Prima o poi il passato ritorna. Se lo cacci via dalla porta, lui rientra dalla finestra. O magari dallo schermo di un computer connesso a Internet.

E' questo che devono pensare Maurizio Della Seta, Giulia Spizzichino, Giulia Sermoneta e Silvana Ajo', quattro delle migliaia di ebrei romani che il 16 ottobre del 1943 sono scampati al rastrellamento nell'ex ghetto ebraico della capitale. Erano solo bambini, o poco più che adolescenti, quando nel 1938 il Manifesto della razza e le leggi che sono seguite hanno condizionato in modo irreversibile le loro vite. Oggi ottuagenari, ricordano tutto. I volti. I colori. Le scene di un passato che sta per compiere settant'anni ma che per loro è ancora così presente.

Ci pensano i giovani di oggi a sottolineare la lunghezza di quei settant'anni; quei giovani che annegano nell'indifferenza, che alla domanda "cos'era il manifesto della razza?" ridacchiano perplessi o si rivolgono all'obiettivo di una telecamera con lo sguardo perso in un buco nero. Black out.

Alla noncuranza di alcuni, si contrappongono ragazzi che sui principali social network, Facebook e Youtube, diventano "fan" di Hitler e dei generali che hanno coordinato il rastrellamento nel sabato nero di Roma. I video in cui il Fuhrer si rivolge alla popolazione sono i più cliccati. Se poi qualcuno pubblica su quelle pagine web un commento di indignazione, viene pregato di accomodarsi "fuori dalla pagina". Il monito di Primo Levi, "ricordati che questo è stato", non sempre funziona.

 

 

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