Dall'antichità
al Novecento
I primi "edo"
Verso
il 1600 i manga sulle pareti dei templi cominciarono a essere considerati
come delle attrazioni.
Per renderli visibili a un pubblico più ampio, vennero riprodotti su
tavole di legno, facil-mente trasportabili in città e villaggi. In quest’epoca
a fianco del termine “manga” cominciò a essere usato il termine “edo”,
mentre per “manga” si cominciò a intendere lo stile del disegno più
che il disegno stes-so.
Gli
“edo” (qui a lato vediamo la riproduzione su papiro di un raro disegno
di Kampaku Monogatari, del 1620) riproducevano sog-getti meno religiosi
di quelli dei templi. Spesso si trattava di grafiche erotiche, ma anche
piante di costruzioni e striscie di sa-tira. Le figure erano composte
in monocro-mia, con profili raramente colorati in maniera rudimentale.
Dall' "edo" al "Toba-e"
Nel
1702 Shumboko Ono, uno dei primi ce-lebri artisti manga, volle raccogliere
un campionario dei suoi disegni in un libro, che è rimasto fino ai nostri
giorni come la rac-colta di manga più antica del giappone. Nel giro
di un secolo, la tradizione del “Toba-e”, come furono chiamate queste
raccolte, si estese a tutta la società giapponese.
Ancora
ai giorni nostri, nell’epoca della te-levisione e di internet, in Giappone
i manga su carta godono di grande popolarità. Alcuni sociologi nipponici
hanno addirittura sostenuto che proprio grazie al manga la comunicazione
letteraria conserva nel pa-ese un ruolo maggiore di quanto non acca-da
in Occidente.
Quel che è certo è che lo stile manga è utilizzato nei contesti più
diversi, non solo per intrattenimento; basti pensare che la maggioranza
dei periodici ge-neralisti sono impaginati come manga, per non dire
del manuale universitario di economia che pochi anni fa fu pubblicato
in questo stile.