Un paradiso come prigione
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Viaggio nella fattoria
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Dossier multimediale
realizzato da

Cristina Colli
 

"Da qui si guarda lontano"

I lavoratori della fattoria: l'agente, il veterinario e tre detenuti

Non ti rendi conto della vera atmosfera di Gorgona finché non ti trovi faccia a faccia con loro, i detenuti. Sai che sono i veri protagonisti di questa prigione a cielo aperto e sai che nei loro occhi e nelle loro parole puoi trovare la chiave per capire l'isola. Ti imbarchi a Livorno e nell'ora passata sulla motovedetta della finanza in mezzo alle onde del mare, ti domandi cosa chiedere a queste persone confinate e soprattutto come farlo. Programmi le domande e i toni, poi la barca attracca e tu scendi su una terra che in un certo senso cambierà molto l'idea che hai, innata forse, del carcere e dei detenuti.

Su Gorgona vivono circa 130 detenuti, che non indossano divise, ma abiti da lavoro. Tutti infatti fanno un mestiere e per questo vengono pagati. Ti sembra di essere in un villaggio di una qualche campagna italiana, inizialmente. Vedi solo verde, gente che si muove sui trattori e persone che girano con attrezzi per i campi. I detenuti non stanno chiusi in celle, ma vivono quasi liberi. Eppure i segni che ti ricordano di essere in una prigione ci sono. Salendo dal porto incontri infatti i Limiti, posto di blocco, per così dire, dove chi passa deve farsi riconoscere. E poi arrivi alla Sezione. Questa è la zona dove vive una parte dei detenuti. E' un palazzo basso, con guardie all'entrata, e celle in cui i detenuti tornano dopo il lavoro.

Qui vivono solo alcuni di loro perché su Gorgona ci sono anche gli "sconsegnati", quelli che, per buona condotta e per il tipo di lavoro che svolgono, devono essere più liberi e non avere vincoli di orario. Questi detenuti hanno delle casette vicino al posto di lavoro - per esempio vicino ai porcili, agli orti, alle mucche, alle officine - e non sono sottoposti a rientri o orari fissi, anche se ovviamente sono controllati. Le "case" degli sconsegnati sono formate da una stanzetta, un bagno e un angolo cottura (chi vuole può cucinarsi il pranzo e la cena senza dovere andare in mensa).

Una volta superata la Sezione, dopo una curva, arrivi all'agricola: è la fattoria di Gorgona. E a quel punto tutto ciò che ti eri programmato durante il viaggio cade. Hai di fronte delle persone desiderose di farti conoscere il loro mondo e per niente titubanti o impaurite. Sono ospitali, offrendoti formaggio e pane di fronte al camino, e si prestano ai tuoi flash con la timidezza tipica di chi si trova davanti a una macchina fotografica. A quel punto decidi che mai e poi mai chiederai a queste persone perché sono state condannate, non è importante. Chiamandoli con nomi inventati, per rispetto, ti fai raccontare come si sta in un paradiso come prigione.

"Ero in un carcere in Sardegna - spiega, guardando il mare, Serafino- e ho chiesto di venire qui perché là vedevo solo i muri bianchi della prigione, era come il manicomio, qui almeno posso guardare lontano". E solo allora ti accorgi che da ogni angolo della fattoria si vedono la costa dell'isola, il mare e l'orizzonte. E chi vive in Sezione non si lamenta. "Di giorno si gira liberi per l'isola - racconta Antonio, trentuno anni, quattro passati in Gorgona, ora sta finendo la sua pena lavorando nella cooperativa che Padre Davide ha a Livorno - e la sera si è così stanchi per il lavoro che quasi non vivi più la cella come tale".

Tutti piano piano si sciolgono davanti al registratore e vogliono raccontare qualcosa. Arriva il mugnaio della fattoria: "Qui impariamo a fare i contadini, gli allevatori, i veterinari", sorride. Giulio, che prima era in un carcere chiuso, non ha dubbi nel definire positiva la vita su Gorgona. "Ma anche se è d'oro - dice - è sempre una gabbia. Poi dove ero prima potevo studiare, stavo facendo l'Ipsia, qui invece ci sono solo le medie". Silvano ti invita nella sua casa e aprendo la dispensa ti mostra orgoglioso le sue melanzane sott'olio, offrendotele, naturalmente. Tutti i detenuti concordano nel dire che ciò che rende Gorgona un paradiso, rispetto alle altre prigioni, è l'assenza di ozio. "Il lavoro ti fa sentire importante - spiega Gabriel - e ti fa sperare nel futuro".

Ogni tanto, mentre parlano, lasciando per un attimo il proprio lavoro per accompagnarti in giro per la fattoria, si interrompono e alzano lo sguardo. Ti accorgi che guardano le jeep degli agenti che passano a controllare che tutto sia in ordine. I detenuti vivono una certa libertà, ma ci sono sempre le conte e i controlli a ricordare che si è in una prigione.

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Pubblicazione: maggio 2002