Istituto per la Formazione
al Giornalismo di Urbino

i corsi - la sede - contatti
gli allievi - i docenti - l'istituto

Un jeans ormai lacero. La crisi non risparmia Sant’Angelo in Vado

di    -    Pubblicato il 13/06/2013                 
Tag: , , , , ,

SANT’ANGELO IN VADO – Al chilometro 43 della strada statale di Bocca Trabaria c’è un semaforo. Ma già da molti mesi le luci rossa, arancione e verde non servono più. Un tempo, lontano dalla crisi, il semaforo regolava il traffico, un frenetico viavai dalla zona industriale di Sant’Angelo in Vado, la “valle del jeans“. All’epoca del ‘benessere’ il quadrilatero di vie che racchiude i capannoni brulicava di camion e automobili. I parcheggi erano pieni, al punto che veniva scaglionata la pausa pranzo per evitare che si creassero ingorghi.

Oggi tutto ciò è scomparso, insieme a posti di lavoro e sogni imprenditoriali. Il miraggio del jeans, come quello del mattone o del mobile, è andato in frantumi sotto i colpi di una recessione che spinge la produzione sempre più fuori dai nostri confini. Parcheggi come quello di via Salvo D’Acquisto, dove un tempo trovare posto era un colpo di fortuna, adesso sono solo distese d’asfalto. Qui sono andati in fumo 700 posti di lavoro, in un paese che conta non più di 4000 abitanti. Come è potuto accadere?

Appena entrati nella zona industriale fermiamo il motore davanti alla Tipo-litografia Grafica Vadese. Il proprietario, Dante Pasquini, ci viene incontro con la mano tesa. “Io ho chiuso perché gli altri sono falliti – esordisce – lavoravo soprattutto con il settore del mobile e quando le imprese sono andate in crisi ho perso di colpo le commesse. Abbiamo provato a resistere, ma la difficoltà ad accedere al credito, con le banche chiuse ermeticamente, ci ha tarpato le ali”.

La ditta di Pasquini, fondata nel 1969, è chiusa dal 15 marzo, una delle ultime vittime: “Prima della crisi fatturavo due milioni e mezzo di euro – racconta il tipografo – nel 2012 ho raccolto meno della metà. Le spese per mantenere in piedi la tipografia hanno continuato a crescere in maniera esponenziale, come gli interessi da pagare alle banche per gli scoperti. Ho dovuto lasciare senza lavoro 15 persone”.

Camminando nel piccolo stabilimento, Pasquini mostra i macchinari: “Tutti nuovi. In questa stanza ci sono 2 milioni di euro di attrezzatura. Ho provato a venderli, ma non mi vogliono dare più di 25mila euro. Non esiste più niente, giusto il nome della tipografia. Ho già tolto l’insegna, per evitare di dover pagare la tassa”.

Pasquini non è l’unico a rinunciare al nome: per strada incontriamo tanti capannoni anonimi e rigorosamente chiusi. All’angolo tra via Salvo D’Acquisto e via Carlo Alberto Dalla Chiesa svetta la mole delle Cornici Vadesi: trenta posti di lavoro scomparsi alla fine del 2012. L’insegna qui c’è ancora, come i pezzi di legno accatastati sotto una tettoia, pronti per essere trattati. Ma il lavoro non c’è più.

Ci spostiamo lungo la via e troviamo la Saint Germain des Pres: “Lavorare qui – ci spiegano gli abitanti di Sant’Angelo – era come trovare un impiego alle Poste”. L’azienda produceva maglieria con un proprio marchio, distribuito in tutta Europa e in Oriente. Da qualche mese è in liquidazione e i 30 dipendenti sono a rimasti a casa. “La valle del jeans è in ginocchio – ammette Gianmatteo Donnini, titolare della Saint Germain – la stretta del credito è fortissima e tutta la zona era ponderata sull’abbigliamento. Quando il settore è andato in crisi, noi siamo rimasti coinvolti nella catena: i grandi marchi che facevano ordinazioni a Sant’Angelo in Vado si sono spostati all’estero lasciando senza commesse chi lavorava per conto terzi. Noi, che producevamo per il nostro marchio di total look, siamo stati colpiti dal calo dei consumi: il ceto medio non esiste più e se siamo arrivati a tagliare la spesa alimentare significa che quella per l’abbigliamento era diventata superflua già da un po'”.

Clicca per navigare la mappa della crisi

Arrivati in fondo a via Salvo D’Acquisto, finalmente sentiamo un rumore di macchinari in funzione. È la Sab Snc dei fratelli Catani: producono tavoli in legno dal 1968, ma nell’ultimo anno il numero degli operai è passato da 15 a 6. “Proviamo a resistere anche se ci siamo dovuti ridimensionare – sottolinea Alfredo Catani – il nostro problema è che la produzione dei mobili si sta spostando all’estero: avevo un cliente veneto che ogni settimana acquistava un container intero di merce, adesso compra in Asia. Qui è scomparso tutto, non so quante aziende arriveranno a vedere il prossimo autunno”.

