Tutto cominciò con Marinetti...

Il Manifesto sul tattilismo pubblicato da Marinetti nel 1921

[Ascolta l’intervista
ad Andrea Socrati]

Museo Omero, nella sezione di arte contemporanea è esposta un’opera che non può essere fruita direttamente dai non vedenti. L’eccezione è motivata: si tratta di una delle copie originali del “Manifesto sul tattilismo”, pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti l’11 gennaio 1921. Questo documento, rappresenta un passaggio rivoluzionario della storia dell’arte: è il precursore dell’idea che l’arte possa essere apprezzata anche attraverso canali diversi dalla vista, in primo luogo il tatto.

Nel 1913, un altro esponente del Futurismo, Carlo Carrà, aveva pubblicato un altro manifesto intitolato “La pittura dei suoni, rumori e odori”, dove suoni, rumori e odori erano abbinati a colori e forme da utilizzare per tradurli su una tela. Leggendo il successivo manifesto, nel quale si parla di arte tattile come di una nuova arte, si scopre che Marinetti fece i suoi primi esperimenti tattili in una circostanza particolare: “Mi trovavo nel sotterraneo buio di una trincea a Gorizia, nel 1917 – scrive – quando per la prima volta iniziai a toccare gli oggetti intorno a me, sforzandomi di riconoscerli”. In questo modo – prima casualmente, poi spinto dalla sperimentazione artistica – Marinetti si mise, in qualche modo, nei panni di un non vedente e per primo pensò “all’educazione al tatto”.

“Marinetti ne parla in maniera un po’ fantasiosa – spiega Andrea Socrati, professore di storia dell’arte e collaboratore del Museo Omero – dicendo che si dovrebbero indossare dei guanti per molti giorni in modo da far desiderare al cervello sensazioni tattili diverse oppure consiglia esercizi come nuotare sott’acqua in mare cercando di riconoscere la direzione delle correnti e la temperatura dell’acqua o ancora cercare di riconoscere ogni sera, al buio, tutti gli oggetti presenti nella propria camera da letto”. “Certamente – continua Socrati – il suo merito è di aver ragionato in termini globali, indipendentemente dalle singole arti, cercando di sollecitare l’uso di tutti i sensi per percepire l’arte, ma anche tutta la realtà che ci circonda”.

Continuatore delle idee marinettiane è stato Bruno Munari, artista e designer, che staccatosi dal Futurismo, dedicò la sua attenzione all’educazione artistica dei bambini, ideando dei laboratori dove imparare “come si fa l’arte”: il primo risale al 1977 e fu realizzato alla Pinacoteca di Brera a Milano. Due anni dopo, nel 1979, durante una mostra a Palazzo Reale, intitolata “Le mani guardano” nacquero i laboratori tattili. Nel 1985, Munari pubblicò un libro, dedicato a quest’esperienza, dove sottolineava che “la conoscenza del mondo, per un bambino, è plurisensoriale. E tra tutti sensi, il tatto è quello maggiormente usato, completa gli altri sensi e dà altre informazioni utili alla conoscenza di tutto ciò che ci circonda”. Tra le suo opere, sono da ricordare le tavole tattili del 1931 e del 1943 e soprattutto i messaggi tattili per non vedenti del 1976: “Mi viene in mente, in particolare – ricorda Socrati – il ‘Messaggio tattile per una bambina cieca’, che consisteva in uno spago a cui erano attaccati una serie di oggetti, fatti con materiali diversi, che si incontravano facendo scorrere lo spago tra le dita”.

Queste premesse artistiche hanno ispirato l’attività e la didattica del Museo Omero che si rivolge alle scuole, alla formazione permanente degli adulti non vedenti e alla formazione degli insegnati e degli operatori museali. Un esempio concreto di questa influenza è il laboratorio “Viaggi di mani”, ispirato alla tavola di Martinetti “Sudan-Parigi” del 1922: la tavola rappresenta la diversa natura dei luoghi utilizzando materiali ruvidi, come una grattugia, della lana e della carta vetrata per richiamare il Sudan. Parigi invece è descritta usando la seta e il velluto, l’oceano è realizzato con la carta di alluminio che ne richiama la superficie liscia. Ai ragazzi che partecipano al laboratorio sono messi a disposizione una serie di materiali simili per realizzare così una versione personale della tavola, anche ispirata a un luogo che hanno visitato realmente.


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