Da Berlino ad Ancona

[Ascolta l’intervista ad Aldo Grassini]

La storia del Museo Omero inizia in Germania. Come molti dei reperti dell’antica Grecia, narrata dal cantore cieco nei suoi poemi, si trovano oggi a Berlino, l’idea di Aldo Grassini e della moglie Daniela Bottegoni nacque proprio nella capitale tedesca, visitando il Museo Pergamon. Era il 1983 e nessuna delle bellezze conservate nella collezione berlinese era a portata di mano per due appassionati viaggiatori non vedenti. “Ci descrissero opere bellissime – ricorda Aldo, professore di filosofia e storia, oggi in pensione, non vedente dall’età di sei anni – ma era come se anziché fare un bel pranzo, qualcuno ci avesse raccontato quanto era buono il cibo”.

L'altare di Pergamo è una delle attrazioni principali della collezione di arte antica del Museo Pergamon di Berlino

Tornati in Italia, la delusione si trasformò in un’idea: “Perché non creare – si chiesero - un museo senza barriere, dove i ciechi possono toccare tutto, ma dove possono fare altrettanto, se vogliono, anche quelli che ci vedono?”. Il Museo Omero fu inaugurato il 29 maggio del 1993: gli otto anni trascorsi dall’idea iniziale furono spesi, prima di tutto, per convincere gli amministratori locali della validità del progetto. “Questo – racconta Aldo, oggi membro del comitato di direzione del museo – non fu, in fin dei conti, così difficile: alla Regione trovammo subito chi comprese le potenzialità della nostra proposta e ci spiegò che la legge regionale 18, che si occupa dell’integrazione delle persone disabili, poteva essere lo strumento per finanziare il progetto”. La seconda tappa fu il Comune di Ancona: la legge 18 prevede infatti che il progetto sia realizzato con la partecipazione di un ente locale. “Qui ci vollero anni di paziente lavoro diplomatico – ricorda Aldo – durante i quali spesso fummo rallentati dai cambi di amministrazione: il problema più importante era vincere la diffidenza verso un’idea che non aveva modelli precedenti a cui ispirarsi e che, al di là della realizzazione, era un grosso punto di domanda anche sul fronte della gestione”.

All’inizio, il museo fu ospitato in tre stanze di una scuola elementare di Ancona, la “Carlo Antognini”: rimaneva aperto solo 12 ore a settimana, durante le quali si potevano visitare le 19 riproduzioni che costituivano il primo nucleo della collezione. “L’importante allora era cominciare – afferma Aldo – e i fatti ci diedero ragione: subito arrivarono gruppi di non vedenti, soprattutto da fuori regione, e l’interesse crebbe tantissimo”. Nel 1997 ci fu il trasloco nella scuola media “Donatello” – la sede attuale – dove sono aumentati sia gli spazi per l’esposizione (750 metri quadrati) sia le opere esposte (oltre 200), organizzate secondo un criterio cronologico che va dalla preistoria all’arte contemporanea.

Per i primi cinque anni, il museo tattile visse grazie al sostegno della Regione Marche e del Comune di Ancona, finanziato con un contributo regionale di circa 50 milioni di lire all’anno, e fu sostenuto anche da tanto volontariato: “Alcune delle mie ex allieve del liceo – racconta Aldo, che oggi fa parte del comitato direttivo come rappresentante dell’Unione italiana ciechi – si appassionarono all’idea e vennero più volte a fare da guida per i visitatori”.

Nel 1999, il Parlamento votò il progetto di legge per la statalizzazione del museo: presentato per la prima volta nel 1994, fu approvato nel novembre di quell’anno. La legge n. 452/1999 stabilì uno stanziamento di 800 milioni di lire per l’istituzione del museo statale e un contributo annuo per la gestione di 460 milioni (oggi 258.000 euro).

Gli spostamenti del Museo Omero però non sono ancora finiti: nel 2009, dovrebbe approdare alla sua sede definitiva, ricavata nel lato sud della Mole Vanvitelliana. L’edificio, progettato dall’architetto Luigi Vanvitelli nel ‘700, era utilizzato come lazzaretto e luogo di quarantena per i marinai che attraccavano al porto di Ancona. Lì il museo avrà a disposizione 2.300 metri quadrati dove, secondo un progetto non ancora definitivo, oltre a tre piani per l’esposizione, saranno realizzati un centro di documentazione, un’aula per la didattica e due laboratori.

Il modello in scala della Basilica di San Pietro

La storia del Museo Omero è soprattutto una storia di “invenzioni”: per realizzare le riproduzioni delle opere – per la maggior parte calchi degli originali, in modo da garantire la maggiore fedeltà possibile – fu necessario andare a caccia delle pochissime ditte – tre o quattro in tutta Italia – in grado di realizzare le copie delle sculture. I modelli architettonici, invece, furono commissionati ad alcuni artigiani, tenendo conto delle esigenze di chi li avrebbe toccati: i materiali infatti non possono essere troppo delicati o, peggio, sgradevoli al tatto. I costi in questo erano più elevati, così come i tempi per realizzarli: la Basilica di San Pietro, ad esempio, fu realizzata nel 1995 da cinque persone che lavorarono per otto mesi e costò 55 milioni di lire.

“Per me e per mia moglie – conclude Aldo – questo museo è come un figlio, che cresce, va all’università, matura la sua personalità… Ci dà tante soddisfazioni che ci ricompensano delle difficoltà che abbiamo affrontato per realizzarlo: insomma, è proprio come se oggi andasse all’università e prendesse tutti trenta e lode”.


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