La dea Kalì della Vucciria

Una santa per due religioni


Che lavoro fanno
In fuga da casa
Il tempio che non c'è
 
Al lavoro tutta la settimana, la domenica i tamil non mancano l'appuntamento con santa Rosalia
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CHE LAVORO FANNO A PALERMO

Phararajhsingam ha fatto mille mestieri in vita sua. Ha lasciato lo Sri Lanka su una nave imbarcandosi come marinaio. Ha viaggiato su e giù per i mari prima di arrivare a Palermo, che gli è piaciuta tanto da restarci. In città ha iniziato come cameriere in un ristorante. Oggi che abita qui da tanto e ha quattro figlie da mantenere ha aperto un negozio di spezie e prodotti indiani in via Dante.

Vivono così i tremila tamil di Palermo: per lo più nel centro storico, dove si mescolano a musulmani provenienti da mezzo Mediterraneo e al popolo palermitano di Ballarò, del Capo e della Vucciria. Una comunità di tremila persone, la più grande di tutta Italia. I primi sono arrivati all’inizio degli anni ’80; pian piano hanno chiamato le famiglie, le loro mogli e i loro figli. Poi, i figli hanno cominciato a nascere qui. Ma non basta frequentare la scuola locale, per sentirsi italiano.

Accanto alla bottega di Phararajhsingam, ogni sabato pomeriggio apre la scuola tamil. Alcune volontarie si danno da fare per insegnare ai bambini la lingua e le tradizioni del paese dei loro genitori. Li aiutano a fare i compiti dell’altra scuola, quella italiana, e poi si danno a canti, balli e racconti.
E poi una domenica pomeriggio di giugno viene fuori la festa: un torneo di calcio in cui i bambini, maschi e femmine, gareggiano con accanimento.

In uno spiazzo polveroso e nascosto in mezzo al parco della Favorita, il vocio di decine di famiglie tutte rigorosamente tamil. Lì accanto, oltre gli alberi, i palermitani che sfrecciano nelle loro auto, giurerebbero che dietro quelle frasche ci sono solo prostitute o qualche famiglia che fa il picnic. Attorno al capo della comunità, il signor Metha, pronto ad assegnare la coppa, fanno capannello donne in abito tradizionale, il volto bruno, affilato e sorridente.

Ma a Jenny viene difficile sorridere. Quando ha cercato lavoro, anche se studia all’università, si è vista rispondere picche. Certo è difficile per tutti, ma per loro in modo speciale. “Mi guardano e, dopo, quello che mi offrono – spiega – è un impiego da donna delle pulizie o da badante”. E Jenny fa parte della nuova generazione, quella di chi è nato in Italia o c’è venuto da piccolissimo: ha studiato alla scuola alberghiera in Italia e ora è iscritta all’università a Palermo. I tamil dello Sri Lanka lasciano il loro paese a causa della guerra; spesso hanno preso la laurea in patria. Il loro titolo di studio qui però non conta. .

E così in mezzo alle botteghe dei mercati rionali, ci sono anche i loro negozi. Oppure lavorano nelle case della Palermo bene. Anthony ci prova sempre, nel pranzo della famiglia per cui lavora, ad aggiungere un pizzico di curry. “A volte tutti mangiano con piacere, ma – confessa - altre volte mi guardano storto!”. Ogni mattina prende un autobus che lo porta dall’altra parte della città e passa ore a lavare piatti e pavimenti, a cucinare pietanze occidentali a cui prova ad aggiungere un po’ di sapore di casa sua.

La cucina indiana non è per tutti i palati. Il piccolo ristorante indiano del Borgo vecchio, uno dei quartieri più popolari della città, è frequentato quasi esclusivamente da tamil. Sembra che tutti gli italiani che ci mettono piede siano condannati al mal di pancia e così preferiscono il locale di via Praga: zona residenziale, ristorante dall’aspetto più occidentale. Qui lavora Kavì. “In realtà il ristorante è di un italiano”, ammette. Cibo esotico, sì, ma non troppo esotico: sarà questo il segreto per piacere ai palermitani.