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E
il buio fu
C’è
un amore che Sergio Cechet non ha mai abbandonato: quello
per gli aerei. Nella sua casa di Ronchi dei Legionari, la
cittadina in provincia di Gorizia dove vive, risaltano le
mimetiche, appese in ogni angolo, oltre a una collezione di
caschi da pilota e soprattutto una, fornitissima, di modellini
di aerei. "Ne ho visti tanti, ma il più bello è l’F15
Eagle. Me lo passi?" Questo amore gli ha cambiato la
vita. Questo amore lo ha ripagato con un’esplosione, che gli
ha portato via gli occhi, una mano, ma non i sogni. |
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Tutto
iniziò il 10 maggio del 1975, quando partì per Caserta, per frequentare
il corso per sottufficiali dell’Aeronautica Militare. La domanda
era stata accolta, e lui ne fu felice. "Sono nato per lavorare,
non ce la facevo proprio a passare il tempo sui libri, anche se
avevo iniziato a frequentare scuole professionali, dapprima come
congegnatore meccanico per seguire le orme di papà, poi come perito
industriale. Lasciai le scuole, e iniziai a fare l’operaio, in officina
e in acciaieria, e anche l’elettricista. Poi arrivò la chiamata.
Nonostante tutto, pensavo che avrei vissuto una vita normale, invece…".
Invece lui, nato a Fogliano-Redipuglia, a pochi chilometri da Ronchi,
il 16 agosto 1957 da papà Ennio, tornitore ed ex partigiano, e da
mamma Valeria, casalinga, cominciò subito a prendere contatto con
gli aspetti più crudi della vita. Conobbe i pianti, i drammi, le
tragedie sin da quando, conseguito il diploma, fu avvicinato a casa
e dislocato al poligono di Maniago, presso Udine. "Aiutammo
a liberare le case distrutte dal tragico terremoto del ’76. Ci davano
una mano coloro che non avevano più un’abitazione e magari qualche
caro sepolto sotto le macerie. Tutto questo mentre continuavano
le scosse di assestamento". Tre anni dopo, nell’autunno del
’79, un altro dramma da raccontare: "Cadde un aereo miltare
che proveniva da Treviso, poco fuori dalla nostra caserma. Non fui
tra i primi ad accorrere sul luogo del disastro, ma quando arrivai
le macerie dell’aereo erano ancora in fiamme. Chiesi subito notizie
del pilota: “ma non lo vedi?” mi risposero. Stavo camminando sopra
i suoi resti…".
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Il
18 agosto 1982 ci fu un altro incidente, il più tragico,
il suo. "Era
una mattina come tutte le altre, stavo facendo un normale
controllo nella sala modellismo, di cui ero responsabile.
Sui tavoli c’erano carte, pennelli, colori, taglierini e
dentro un cassetto, qualcosa che non doveva essere lì, un
cilindro di alluminio. Lo presi in mano, per guardarlo meglio...e
fu lo scoppio".
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L’indagine
confermò che era la parte interna ed esplosiva di una SRCM da guerra,
una bomba d’attacco. Tre schegge gli penetrarono negli occhi, altre
nel collo e nel viso. "Caddi a terra e mi strinsi forte il
polso: mi accorsi subito che della mano non era restato niente.
E mi accorsi che il primo soccorritore, alla vista della scena,
svenne accanto a me. Restai cosciente fino in sala operatoria, dove
rimasi sette ore sotto i ferri. Quando mi risvegliai in sala rianimazione,
il primario mi disse subito: non c’è niente da fare, dobbiamo asportare
tutto, resterai cieco per sempre. Avevo una luce intensa puntata
in faccia, ma per me era il buio più totale". "Il comandante
non mi volle firmare il modulo che mi avrebbe concesso subito la
causa di servizio. Ero guardato male, perché ero fuori dagli schemi.
Portavo i capelli lunghi e le divise in disordine. Ma a me interessava
l’aspetto pratico della vita militare, non quello estetico o formale,
come gli inquadramenti e le marce. Fui accusato di appropriazione
indebita di arma impropria ma il giudice mi concesse l’assoluzione
piena "perché il fatto non costituisce reato". Ho ottenuto
la causa di servizio e con essa un riconoscimento economico e sociale.
Ora sono tenente in ruolo d’Onore dell’Aeronautica Militare”. La
pensione di invalidità al 100% gli è stata però concessa solo nel
1988 e lì è cominciata una nuova era, dedicata allo sport. Prima
lo sci e il titolo italiano disabili di slalom gigante, conquistato
ad Asiago nel 1994. Poi, dopo la delusione per la mancata convocazione
in nazionale per le Olimpiadi di Lillehammer di quell’anno e la
scoperta del mondo subacqueo, il record del mondo di immersione
con bombole. E ora il volo ultraleggero. Ma la vita di tutti i giorni,
com’è? "Sedentaria - risponde amaro - perché ci sono le barriere:
quelle architettoniche, quelle fisiche e quelle sociali. Mi sono
tenuto stretto gli amici più cari, quelli veri e sinceri, non quelli,
e sono tanti, che mi hanno abbandonato. Con loro c’è anche un accompagnatore
che mi concede l’Aeronautica: un ragazzo che svolge il servizio
militare come A.G.I., Accompagnatore Grandi Invalidi. Mi piace andare
a fare gite con il mio fuoristrada o uscire in barca, e fare il
bagno. Vado poi volentieri a feste o raduni, invece non mi chiudo
mai in un bar, troppo triste". In casa di Sergio Cechet si
possono ritrovare gli ultimi prodotti della tecnologia, in particolare
quella digitale, cominciando dall’impianto tv satellitare. "Uso
i media elettronici più di quanto si possa immaginare, anche la
televisione -spiega- seguo telegiornali, documentari ma anche film.
Li capisco e me li godo tutti, anche senza immagini. La radio invece
sta perdendo sempre più senso, l’ascolto poco perché la musica moderna
non mi piace. Si è perso il ritmo caldo del rock col quale ero cresciuto.
Una volta ero radioamatore, ma adesso con le forme di comunicazione
tramite computer e cellulari, in onda non c’è più nessuno, e così
ho smesso". |
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