Storia di amore e folliaa

 

 

 

 

 

 

 

Quali storie dietro le mummie di Urbania?
Quindici urbaniesi vissuti tra il 1600 e la prima metà dell’800. Quindici storie che s’incontrano nella Chiesa dei Morti di Urbania.

Un fornaio, due canonici e gente del popolo. Le loro storie vivono ancora oggi, grazie a lettere, documenti d’archivio e tradizione orale: la Confraternita della Morte registrava nascita e decesso di tutti. E soprattutto registrava le morti violente. L’archivio della Curia vescovile di Urbania è una miniera di storie e antichi delitti.

Il mantello nero e l'emblema della morte di Vincenzo Piccinni spiccano al centro della sagrestia nella Chiesa dei Morti. Il priore riposa tra quei corpi mummificati che tanto lo affascinarono in vita. Nella prima teca a sinistra anche sua moglie, Maddalena Gatti, e il figlio, anche lui farmacista, morto di tumore.
Solo a tre delle quindici mummie è sttao possibile dare un nome. Il più famoso in paese era senza dubbio il Lombardelli, detto Lunano (sec. XVIII): era l’unico fornaio del paese.
Mariano Muscinelli (morto nel 1844) e Pierantonio Macci (morto nel 1847) in vita erano canonici. Muscinelli era un uomo taurino dalla grande gabbia toracica, un collo grosso e una bella pancia. Leggenda vuole che fosse un gran mangiatore. E la scienza ha confermato la leggenda: morì per eccesso di colesterolo.
Restano nell’anonimato le altre mummie. A cominciare da quella di una donna che morì di parto cesareo. Un’operazione crudele all’epoca, perché veniva praticata in extremis e salvava solo il nascituro. I cadaveri di altre due donne presentano delle malformazioni: una aveva un’anca lussata, l’altra era rachitica. E c’è un caso di morte per diabete.
Se si osservano con attenzione alcuni corpi, si nota qualche stranezza: un cranio o un braccio staccati dal resto corpo, come se non gli appartenessero. Ebbene, scavando nel terreno della chiesa, i confratelli trovarono sì quindici mummie, ma anche un grosso numero di scheletri e arti sparsi, senza corpo. Non dimentichiamo che l’usanza di conservare il corpo in bare ancora non c’era. Per questo alcune mummie furono trovate senza cranio o senza un braccio. Spinti da religioso pudore, prima di esporre quei corpi i confratelli li “ricostruirono”: corpi senza testa o senza braccia avrebbero urtato troppe sensibilità.
Esemplare è il corpo di una ragazza, morta intorno ai diciott’anni: non sono suoi né l’avambraccio né il cranio.
La storia più sconvolgente è quella di un uomo seppellito in stato di morte apparente: il corpo si irrigidisce, la temperatura scende, non si sente il battito del cuore. Polso e respiro si fermano. All’epoca non esisteva l’obbligo di attendere 48 ore prima di seppellire i cadaveri, e così venivano interrati subito. Ma una volta sotto terra l’uomo si sveglia: sente mancare l’aria. Ecco che chiama a raccolta tutte le forze. Punta i piedi, serra i pugni, i muscoli del polpaccio e della coscia si contraggono. Ancora oggi la rientranza dell’addome testimonia lo sforzo di riempirsi d’aria. Si nota il rossore della pelle: vasi sanguigni e capillari, dilatandosi, si sono rotti e il sangue è affiorato alla pelle. La gola è contratta e sul viso è rimasto il riso sardonico: il ghigno del terrore e della pazzia. Ha la pelle del brivido, la pelle d’oca, accentuata sulla coscia sinistra. Proprio dove, nascosto dalla mano, c’è un graffio.