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Pirati nell’etere
La nascita di una radio in un pomeriggio noioso

"Bobo" pronto alla messa in onda

Sul pullman che lo portava a lezione, Carmine immaginava il pomeriggio noioso che era lì ad attenderlo. "Lì" è il suo paese, Santa Sofia d'Epiro, a una quarantina di chilometri da Cosenza. Una distanza che con appena un abbonamento dell'autobus in tasca, si poteva percorrere solo poche volte al mese. Per il resto dei giorni, meglio escogitare qualcosa con gli altri del paese. Una radio.


LA PRIMA CASSETTA C-120
Un'audio-cassetta C-120 da cambiare ogni due ore, una piastra e un trasmettitore. Così Carmine e il gruppo di amici che era riuscito a coinvolgere avrebbero dato forma alle loro giornate. In fondo, quella era la passione che tutti li accomunava: la musica. La si ascoltava sulla corriera che portava a scuola ad Acri, ciascuno col proprio walk-man.

Una musica "diversa" dalle radio locali e che, per stare insieme nel pomeriggio si continuava a sentire a casa di qualcuno di loro: si sfruttava magari la collezione di un fratello maggiore o di un genitore "moderno". Un ascolto però limitato nel tempo e, soprattutto, nel volume, per non urtare l'udito di chi a quelle vibrazioni era estraneo se non addirittura ostile.

Finalmente con la loro novità avrebbero deciso autonomamente quale musica trasmettere. Con una radio avrebbero rotti i confini delle pareti domestiche per giungere alle orecchie di chi la loro musica non la conosceva o non poteva ascoltarla per mancanza di mezzi. Non tutti avevano un impianto adeguato ma una semplice radiolina sarebbe bastata per seguire le avventure di quei ragazzi del proprio paese. Nasceva così Radio Epiro. Era la primavera del '90.

L'ingresso di Radio Epiro

«UN POSTO DOVE BERE, FUMARE, METTERE MUSICA»
"Quando decidemmo di fondare Radio Epiro non avevamo in mente di fare niente di grande" racconta Carmine che oggi, a 29 anni, è già emigrato una volta al Nord in cerca di lavoro e lì è rimasto per qualche tempo prima di tornare alla base, in Calabria.

"Semplicemente non sapevamo cosa fare - prosegue - e l'idea di non avere un posto dove stare, non solo per ascoltare musica ma anche solo per passare il tempo insieme, bere e fumare una sigaretta è stata la molla che ci ha spinti a fondare la nostra radio". E che le ha assicurato una longevità inaspettata.

Comincia così il recupero del "materiale" in giro per il paese: i ragazzi più grandi, quelli sposati e che però non avevano lasciato Santa Sofia conservavano in qualche scantinato i vecchi dischi. Ed erano disposti a cederli per farli "girare" ancora una volta. Uno dei ragazzi porta in dote l'intero repertorio dei 45 giri di un vecchio juke-box dismesso su cui è riuscito a mettere la mani.

Infine la spesa più impegnativa. Un'antenna, ottenuta grazie a un faticoso autofinanziamento che significava nella maggior parte dei casi concessione di fondi da parte di genitori ancora un po' scettici di fronte a questa nuova trovata dei ragazzi. Tutto era pronto.

In realtà, perché la radio decollasse mancava un tecnico. Non che la trasmissione con quei mezzi essenziali se non rudimentali richiedesse chissà quale competenza, ma tra i fondatori nessuno aveva mai maturato una seppur minima esperienza a riguardo. Ecco perché i ragazzi pensarono subito a Bobo.

ALLA RICERCA DI UN TECNICO: ECCO L 'UNICO CANDIDATO
Angelo, conosciuto da tutti come Bobo, un ragazzo che in paese veniva considerato un alternativo. "Una sera - racconta Bobo - mi hanno proposto di riaprire una nuova radio perché non si sapeva come far trascorrere il tempo in un piccolo paese di provincia". "E io - prosegue - ho portato quel po' di esperienza che avevo".

Bobo, infatti, aveva partecipato all'onda delle radio libere che aveva bagnato anche Santa Sofia sul finire degli anni Settanta. Un fenomeno che in questo paese si era però colorato con le tinte della cultura del luogo e aveva fatto sì che la radio del tempo che si chiamava Radio Sofia avesse finito per concentrarsi sulla musica popolare. Una forma d'espressione che qui, a queste latitudini, si esprime nella lingua parlata in paese.

L'arbëreshë, una forma di albanese arcaico importato in Calabria (e in alcune altre regioni d'Italia) da un'ondata di immigrazione nella metà del '400. Ma di questo patrimonio i ragazzi degli anni '90 non sembrano volersi avvalere. Almeno fino a questo punto della storia. Per le loro prime e improvvisate trasmissioni si parla italiano.

L'ULTIMA TESSERA E LA MANO DEL COMUNE
Per completare il mosaico manca l'ultima tessera. Un locale che possa ospitare la radio. La ricerca di uno studio si rivela, però, meno complicata del previsto. Gioca a favore dei "padri" di Radio Epiro quella condizione che, per altri versi, rappresenta ai loro occhi una dannazione. Le minuscole dimensioni della comunità in cui vivono.

Dove immaginare se non in un paese di poche migliaia di anime un Comune che si traveste da fata benefica e assegna ai ragazzi un luogo libero dove installare i propri macchinari? Una concessione gratuita che dura per due anni.

Un tempo abbastanza lungo per imprimere alla neonata radio un sicuro abbrivio e per sottrarre a una prematura morte la fantasiosa creatura di Santa Sofia.

 

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