Ahmed


Sei nel bazaar pakistano

I miei figli:"Papà noi siamo italiani"

La sua prima notte in Italia Ahmed la ricorda molto bene. “Ho dormito su un marciapiede”, dice. Lo racconta tranquillamente, come se parlasse delle difficoltà di un’altra persona, di un’altra vita.

“E’ stata dura all’inizio, perché una mano non te la dà nessuno. Sono arrivato qui nel ’73 e non parlavo una sola parola d’italiano. Solo l’inglese”. L’Italia lo ha accolto così. Una branda di cemento e una notte fredda. Non deve essere stato facile per chi fuggiva da una vita che considerava priva di prospettive ma che in patria non soffriva certo la fame.

“In Pakistan - continua Ahmed - avevo un impiego in banca. Ma da lì desideravo andare via. All’inizio avevo pensato alla Danimarca, poi sono finito a Roma, un po’ per caso. Appena ho racimolato un po’ di soldi mi sono sistemato in un garage".

Ahmed parla con un cliente

"Durante il giorno - spiega - frequentavo una scuola per imparare la lingua. Il mio sogno era aprire un negozio. Ma per farlo occorreva la licenza e l’esame alla Camera di commercio, per questo dovevo studiare”. Studiare e sbarcare il lunario. Ahmed lo ha fatto per anni, con l’umiltà di chi ricomincia da zero.

Nell’82 ha ottenuto la licenza per aprire il negozio e ha cominciato a importare merce dal Pakistan, ma anche dal Bangladesh, dalla Thailandia e dall’India. Nella sua bottega a due passi da Piazza Vittorio vende incenso, portagioie, oggettistica orientale che gli italiani comprano per dare un tocco esotico alle loro case.

Sta dietro la bancone del suo negozio, le mani saldamente aggrappate al tavolo, come a difendere quello che ha costruito. Anche adesso che le cose non vanno benissimo.

Un narghilè in vendita nel negozio

 

“Il quartiere - ammette Ahmed - è in mano ai Cinesi. Si aiutano a vicenda, hanno dietro forti capitali e comprano un negozio dopo l’altro.

Ma io ci vado abbastanza d’accordo e comunque non ho intenzione di vendere. La mia vita è qui”.

In Italia Ahmed ha la sua famiglia. La moglie pakistana e due figli maschi di cui va orgoglioso. “Si chiamano Judaid e Shoaeb e quando discutiamo delle nostre origini non fanno che dirmi: papà, noi siamo italiani”.