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Raccontare Tolosa da Tunisi: così si uccide il mestiere del reporter

I reporter potrebbero estinguersi ben prima degli orsi bianchi. Questo, perlomeno, è il timore che viene a leggere le notizie in arrivo da Tolosa e da Chicago, dove i giornalisti –  in due casi che hanno fatto scandalo – sono stati sostituiti da redattori in outsourcing.

Economicissimi, silenziosissimi, sfruttatissimi: grazie a database sterminati, al web e a potentissimi aggregatori di notizie, un esercito di giornalisti dei paesi in via di sviluppo è pronto a farsi pagare molto meno dei colleghi sul posto per raccontare realtà lontane anche 15.000 chilometri.

Ma si può scrivere dell’inaugurazione di un ponte nella città francese di Tolosa da Tunisi, o delle dimissioni di un vescovo di Chicago da Manila? Come detto, il caso più recente di questa nuova ‘pratica’ di risparmio editoriale è quello di Actu.fr. Il gruppo editoriale guidato da Cyril Zimmerman si serve di personale tunisino, facendogli fare la cronaca locale di Tolosa, e probabilmente anche delle altre città che la piattaforma copre (Lione, Bordeaux e altre grandi realtà transalpine).

La sede dell’edizione di actu.fr è a Tunisi, come si può leggere sullo stesso sito

A scoprirlo è stata la giornalista d’inchiesta Laure Daussy del giornale @rret sur images. Ha letto le informazioni legali dei siti actu.fr scoprendo che erano appaltati a una società di Tunisi.

I 25 lavoratori tunisini vengono pagati meno di 300 euro al mese per redigere 10-15 articoli al giorno su notizie locali delle città francesi.Non sono giornalisti: sono tutti laureati in materie come economia, lingue, legge, e non si eran mai occupati di stampa prima di iniziare a lavorare per la Hi-Content, filiale della Hi Media  editrice dei siti actu.fr.

“E’ una forma moderna di schiavitù. Ci sottopongono  – hanno raccontato i lavoratori a Laure Daussy – a test di rapidità, dobbiamo scrivere 50 parole al minuto. Non abbiamo contratto e siamo pagati in contanti. Se arriviamo con dieci minuti di ritardo, siamo immediatamente licenziati”.

Dalla società francese guidata dall’inserzionista pubblicitario Zimmerman non è arrivata alcuna risposta all’inchiesta, tranne un tweet della direttrice di produzione Cyrine Boubaker che ha parlato di “insinuazioni irrispettose nei confronti della mia equipe”.

Actu.fr, però non è la prima azienda che tenta questa strada per ingrossare i propri profitti abbassando i costi di produzione.  La lente dei giornalisti internazionali specializzati nel mondo dei media si è accorta della collaborazione tra lo storico giornale Chicago Tribune e Journatic, un’impresa con sede nella stessa città ventosa ma con unità operative sparse in molti paesi del terzo mondo, a causa delle firme false che utilizzavano per coprire il vero autore dell’articolo. 

Il Tribune, in crisi finanziaria come molti giornali cartacei negli Stati Uniti, delegava proprio la cronaca iperlocale di Chicago alla Journatic, che la gestiva dalle Filippine, facendo firmare gli autori – naturalmente sottopagati rispetto ai colleghi a stelle e strisce – con nomi falsi dal suono anglosassone. La vicenda ha dato origine ad un mini-scandalo nel mondo dell’informazione statunitense che ha portato, nel luglio 2012, al “licenziamento” della Journatic da parte del Tribune.

C’è anche chi a questo sistema si è ribellato, violando gli ordini di edizione che imponevano ai lavoratori di “non parlare con nessuno e non rivelare informazioni sulla Journatic sotto nessuna circostanza”. A farlo, e a raccontarlo al Guardian, è stato Ryan Smith, che scriveva cronaca locale di diverse città – da lui molto lontane – dal Missouri centrale.

Un trend globale? Ancora no. Anche perché c’è chi dice “No way!” come Deborah Wilson, fondatrice e insegnante di hyperlocal news alla scuola di giornalismo di Lincoln, una delle più prestigiose del Regno Unito, e reporter per la Bbc. “Per me – ha raccontato al Ducato – il giornalismo locale deve tornare alle origini. L’essenziale, per chi fa questo mestiere, è mantenere il contatto personale con la gente, non penso nemmeno che il giornalismo fatto in outsourcing si possa definire tale. Alcune fasi come quelle di editing e categorizzazione delle notizie possono farsi in remoto ma il raccogliere notizie no. Va contro tutto quello che insegno”. E infatti i reporter tunisini non possono far altro che lavorare sulle agenzie di stampa e sul lavoro degli altri.

E se la crisi morde? Come fanno gli editori a resistere alle seduzione di un guadagno più alto? Secondo Deborah Wilson “bisogna battere l’apatia. La sfida la devono lanciare i lettori, sono loro a dirigere il mercato: se si accontenteranno di un’informazione scadente, allora sopravviverà quella. Se invece saranno disposti a pagare per una qualità maggiore, sarà quella ad affermarsi. Alla fine conta soltanto ciò a cui la gente da un valore”.

Questa è la sfida anche per Bill Grueskin, professore della scuola di giornalismo della Columbia University di New York, giornalista del Wall Street Journal esperto in nuovi media e giornalismo web e premiato col Pulitzer, assieme ai colleghi del Miami Herald, per la copertura dell’uragano Andrew nel 1985. “Il successo –  ci spiega  – di certi modelli di business rispetto ad altri dipende dai lettori, ma anche da chi fa informazione di qualità: sono loro a dovere riaccendere la attenzione degli utenti. Credo che nel futuro il lavoro delocalizzato ci sarà, ma solo per quel tipo di notizie che possono essere trattate ugualmente da Londra o da New York”. Quindi non certo per la cronaca locale.

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