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Ius soli, Matteo Ricci: “Il nuovo ministro Kyenge vede il futuro”

di    -    Pubblicato il 6/05/2013                 
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“I figli degli stranieri a scuola siedono accanto ai miei figli e conoscono l’inno nazionale meglio degli italiani”. Secondo Matteo Ricci, esponente del Pd e presidente della Provincia di Pesaro-Urbino, che da anni conduce una battaglia per il riconoscimento del diritto di cittadinanza agli immigrati, lo ius soli è necessario in un Paese che abbia coscienza di sé e della presenza degli stranieri sul proprio territorio. L’argomento è stato al centro di una polemica che ha investito il nuovo ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, che ha annunciato di voler portare in parlamento un disegno di legge per introdurre lo ius soli (il diritto di cittadinanza anche ai figli di stranieri nati in Italia).

Il neo ministro Cecile Kyenge ha annunciato di voler sottoporre al parlamento un disegno di legge che introduca il diritto di cittadinanza. Cosa ne pensa?
Il mio parere è molto positivo. Noi siamo stati la prima realtà in Italia a proporre la cittadinanza onoraria per i figli degli immigrati. L’iniziativa ha un valore simbolico ma è anche un modo per spingere il parlamento a legiferare in tal senso il prima possibile. Finalmente c’è un ministro che ha preso di petto la questione e siamo molto contenti che la porti avanti.

Ha già sentito il ministro?
No, non ancora. L’ho conosciuto in altre circostanze di carattere politico e mi sembra una persona molto competente. Segue queste tematiche da tempo e a mio parere ha in mente l’Italia del domani ma soprattutto quella di oggi.

Già ieri Renato Schifani ha chiesto al presidente del Consiglio, Enrico Letta, che si usino toni più moderati per parlare di argomenti così delicati. Il Pdl sta alzando gli scudi contro la proposta ma il Pd non sembra prendere le difese del ministro. Secondo lei ci sono i numeri perché il ddl passi in parlamento?
Secondo me buona parte del Pdl è d’accordo. C’è una parte più intransigente che sicuramente non voterà il ddl ma alcuni pezzi del partito potrebbero votarlo. Consideriamo che non solo gli ambienti del centro sinistra ma anche la stessa chiesa cattolica sta spingendo da anni nella direzione dello “ius soli”. Molti esponenti di spicco della chiesa hanno speso parole importanti in questa direzione ed è stato lo stesso presidente Napolitano a lanciare, l’anno scorso, una battaglia per l’introduzione del diritto di cittadinanza. Se ne parla da tempo e secondo me su questo tema i cittadini sono molto più avanti della classe politica. Se si facesse un referendum sono convinto che vincerebbe il si.

Lei proprio l’anno scorso ha lanciato l’iniziativa della cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati nella provincia di Pesaro-Urbino…
Quando ho proposto la cittadinanza onoraria l’ho fatto prima che da presidente della Provincia nelle vesti di padre, di genitore. Ogni giorno accompagno i miei figli all’asilo e non capisco perché i loro compagni di classe e di banco che parlano italiano e cantano l’inno nazionale meglio di loro non debbano essere italiani. E’ una cosa lontana dalla realtà e credo che introdurre lo “ius soli” possa essere un messaggio molto positivo: il paese dimostrerebbe di essere consapevole del cambiamento subito negli ultimi anni e di saper guardare avanti, al futuro.

Altre città hanno seguito la vostra iniziativa?
Grazie alla nostra iniziativa sono stati più di cento i consigli comunali che hanno deliberato la cittadinanza onoraria per i figli degli immigrati. Nelle prossime settimane, prima a Pesaro e poi negli altri comuni, si svolgerà la cerimonia ufficiale di consegna degli attestati di cittadinanza onoraria.

Qual è la situazione dell’immigrazione nella Provincia?
La crisi che sta colpendo fortemente il territorio ha bloccato e sta facendo arretrare i tassi di immigrazione. Sono numerosi quelli che non riescono a rimanere perché hanno perso il lavoro e quindi tornano nei loro paesi. Altri cercano di resistere mandando indietro solo le famiglie. In questo momento l’occupazione manca e l’Italia non è più una terra che attrae come qualche tempo fa, non è più terra di destinazione ma di transizione: gli immigrati arrivano in Italia ma mirano a raggiungere i paesi del nord Europa.

Altre iniziative in itinere?
Tante quelle fatte e quelle che si faranno. Sono iniziative volte non ad integrare ma a fotografare l’Italia reale. Non si capisce perché bambini che sono nati qui e che studiano qui non debbano essere italiani. Peraltro la legge prevede che gli immigrati ricevano la cittadinanza a diciotto anni e non si capisce perché non possano riceverla prima dal momento che sono nati nel nostro paese.

Alcuni paesi europei hanno introdotto lo ius soli senza scontrarsi con le resistenze che vengono opposte in Italia. Perché? 
Non tutti i Paesi europei lo prevedono, la legislazione è abbastanza differenziata. In Italia abbiamo scoperto più tardi l’immigrazione e di conseguenza si riesce con più difficoltà a trovare leggi giuste per affrontare la questione. La cosa che mi preoccupa è che siamo diventati un paese di emigrazione. Sono molti i giovani che lasciano il nostro paese per cercare lavoro. Riconoscere la cittadinanza italiana ai bambini nati qua è un modo per costruire una nuova generazione italiana che non costruisca il proprio futuro all’estero.

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