Veline: carne da macello. Separatismo scelta obbligata

L'artista Liv Brakstad alla Casa

Siede nel chiostro e lavora a maglia. Non una maglia qualsiasi, Liv sta sferruzzando un lunghissimo abito di lana che le servirà per uno spettacolo. È una donna norvegese. Un’artista di strada che contesta la società omologata.

Non capisce perché le donne italiane siano sempre così curate. “Why do they have so high hills, tacchi alti?”, si chiede, e continua: ”Come possono usare bene il cervello se pensano continuamente alle creme di bellezza e alle scarpe di firma?”. Scuote la testa. Non comprende. Ritorna al suo lavoro a ferri. Liv è uno dei volti femminili che si incontrano casualmente al Buon Pastore. Eppure la pensa come molte delle attiviste che vivono e lavorano per le associazioni.

“Questa casa è aperta a tutte le donne, ma ciò non significa che ci vengano!”, ironizza Edda Billi, presidente dell’Affi. Alle domande sulla storia del movimento femminista le si riaccende l’animo combattivo: “S’è lottato tanto e siamo finite a fare le veline ... e adesso anche le velone!”. Inveisce contro le nuove generazioni femminili, le quali – dice - “sono felici esse stesse di essere letterine, ereditiere, meteorine”. La chiacchierata si anima.

La redazione on-line

“Non è giusto criticare una scelta personale: ma quei corpi sono carne da macello, è un lavoro miserabile, c’è ben altro da fare. Per esempio prendere la parola, farsi sentire, insistere … per non essere solo dei culi che sculettano”. Edda racconta di quando si andava a censurare i manifesti pubblicitari. Armate di colla e spazzolone appiccicavano un'enorme scritta gialla “Questo offende la donna”, a coprire le nudità.

Giovanna Olivieri
Il foglio de Il paese delle donne

Stare in prima linea, però, è impegnativo – ammonisce – molte donne negli anni ’80 hanno preferito tornare a casa”. La vera svolta per il movimento femminista arriva con il separatismo. “All’inizio si trattava di fare politica al di fuori degli spazi misti – racconta Giovanna Olivieri (Cfs) - sono stati gli uomini i primi a utilizzare spazi separati – solleva – ritrovandosi nei bar, nei club e nelle aree di dominio maschile”.

Le esperienze dei collettivi, nei quali si praticava l’autocoscienza, sono state fondamentali per la liberazione delle donne. “Luoghi dove il racconto di sé – scrive , Marina Pivetta, direttrice del Foglio del paese delle donnetrovava riscontro in ciò che dicevano le altre”.

Uscivano così allo scoperto antiche oppressioni, violenze, condizionamenti, ruoli e poteri subiti, ma anche la testimonianza di una sessualità rimasta per troppo tempo passiva all’immaginario maschile.

Nel saggio di Marilyn Frye si legge: “La separatista vive con l’ulteriore peso di venire considerata da molti una bigotta moralmente depravata che odia gli uomini”. Tutto ciò, continua la scrittrice americana – offre un utile indizio: “se fate qualcosa che è così strettamente proibito dai patriarchi, dovete star facendo qualcosa di giusto”.


Eterosessualità, matrimonio e maternità sono tre
concetti tabù per una separatista. Per i più è difficile da capire, ma una donna può diventare lesbica per scelta politica. Rinuncia al compagno, al matrimonio e a diventare madre. Per lei diventa l’unico modo per contrastare il potere maschile, il cosiddetto patriarcato.

Forse, come scriveva Carla Lonzi, una scelta così estrema era dettata da una necessità impellente:
"Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo. Ritrovare una completezza, un'identità contro una civiltà maschile che l'aveva resa irraggiungibile".

 

 

 

 

La storia
Archivia!
Il cortometraggio
Le artigiane
La fotografa yogi
 
Galleria
Video
 
Credits