LA STORIA

AL SAN VITO

NONSOLOTIFO

 
Il Cosenza salì in serie B e padre Fedele...sul pennone


Gira su una vecchia Wolkswagen grigia. Va veloce. Barba bianca sul saio, occhi accesi, modi sbrigativi, poco formali. La squadra del Cosenza nel cuore, le domeniche passate a urlare sugli spalti rossoblu. Le missioni in Africa il carburante di una vita, come i viveri raccattati in mezzo alla strada per costruire in Congo, Senegal, India ospedali e orfanotrofi. Padre Fedele è un monaco cappuccino,
vive in convento a Castiglione Cosentino e passa la vita tra le strade dell’Africa e quelle più povere di una Calabria “popolare” piena di piaghe da sanare. E a giocarla sui campi di calcio di periferia, nello stadio San Vito, tra i ragazzi della Curva Sud di Cosenza. Ma non chiamatelo “monaco-ultrà”. Ora, a 67 anni, questa definizione comincia a stargli stretta. Gli anni passati a inneggiare cori allo stadio non si possono rinnegare, ma oggi il cappuccino è più impegnato in altre attività. E’ stata da poco conclusa l’Oasi francescana, una grande struttura che ospita chiunque non ha un tetto. La struttura nasce da una mensa dei poveri creata dal monaco negli anni ’80. A essere “reclutati”, all’inizio, sono gli ultrà di allora: Paride, Sergio, Piero, Jean –Paul, Vincenzo. I supertifosi del Cosenza impiegavano il loro tempo libero cucinando per i senzatetto della città. Gli stessi ragazzi che seguiranno il monaco dagli spalti del San Vito alle missioni in Africa Di farsi amare e condannare, invece, padre Fedele non è per niente stanco. Lo hanno chiamato “garantista” coi detenuti agli arresti domiciliari che ha accolto nella struttura da lui fondata “l’Oasi Francescana”, ritrovo di ragazze madri, diseredati, bisognosi.
Troppo fuori gli schemi per

Il monaco alla guida della sua vecchia Wolkswagen

essere capito, Padre Fedele ci ride su. Con i cliché ci gioca. “La mia normalità è la anormalità”, dice per prima cosa, guardandoti fisso negli occhi, facendoti salire sulla sua vecchia Wolkswagen. Forte delle vite salvate, dei Natali in missione. “Chi non ha mangiato nella scodella di un lebbroso non sa cos’è la felicità”, dice pure. Amatissimo dagli ultrà cosentini e da i volontari che lo seguono nei suoi impegni nel sociale, in Africa padre Fedele ha rischiato la vita varie volte tra malaria e un tentativo di omicidio. Ma è solo l’inzio delle avventure e le conquiste di questo monaco irruente. Tanto che, quando con candore dice: “Vorrei fare un film sulla mia vita”, non ci si può stupire. Niente di più facile che succederà.

 

 

 

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