LA STORIA

AL SAN VITO

NONSOLOTIFO

 
il cartello indica i lavori per la nuova Oasi
uno degli ospiti dell'Oasi in portineria
lavori per la nuova struttura nell'agosto 2003

“Scusa Antonello, dove sono i pannolini?”
Poi entra un uomo,
ha un viso segnato, chiede un posto caldo per dormire. “A chi mostro il codice fiscale?” “Ehy, dove si registrano i conti correnti? C’è un versamento di un signore di Lecce…” Non è facile parlare con Antonello, braccio destro di padre Fedele, (il frate come tutti i natali è in missione in Africa (ora è in Congo) e per i molti debiti non dome sogni felici…) A Cosenza, a due passi dallo splendido, popolarissimo centro storico spunta come un fungo alto sei piani la nuova Oasi francescana, casa di accoglienza per immigrati, senzatetto, ragazze madri, detenuti agli arresti domiciliari, persone sole e senza mezzi. In città la conoscono tutti. I lavori per costruire la nuova struttura sono durati per anni. All’ingresso, è un viavai di gente. La struttura è nuovissima, luminosa. Gli operai ancora ci lavorano. Dietro la portineria, una ragazza bruna tuttofare, sorride, indossa dei guanti sterilizzati ma non vuole essere fotografata, si nasconde sotto il bancone. C’è un’atmosfera allegra, elettrica, quasi un po’ di improvvisazione.

Ma si avverte la tensione, qui ogni momento c’è un problema da risolvere. Franco dà una mano, è anche lui un “povero”, come si dice qui, adesso è quasi il capo dei poveri, risponde al telefono, si dà da fare, ti fa strada ovunque. Lui sì, che vuol farsi fotografare. Antonello intanto sorride. “Vieni qui la mattina, ti accorgi di cosa c’è da fare e parti. Impossibile programmare quello che si farà domani”.

 

 


 

 

 

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