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La vita è bella
"Potevo morire: Dio avrà
perso le mie carte"
Se
l’è sempre cavata con ironia.
In Germania come nei vicoli, in mezzo al degrado, sempre lottando
per la giustizia. Come quando ha intenerito con i suoi burattini
la tenutaria di un bordello in vico Fregoso, facendole comprare
una carrozzella per un povero bimbo handicappato. O come quando
in pubblico ha difeso il figlio di una prostituta, che un prete
troppo ossequiente si rifiutava di battezzare.
Mario continua a vivere nei carruggi
dove è nato 94 anni fa. Cresciuto tra vico Untoria, il
Molo e quattro orfanotrofi, conosce bene quel mondo: “Il
divertimento dei giovani di allora era girare per casini facendo
flanella, cioè scherzando con tutte le puttane senza
spendere una lira con nessuna”. Nell’autobiografia
che ha sentito il bisogno di scrivere a novant’anni, parla
di questa Genova e di come ci si vive oggi. “Bisognerebbe
liofilizzarlo – dice l’amico Ermanno – metterlo
in un freezer a quattro stelle e conservarlo per rivisitare
la storia della città, come un archivio vivente.
Lui ha conosciuto i bassifondi, il sottomondo, quella realtà
che oggi è dimenticata, perduta e modificata negativamente,
ma che allora aveva una sua identità”. Gli fa eco
Angela Valle, compagna di tanti spettacoli teatrali (nella foto,
una parodia de Il tempo delle mele): “E’
un uomo straordinario, che ha fatto tanto per
i bambini come nessun altro”.
Un
artista completo, Mario Magonio. Ha recitato come caratterista
in un film di Dino Risi: Il vizio di vivere. Il titolo
sembra fatto apposta per lui. Perché dei vari vizi che
qualcuno gli attribuisce, quello di vivere è l’unico
che non ha mai perso. Il film, interpretato da una perfettibile
Carol Alt, narra la vera storia di Rosanna Benzi, costretta
per quarant’anni in un polmone d’acciaio dell’ospedale
San Martino. “Cercavano una macchietta
che parlasse genovese – dice Mario – per interpretare
la parte del vecchio professor Crisafulli, che andava a trovare
Rosanna con un mazzo di fiori. Per girare una singola scena
ci mettevamo anche un’intera giornata, perché dovevamo
ripeterla una ventina di volte. Spesso mi perdevo in chiacchiere
con le infermiere e così il regista mi cercava dappertutto
e sbraitava: dov’è l’omino? come si chiama
l’omino? Anche se sembrava burbero era un brav’uomo.
Gli chiedevo: perché mai a un genovese avete dato il
nome di Crisafulli e non Parodi o Bevilacqua? Ha mai visto un
Crisafulli nell’elenco di Genova? E lui mi diceva: omino,
basta! Vada al suo posto!”.
Arzillo,
intraprendente, entusiasta della vita: “Lo dico sempre,
tante volte ho rischiato di morire. Si vede che il Signore
ha perso le mie carte”. E i suoi burattini che
fine hanno fatto? Ufficialmente sono stati affidati a una donna,
perché li custodisse in casa sua. Ma sembra che non sia
andata così. Regalati? Rivenduti? Su questo capitolo
Mario ci chiede di non scrivere. Tutto quello che sogna, ora
che gli spettacoli sono finiti, è di essere sepolto insieme
al suo Baciccia e di far incidere sopra la tomba il
leitmotiv della sua vita: “Anche i burattinai
hanno un cuore”.