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Come cambia il giornalismo

di    -    Pubblicato il 21/10/2008                 

di rf.

abbiamo pensato di utilizzare il blog per avviare un rapporto e un confronto di opinioni degli studenti e degli ex studenti del corso sulle questioni del “giornalismo che cambia”. Ovviamente intervengono, se vogliono, anche i docenti.

Ho messo su una decina di punti, sunteggiati da un testo (originariamente una trascrizione di una lezione alla Cattolica di Milano con qualche aggiornamento) che, nella versione integrale è disponib ile presso la segreteria in cartaceo e in versione elettonica.

Aggiungo solo che per me il punto di tutta la materia sta nell’indipendenza dei media, stato attuale, mezzi per garantirla, rapporti con la “qualità” e la credibilità.

Un saluto

(scusate per l’incompletezza (immagini, ecc)

* AVANZANO PUBBLICITA’ E MARKETING

Negli anni Settanta la “rivolta dei redattori” ha dato più spazio alla componente giornalistica, negli Ottanta abbiamo visto il prevalere della pubblicità sugli altri fattori nel campo di forze dei giornali, nei Novanta il dominio del marketing. Un esempio chiaro, un po’ estremizzato, è nella free press: esce sempre più frequentemente con, in prima pagina, la pubblicità e dentro la vera prima pagina del giornale.

Ma anche i giornali di qualità e a pagamento non scherzano in questo prepotere.

Il 31 ottobre 2007 “Il Messaggero” perdeva metà della prima pagina in verticale a favore di una sovracoperta pubblicitaria (in gergo un “cavaliere” perché si pone a cavallo del giornale) intitolata “C’è una notizia che vi farà sentire liberi” (foto in alto)

“Liberation” un paio di volte all’anno scompare dentro un trasparente pubblicitario con un piccolo logo.

Con la passata direzione, La Gazzetta dello Sport, “la rosa”, è andata in edicola addirittura sulla carta verde in occasione del lancio del film Shrek.

* LA PRECARIETA’

(testo fnsi)

La libertà dell’informazione non esiste senza la libertà del giornalista. La precarietà del lavoro è una delle principali minacce alla libertà del giornalista, perchè lo pone sotto un ricatto costante da parte dell’editore.E il lavoro del giornalista è sempre più precario.

A partire dalla classica accezione del termine precariato, quella cioè legata al lavoro subordinato, che negli ultimi 6 anni ha mostrato in Italia una crescita dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato del 19,97% contro un aumento dei rapporti di lavoro a tempo determinato dell’82,14%.

Oggi su un totale di 16423 occupati il 9,7% sono contratti a termine, che potrebbero sembrare pochi se non si tiene conto che la loro distribuzione è estremamente variabile. I contratti a termine rappresentano una parte significativa delle nuove assunzioni e sono spesso molto al di sopra delle percentuali stabilite dalla contrattazione collettiva e molto al di fuori dai casi ammessi dalla legge, venendo utilizzati in situazioni che nulla hanno a che vedere con ipotesi temporanee di attività.

Le situazioni di precariato si trovano però soprattutto in una zona grigia, quella del lavoro parasubordinato, delle finte collaborazioni coordinate e continuative, nella massa di forza lavoro che preme per trovare una occupazione che non c’è.Sono circa 3000 i giornalisti disoccupati o cassintegrati oggi in Italia, ai ritmi attuali di accesso alla pensione, circa 250 unità all’anno, servirebbe una dozzina di anni per riassorbirli.

Ma ogni anno oltre 1400 giovani si iscrivono all’esame di stato per diventare professionisti, e già 24000 colleghi, per la maggior parte pubblicisti, sono iscritti all’Inpgi2, la gestione previdenziale per il lavoro autonomo. Sono questi i numeri che determinano oggi la precarietà del lavoro, la percezione di essere sacrificabili e sostituibili, il timore di non raggiungere un reddito dignitoso, per non parlare di una pensione specie tra i più giovani, ma ormai anche tra i quarantenni.

* IL GIORNALISMO ARRETRA

Nell’industria dell’informazione il giornalismo arretra. Una tendenza nata da molti fattori: in particolare la trasformazione dei flussi informativi, dovuta alle nuove tecnologie. Le persone in tutte le parti del mondo ricevono l’informazione primaria da diverse fonti: radio, tv, free press, internet, satelliti, telefonini, pod-cast. Questo di per sé porta a un cambiamento di ruolo della stampa stampata.

