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Fumetti a scadenza, miti precari
Interattivo: cronologia illustrata
Parlano gli esperti

Scrittori di storie "a termine"

Vita più breve, ma comunque da eroi
(Tito Faraci)

I "buoni" fumetti prima di tutto
(Roberto Recchioni)

Benvenuti nell'era "fast food"
(Andrea Aromatico)

Fumetti a scadenza, miti precari

 

Il ranger e il ladro. Due figure opposte che convivono da decenni nelle edicole italiane. Tex e Diabolik, il paladino tutto d’un pezzo e l’antieroe tenebroso, protagonisti di fumetti tra i più venduti ogni mese. Duecentoventimila copie il primo, la metà il secondo. E senza contare le ristampe. Cifre da eroi sempreverdi, che però non hanno più eredi: il mercato italiano del fumetto si restringe e non propone più serie a lungo termine. Da circa dieci anni nascono solo miniserie, in nome una politica editoriale che propone fumetti che durano lo spazio di qualche numero, i personaggi non sopravvivono che una manciata di mesi e gli eroi diventano precari.

Da Brad Barron a Nemrod, da Detective Dante a David Murphy 911: le case editrici investono quasi solo su progetti a termine. Quello della "Nona arte" è un settore vivo, ma sostanzialmente di nicchia, rischiare con proposte a scadenza preoccupa meno del lancio di una serie che non ha una fine prestabilita se non quella decisa dal mercato. Com’è sempre stato: o vendi, o muori. Oggi si preferisce “programmare” la morte delle testate a fumetti, e se va bene prolungarne la vita con una “seconda stagione”. Come fosse un serial televisivo. Questo modello editoriale e narrativo è sempre esistito, ma solo negli ultimi tempi le miniserie sono diventate una regola senza eccezioni: 18 in dieci anni. Di testate a tempo indeterminato, invece, nemmeno l’ombra.

“Dal personaggio eroico si è passati a un personaggio sempre più umano, tanto umano che crediamo opportuno vederlo morire". Luca Raffaelli, giornalista ed esperto del settore, è convinto che l'evoluzione dei protagonisti dei fumetti verso la precarietà sia frutto di una naturale evoluzione: "L’eroe immortale che vive migliaia di storie, e che si sa che nella prossima sarà comunque vivo, ha qualcosa di antico, di superato. Abbiamo bisogno di eroi che ci parlino di quello che ci sta accadendo, e in questo senso che siano più vicini a noi in termini di destino. La miniserie - aggiunge - non è altro che una serie nella quale il personaggio può scomparire. Non un obbligo, ma una scelta più matura di un tempo e una visione più oculata da parte degli editori”.

E infatti, gli editori hanno cambiato strada.

L’ultima sopravvissuta delle serie nate per non morire è Dampyr, storia di un “mezzosangue” cacciatore di vampiri. Era il 2000, e ancora oggi vende 40.000 copie ogni mese. Lo pubblica la storica casa editrice di Sergio Bonelli, la stessa di Tex, che in seguito ha voluto riprovarci con un mensile regolare di genere fantascientifico, Gregory Hunter. Ma le scarse vendite hanno costretto l’editore milanese a cancellare la sua ultima “serie-fiume” dopo sole 18 uscite. Da quel momento ha investito soltanto su qualche romanzo a fumetti e, soprattutto, sulle miniserie. La prima, ancora di fantascienza, ha esordito nel 2005. Con le sue 50.000 copie di media, Brad Barron ha fatto da apripista a una serie di nuovi titoli che ne hanno imitato la formula di pubblicazione. Da Volto Nascosto a Caravan fino all’ultimo Greystorm, che vende ogni mese 43.000 copie. Tremila più di Dampyr.

La Star Comics ha messo in soffitta i mensili di Lazarus Ledd e Jonathan Steel, personaggi per i quali sono rimasti solo numeri speciali che arrivano nelle edicole senza una periodicità fissa. Poi è stata la volta delle nuove miniserie. A Khor (4 uscite), Nemrod (28), Cornelio, su ispirazione dello scrittore Carlo Lucarelli (12 numeri), Rourke (8) e Trigger (interrotta dopo 4 uscite, contro le 6 previste in origine), si sono aggiunte Valter Buio, Factor-V e Pinkerton S.A.

Molti personaggi “muoiono” prima del previsto. Tra i fan ha fatto scalpore la chiusura anticipata di John Doe, che era diventato in breve tempo un culto. Un esordio da 25.000 copie, che negli ultimi tempi si erano più che dimezzate. Nata nel giugno del 2003 dalle penne di Roberto Recchioni e di Lorenzo Bartoli, la serie è un ibrido tra vecchio e nuovo. Concepita per “stagioni”, è stata interrotta con il numero 77, mentre il quarto e ultimo ciclo si sarebbe dovuto concludere soltanto con il 99. Ma un cambio ai vertici dell’Eura Editoriale (oggi Aurea Editoriale) ha costretto John Doe a levare le tende in anticipo, con programmi di rilancio in albi monografici per fine 2010.

Miti o non miti, lo studioso di "nuvole parlanti" Alessandro Di Nocera vede di buon occhio le serie a termine made in Italy. “E’ un buon sistema – dice - sia per intercettare un pubblico interessato al fumetto (ma distratto da altre cose), sia per sondare il mercato e capire cosa i lettori gradiscono o meno”.

Neanche il miglior editore può sapere in partenza cosa può durare o meno, nota il semiologo Daniele Barbieri, e c’è ancora tempo perché nascano nuovi Tex e per nuovi Diabolik: “Anche se negli anni ’40 non esisteva il concetto di miniserie, la serie era comunque pensata come un tentativo. In questi termini non è cambiato niente”.

Intanto, però, l'immaginario popolare italiano resta a guardare i tumulti di un settore in continua evoluzione che fa sempre più fatica a regalare nuovi miti. E si finisce per trovarli altrove.

I lettori sono infatti sempre più distratti da altre forme di intrattenimento, spiega Di Nocera: "Era molto più facile in un mercato dove il fumetto era predominante, vendeva milioni di copie e aveva anche la capacità di entrare in altri mezzi di comunicazione. Perché si dovrebbe operare su più fronti: non solo fumetto, ma anche videogame, film, telefilm". Proprio come succede con i supereroi americani e con i protagonisti dei manga giapponesi, sempre più spesso sfruttati per progetti cinematografici, serie animate, giochi e merchandising di vario genere. Concorda Raffaelli, oggi “manca la possibilità di un consolidamento, ed è sbagliato relegare il fumetto alle sole pagine stampate: deve diventare altro”.


Qualcosa si è fatto anche in Italia. Rat-Man, per esempio, è uno degli ultimi personaggi a fumetti ad aver beneficiato del passaggio alla “multimedialità”. Il topo in calzamaglia che fa il verso ai superuomini dei comics statunitensi è nato come autoproduzione dalla fantasia di Leo Ortolani, ma è poi passato sotto l’ala di Panini Comics, conquistando una fama che lo ha fatto diventare il protagonista di cartoni animati, gadget e giochi di carte.

Secondo Barbieri un personaggio dei fumetti arriva agli altri media solo se si è già ritagliato un suo spazio nell’immaginario collettivo. E non è detto che diventare film o altro sia necessariamente un bene. “Tanti spettatori che non leggono i fumetti – dice Barbieri – la vivono come una cosa cinematografica. E ignorano, magari, che il personaggio esisteva già da prima all'interno di un altro mondo”.