Attraversiamo tutta l’area passando da via Cascata del Sasso e via Nanni Valentini. Lo scenario è sempre lo stesso: capannoni inanimati, parcheggi vuoti, insegne scomparse o scrostate, poche persone per strada. Troviamo una porta aperta: è quella della Stircontrol, azienda rinomata per la stiratura dei jeans. Dentro al capannone centinaia, forse migliaia, di pantaloni in denim impilati con cura sugli stendini e un uomo che lavora da solo. “Non ho ridotto il personale – si affretta a spiegare Antonio Baffioni – ma il lavoro è poco. Spesso bisogna rinunciare ad alcune commesse perché manca la liquidità per anticipare le spese. Sono le banche che decidono chi salvare e chi far fallire, ma è assurdo non aprire i rubinetti a chi lavora”.

Chi ancora resiste spesso lo fa grazie a prodotti innovativi: è il caso di Andrea Sassi, titolare della PROmo Jeans. Nel 2009 Sassi ha iniziato a produrre jeans per motociclisti, con tasche per inserire le protezioni. Il mercato gli ha sorriso, ma anche lui ammette: “Più che altro resistiamo”.

LEGGI C’è un jeans nel Montefeltro che resiste alle cadute e alla crisi globale

Facciamo inversione, stando attenti a non finire nelle grosse buche che si sono aperte sull’asfalto. Ci fermiamo davanti alla Lavanderia Centro Italia. È uno degli stabilimenti più grandi di Sant’Angelo in Vado e prima della crisi era il luogo di lavoro di 86 persone. La ditta trattava il tessuto denim per le grandi case di moda, ma a un certo punto il gioco è finito. La Lavanderia è rinata cambiando ragione sociale (International Design) ma il numero di dipendenti è sceso a una ventina.

La crisi ha colpito direttamente le fabbriche, ma i contraccolpi hanno danneggiato anche altre attività, come l’unica tavola calda della zona, il Break Café. Dai 60 pasti giornalieri si è scesi a una quindicina e anche il personale ne ha risentito: “Ho dovuto mandare via una ragazza – racconta la proprietaria,  Stefania Gorgolini – alle altre ho ridotto gli orari e quindi gli stipendi. Molti turni adesso li faccio io. Ci sono meno clienti e quelli rimasti spendono meno che in passato”.

È quasi sera. L’ultimo ad aprirci la porta è Andrea Antoniucci della Adus Marmi Eurodesign. Il suo problema principale non è la mancanza di commesse ma la mole di crediti difficili da riscuotere: “Siamo stati danneggiati dalla crisi dell’edilizia – spiega – il sintomo è che il nostro pacchetto clienti si è assottigliato e metà delle ditte che lavoravano con noi ha cambiato ragione sociale. Non parliamo poi delle aziende che hanno accettato lavori per la Pubblica Amministrazione e che ci devono soldi: viviamo anche noi la lungaggine biblica dei pagamenti”.

La parola d’ordine è ridimensionare: “Va bene – commenta Antoniucci – ma rischia di diventare un suicidio: vuol dire svendere, tagliare personale. La mattina ti chiedi chi te lo fa fare: io ho deciso di portare avanti l’azienda fondata da mio padre, ma lavoro rimettendoci soldi. Si sono inariditi anche i rapporti interpersonali: un tempo c’era collaborazione anche tra ditte concorrenti, adesso ci scanniamo per sopravvivere. Vivo qui da 40 anni e ogni giorno assisto all’agonia di Sant’Angelo in Vado”.

Il futuro appare incerto, avvolto da nuvole che non fanno presagire nulla di buono: “Quei pochi matti patentati come me – spiega Antoniucci –  che ancora ci credono aspettano da cinque anni che le cose cambino, ma sento solo discorsi senza senso: parlare di soldi alle imprese nel 2014 è come dire che si porta un bicchiere d’acqua a chi è già morto di sete”.

Ripartiamo. La macchina si ferma davanti a un semaforo rosso che ormai non ha più senso. Basterebbe il segnale di stop. Non passa più nessuno. “Se si vuole morire schiacciati da un camion questo non è il posto giusto – dice con asprezza il tipografo Dante Pasquini – si è costretti ad appendersi a una corda”.

Sullo stesso argomento:

2 commenti to “Un jeans ormai lacero. La crisi non risparmia Sant’Angelo in Vado”

  1. MARCO DE DOMINICI scrive:

    E’ davvero uno splendido articolo. Complimenti!…..meriterebbe di apparire anche a RAITRE nel telegiornale regionale.

  2. Francesco scrive:

    Ci ho fatto il lavoro di fine corso. 2008-2010