dire il fatto che nel 2001 sia stata presentata in Parlamento una proposta di legge dal titolo "Misure per il sostegno delle attività economiche, agricole, commerciali e artigianali e misure per la valorizzazione del patrimonio naturale e storico-culturale dei comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti".

La proposta, si legge, mira a salvaguardare quell’Italia "a rischio progressivo di estinzione". Le misure indicate nel progetto puntano a migliorare strutture e servizi e, in generale, le condizioni di vita soprattutto in quei piccoli centri dove le difficoltà e l’isolamento spingono la popolazione ad andare via. L’iniziativa "Piccola Grande Italia" (alla quale hanno aderito, tra gli altri, il Corriere della Sera e Legambiente) si ispira a esperienze simili già attuate in altre zone d’Europa.

Le realtà che soffrono maggiormente l’isolamento e il progressivo abbandono sono i centri di montagna (come Rocca Calascio, per l’appunto). Eppure, in questi ultimi tempi sembra affermarsi una pur timida inversione di tendenza nelle abitudini degli italiani. In effetti, negli ultimi dieci anni è diminuita sensibilmente la popolazione nelle grandi città (oltre un milione di residenti in meno nei comuni con più di 100 mila abitanti), mentre nei piccoli comuni c’è stato un lieve incremento (+ 65000 nei centri con meno di 5000 abitanti; + 305603 in quelli tra 5000 e 10000 abitanti). Segno, forse, che gli italiani preferiscono abbandonare la metropoli per andare ad abitare in zone più tranquille, dove, nonostante le difficoltà, la qualità della vita resta comunque elevata. A patto, però, di trovarvi il minimo indispensabile: negozi, un ufficio postale, una banca, una farmacia.

I dati del censimento considerano solo la soglia dei 5000 abitanti, raggruppando in un’unica classe i comuni con alcune migliaia di abitanti e quelli con poche centinaia, o anche meno, di residenti. E’ evidente che quest’ultima categoria è quella maggiormente a rischio. Esistono, in Italia, comuni nei quali non rimangono che poche decine di abitanti, a volte solo un paio di famiglie. E’ il caso di Morterone, in provincia di Lecco, che risulta essere il comune più piccolo d’Italia, con solo 33 residenti.

Secondo gli esperti, "lo spopolamento di vaste aree - soprattutto pedemontante, montane e insulari - hanno nel secondo dopoguerra assunto caratteri strutturali delineando un’Italia che possiamo definire del ‘disagio insediativo’ che interessa tutto l’arco alpino, soprattutto ligure, piemontese, lombardo e friulano, si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro meridionale, nelle parti montuose della Sicilia e della Sardegna; attecchisce nel robusto ‘piede d’appoggio’ meridionale, risale gli Appennini dalla Calabria all’Abruzzo, interessando pesantemente la Basilicata, dove 97 comuni sono a rischio progressivo di estinzione, e si apre, affievolendosi, verso nord, secondo una biforcazione che tocca aree interne delle Marche e della Toscana Meridionale".

Il fenomeno, dunque, è di ampia portata. Se è difficile fare una mappa esaustiva dei centri abbandonati (siano essi comuni o frazioni), appare evidente che il problema interessa insomma quasi tutte le regioni italiane.
Nel rapporto "Investire nel BelPaese" (scarica il documento in formato Acrobat Reader), presentato da Legambiente e Confcommercio nell’ottobre 2001, l’analisi si focalizza sui comuni con meno di 2000 abitanti, vale a dire quelli sull’orlo o in via d’estinzione. Essi rappresentano il 45% del totale. Il rapporto evidenzia in primo luogo le differenze tra situazioni e contesti: "si passa dall’Italia delle produzioni tipiche, di forte attrattività turistica e generosi standard di vita - dove la dimensione contenuta della collettività è un ulteriore plus qualitativo - ai municipi con cittadini anziani e/o depauperati, afflitti da servizi insufficienti, non in grado di esprimere forme di manutenzione dell’ambiente, valorizzazione e competitività del territorio che vadano oltre la faticosa gestione del quotidiano". Insomma, realtà diverse anche tra comuni di medesima grandezza.

Se i comuni con meno di 2000 abitanti sono 3644, quelli a "rischio disagio", continua il rapporto, sono 1867, il 23% del totale. Essi sono concentrati soprattutto in Valle d'Aosta (dove rappresentano il 79.7% del totale), in Molise (73,5%), in Piemonte (73,1%), in Trentino (67,3%) e in Abruzzo (61,6%). Secondo il rapporto, "la prima caratteristica rilevante che emerge dall'analisi della distribuzione territoriale dei comuni analizzati, riguarda il forte legame con le aree montane". Ma secondo gli analisti, non si può dire che il disagio abita in montagna. "La marginalità è influenzata più dal modello insediativo generale che da condizioni specifiche". In altre parole, piccoli comuni, anche di montagna, non soffrono alcun disagio se sono inseriti in un contesto di sviluppo e di vivace realtà economica e sociale. Dove però si assiste a uno spostamento verso i grossi centri di tutte le risorse produttive, appare più grave l'effetto di marginalità dei piccoli e piccolissimi centri. In sostanza, si legge nel rapporto, "non è l’altitudine, la distanza o il sistema
connettivo a marginalizzare il territorio, a renderlo “disagiato”, ma la storia stessa del suo sviluppo". Dove questo sviluppo non è avvenuto, o è avvenuto in maniera poco proficua, bisogna invertire la tendenza. Per non perdere piccoli tesori come Rocca Calascio.

 

- Il sociologo dice

 


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Tesina multimediale realizzata da Germano Antonucci - Ifg Urbino
Aprile 2002