E poi: la trasmissione dei dati scritti, audio e video in tempo reale e a costi che tendono a zero sono una grande opportunità, ma contengono una insidia. Il mercato dell’informazione ha la tentazione di creare delle scatole che si riempiono in automatico. Anche senza i giornalisti.

La qualità cala, ma non importa. Sul breve periodo il sistema “tiene”. Le notizie, una volta messe sulla rete, possono essere risistemate in diverse forme e rilanciate gratuitamente o a pagamento, in edicola o su altri veicoli. Pensate a Google news… Si crea la tendenza dei giornalisti a diventare packaging people, ossia degli impacchettatori di notizie confezionate.

* LE NOTIZIE NON SI PAGANO

Rapporto difficile tra carta stampata e online. Paura della cannibalizzazione: errore. L’edizione di un grande giornale sulla rete è solo un mezzo diverso che la testata ha. È come l’”edizione treni” di una volta. Ma ha il vantaggio di essere “continua”.

L’esclusiva per esempio: non viene più conservata per l’edizione che va in edicola. Il New York Times aveva la bobina con le conversazioni tra Bush (prima che diventasse un politico) e i suoi amici, , un documento eccezionale e imbarazzante. L’edizione online ha pubblicato i testi prima di quella stampata, magari non integralmente e senza commento.

Se muore Alberto Sordi, i giornali che hanno il “coccodrillo” lo mettono subito online, in modo che non c’è solo la notizia ma c’è anche immediatamente la ricchezza informativa.

Vince l’idea che l’informazione non si paga. Sulla notizia si girano sei, sette siti e si sceglie la qualità. E’ chiaro che se sono il Corriere o Repubblica e metto sul sito tutte le mie informazioni, mantenendo la gratuità, al quarto contatto mi sono fatto un visitatore costante.

È del settembre 2007 la notizia che il New York Times è passato alla gratuità per la lettura di tutti gli articoli (compresi quelli dell’archivio). Il 1° ottobre anche il Financial Times ha smesso di far pagare la lettura della sua edizione online.

* DAL NOSTRO INVIATO: IL LETTORE

Una vera rivoluzione è in corso per quanto riguarda il rapporto tra il giornale e i fruitori.

Durante l’ultima grande nevicata nel Corriere.it si è cercato di coinvolgere i lettori nelle immagini. Alla riunione del mattino si è detto: “Perché non chiediamo ai lettori di mandare qualche foto di neve?” Nel giro di sei-sette ore ne sono arrivate 600 e una di questa è stata usata come fotografia di prima pagina (sul Corriere stampato!) per quanto era bella.

(L’ attentato nel metro di Londra: la foto è di un cittadino)

Con la morte del Papa la cosa si è ripetuta a valanga. Ricordate gli articoli che riguardano le foto al corpo del Papa esposto ai fedeli? Anche qui il concetto di comunità trova clamorosa applicazione. Non solo. Mentre il giornale è limitato come spazio, a causa di una foliazione a cui al massimo puoi aggiungere un supplemento, l’edizione online ha una “foliazione illimitata”.

Ma anche l’incidente nel Metro a Roma, le torture di Abu Graib, la esecuzione di Saddam, tutti documenti di non giornalisti.

*IL MIO GIORNALE SONO IO

Negli ultimi due anni il ritmo della trasformazione è aumentato. Un segno clamoroso è stata la cover story di Time magazine dedicata al personaggio dell’anno: una copertina con lo specchio e sotto il titolo “Person of the year” e la scritta “You” ,Yes, you. You control the Information Age. Welcome to your world. (Il personaggio dell’anno sei tu, sì, proprio tu. Tu controlli l’età dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo).

Tutta la materia che fa capo al protagonismo del fruitore di notizie (compreso l’esplosione dei blog , You Tube, le iniziative che uniscono lettori e giornalisti come New Assignment) va sotto la sigla “Me media” abbastanza chiara nella sua direzione. Così tra l’altro è stato intitolato un inserto dell’Economist nel 2006.

Un aggiornamento continuo di quanto si muove in tutto il mondo si può leggere nel sito Libertà di stampa libertà di informazione nato faticosamente a lato della Fnsi (http://www.lsdi.it/).

