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Pillola del giorno ‘mai': al consultorio niente contraccezione d’emergenza

URBINO – Altro che Odissea: farsi prescrivere la pillola del giorno dopo a Urbino, è un’impresa che avrebbe stancato perfino Ulisse. Al consultorio familiare, in via Guido da Montefeltro, non c’è il ginecologo, né l’ecografo, né uno strumento che per le ecografie. Nessun dei presenti può prescrivere la pillola e può visitare le donne che richiedono la contraccezione d’emergenza.

Le pazienti, nella maggior parte dei casi studentesse universitarie, sono rimbalzate dal consultorio all’ospedale dove, se hanno fortuna, possono ricevere la prescrizione, sperando che in tutto questo via vai non siano trascorse 72 ore dal rapporto a rischio, limite oltre il quale l’effetto del farmaco potrebbe essere nullo.

I dipendenti del consultorio denunciano una grave carenza di organico: “Siamo messi male – dice l’ostetrica Lucia Boldrini – da tre anni non viene più il ginecologo che lavorava al poliambulatorio. Siamo l’unico consultorio nelle Marche a non avere un medico, e questo è un fatto gravissimo. Le studentesse non vengono più, nonostante le prestazioni siano praticamente tutte gratuite. Non trovano i ginecologi, e se vogliono prendere la pillola del giorno dopo devono rivolgersi al medico degli studenti o al medico di base, se ce l’hanno. A causa di questa carenza non possiamo seguire le gravidanze”.

L’unica psicologa in organico del centro, la dottoressa Antonella Tinti, è amareggiata dalla situazione: “Il personale deve dedicarsi a più settori contemporaneamente. Un’altra psicologa collabora con noi, ma solo 500 ore l’anno”. Il primario di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Urbino, il dottor Enrico Canducci, dà la responsabilità di questa situazione ai tagli economici che “hanno determinato un impoverimento di risorse umane nella sanità. Alcune disposizioni non possono prescindere dalla presenza di un medico all’interno del consultorio. Sono carenze croniche, peggiorate col tempo, che sono sempre state tamponate dalla buona volontà dei medici ospedalieri”.

Oltre all’attività di contraccezione d’emergenza, l’ospedale è anche il luogo dove vengono praticati gli aborti o per meglio dire, le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg). L’interruzione è consentita dalla legge 194 entro i primi novanta giorni, periodo che viene calcolato dall’ultimo ciclo mestruale: “L’utenza delle interruzioni è equamente spartita fra giovani e meno giovani, residenti e non residenti – spiega il dottor Canducci – e purtroppo non viene fatto ancora abbastanza per facilitare l’accesso alla contraccezione. Vivendo in un paese cattolico, la conoscenza e l’accesso alla contraccezione non è adeguatamente diffuso, anche a livello economico: la pillola contraccettiva costa sui 15 euro al mese, e la spirale addirittura 100 euro. Con la crisi c’è stata una riduzione della spesa per contraccezione che varia dal 5 al 10%. Questo significa che le classi sociali meno abbienti si espongono a gravidanze indesiderate, il che potrebbe tradursi in un’interruzione di gravidanza”.

Secondo i dati dell’Asur, l’ospedale di Urbino nel 2012 ha effettuato 153 raschiamenti, otto in meno rispetto all’anno precedente e undici in più rispetto al 2010: “le studentesse, soprattutto del sud Italia, fanno qui la diagnosi e la prevenzione – dice il dottor Canducci – mentre le residenti urbinati vanno a praticare l’atto chirurgico da un’altra parte, per una questione di privacy”.

Un ulteriore ostacolo per le donne che vogliono abortire è dovuto agli obiettori di coscienza. Nell’ospedale urbinate ci sono cinque obiettori su un totale di dieci medici.“Il medico – secondo l’opinione del dottor Canducci – deve rispettare i dettami della propria coscienza garantendo però un servizio agli utenti”. Per la psicologa Tinti:“Al di là della legge, che comunque prevede l’obiezione di coscienza, bisogna adoperarsi affinché la donna possa sostenere la crescita del bambino e non essere costretta ad abortire per mancanza di mezzi”.

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