Il sottoproletariato
di Pier Paolo Pasolini rivive nell’Argentina
del 2010. Invisibili agli occhi del governo di Buenos Aires,
privi di qualsiasi riconoscimento o diritto lavorativo, ma ben
presenti tra i passanti che affollano le avenidas, i cartoneros
calcano senza sosta le strade della capitale, andando alla ricerca
dell’unica cosa che provvede al loro sostentamento: i
rifiuti.
Non
è raro incontrare vecchi, bambini, padri di famiglia,
giovani poco adolescenti, rockers della periferia, trentenni
con già tre figli a carico, che aprono i sacchetti della
spazzatura e riempiono il loro carretto di
vetro, carta, cartone, plastica, latta, rame, per poi differenziare
il tutto e rivenderlo al chilo alle fabbriche della provincia.
Coco è un uomo di cinquant’anni
con la tempra di un giovane ventenne. Attraverso il racconto
di una sua giornata, è possibile sbirciare l’immenso
mondo che gravita attorno a questo melting pot di povertà
e speranza, di politica e rassegnazione.
Coco è un cartonero che ce l’ha fatta: ha una famiglia,
una moglie, una casa. Ma come lui ce ne sono pochi. Pochi che,
oltre a rivolgersi alla spazzatura, lottano
per i loro diritti fondamentali. Nella selezione darwiniana
delle favelas terzomondiste, ci sono sacche
di solidarietà e autogestione impensabili agli occhi
di un distratto Occidente. |
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