* IL GIORNALE E I CITTADINI

Uno dei pochi punti chiari venuti fuori da tutti i centri studi è che nella crisi dei quotidiani soffre meno chi è legato con la comunità. Questo fa sì che la natura di giornale locale, anche di un grande giornale, viene accentuata dappertutto. Pensate ai big americani: New York Times, Washington Post, Los Angeles Times e Chicago Tribune sono quattro giornali ben impiantati localmente. Non meravigli che il New York Times una volta a settimana quando fa l’edizione che ha talvolta anche 1.000, 1.200 pagine non si vergogna di raccogliere in due pagine i matrimoni della settimana raccontati in storie di 20-25 righe con le foto degli sposi.

Una chiave più forte è l’identificazione del lettore con il giornale-città. Questa può nascere spontaneamente, per affezione o tradizione, o può rivelarsi in circostanze eccezionali come il Messaggero Veneto per il terremoto nel Friuli o il Times Picayune per la tragedia di Katrina.

In quest’ultimo caso per tre giorni il giornale non potè essere stampato a causa della sede allagata ed evacuata, ma uscì su Internet e divenne uno straordinario punto funzionante. Mentre il governo latitava e i soccorsi non arrivavano il Picayune divenne la comunità di New Orleans mettendo in comunicazione tra loro i cittadini. Perfetta sintesi (da studiare) tra carta stampata e online, premiata con il Pulitzer

* LE INFORMAZIONI NULLE

L’identificazione del lettore con la città attraverso il giornale può manifestarsi (ed essere coltivata) anche in maniera più tranquilla attraverso le “informazioni nulle” descritte da Queneau. In realtà non sono affatto nulle perché alimentano le comunicazioni reciproche tra i membri di una comunità. Se due persone anche sconosciute sono insieme alla fermata del tram e piove forte, è probabile che parlino della pioggia anche se la notizia è davanti ai loro occhi.

Il caso di scuola è il “NewYorker”: la copertina con due ragazzi seduti al bar durante la grande nevicata oppure una giovane coppia che cammina tra le foglie gialle e rosse del Central Park in autunno danno un senso di appartenenza davvero notevole.

* L’INFORMAZIONE DI CONFINE

Se prendete Repubblica o il Corriere in un giorno in cui sono abbinati a un libro, magari di fiabe, troverete che nella pagina di cultura si parlerà di questo libro, forse con un articolo magistrale che finirà nelle antologie.

Tuttavia questo non è giornalismo: in edicola vado a comprare il giornalismo nel giornale, acquisto tranquillo, sezione per sezione, il fatto che i redattori culturali scelgano quel giorno l’avvenimento culturale che trasmettono ai lettori in cambio del prezzo. E così quelli dell’economia, degli spettacoli, dello sport, fino all’ultima pagina. Se, invece, la scelta è indirizzata per un’altra ragione, per vendere il libro o il dvd o la videocassetta, siamo deviati, andiamo verso la cosiddetta “informazione di confine” tra il testo giornalistico e la pubblicità.

L’ 8 febbraio 2004 Eugenio Scalfari, ha pubblicato un articolo di fondo intitolato “Di pensiero in pensier di monte in monte”. Un vero e proprio editoriale sul ruolo della poesia nella società contemporanea e nella politica. Era uno scritto legato al fatto che la settimana dopo Repubblica avrebbe lanciato – come vendita in allegato – una collana di poesia. Questo, piaccia o no, è l’assetto odierno dell’industria giornalistica e nel mercato accade qualcosa di difficilmente contrastabile.

* I GIORNALI SI SALVERANNO CON LA QUALITA’

Philip Meyer, in “The vanishing newspaper”, ha calcolato l’indice di influenza e di credibilità dei giornali. Non è vero che ha annunciato la morte dei giornali per una data vicina; ha, invece, dimostrato che è possibile coniugare il mercato e la qualità.

* IL FOTOGIORNALISMO

Giocare con le immagini in Italia è più difficile. La fotografia è ancora una ancella, non esistono nei giornali fotogiornalisti, l’infografica raramente è inserita nell’interno di una redazione, è come un buco: lo riempie un’altra persona che non è un giornalista. In quasi tutto il mondo dentro la redazione uno specialista, quando arriva la notizia lavora a questa, senza intermediari, mentre nasce la pagina: la pagina è un linguaggio unico, la coesistenza di linguaggi compositi è fondamentale.

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* Il testo integrale dell’ intervento da cui sono stati tratti questi spunti è in segreteria.

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