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L’ultimo saluto a “Pippi”, il barbiere di Carlo Bo

di    -    Pubblicato il 26/01/2015                 
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1990anniFineGiornataURBINO – “Barba o capelli?” così per 70 anni “Pippi” il barbiere della città ha accolto i clienti che entravano dalla porta vetri in via Mazzini. Enzo Busignani è morto sabato 24 gennaio a 82 anni, oggi si sono tenuti i funerali al Duomo ai quali ha partecipato l’intera comunità. Un “classico di Urbino” come molti lo definiscono.  Una vita di lavoro in bottega, iniziata quando aveva poco più di 11 anni come apprendista del padre, in quella stessa stanzetta in cui lavorerà per sette decenni.

Un piccolo negozietto lungo la discesa che congiunge Mercatale a piazza della Repubblica, puntuale ogni mattina alle otto, ricordano i negozianti vicino. A rintoccare le ore di tutti quegli anni un orologio a pendolo meccanico, di quelli che non si vedono più in giro. Una vita tranquilla e dedita al lavoro: ha smesso più di un anno fa nonostante fosse in pensione già da prima. Da allora nessuno ha toccato nulla, nemmeno l’albero di Natale 2013 che ancora si intravede attraverso le tende.

Anche la gabbietta con i Torricini di Urbino è ancora in vetrina. Quella che per molti anni è stata la casa di due cardellini. In piazza i custodi delle memorie della città raccontano di quando un professore universitario lo ha denunciato alla protezione animali e che Enzo si sia anche preso una multa. Liberò gli uccellini e, per non dire addio a quella compagnia canterina, ne comprò due finti che fischiettavano a un battito di mani.

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Foto per gentile concessione di Michele Gianotti

“Pippi” era un barbiere alla vecchia maniera, con tutti gli strumenti del mestiere: rasoio a mano libera che rifiniva sulla coramella e che puliva sulla schedina. Si rifiutava di fare la “mezza riga” anche quando era la moda del momento, al suo posto ha sempre prediletto lo stile classico, nessuna soddisfazione ai giovani ‘stravaganti’ dalle chiome pazze.

Ha tagliato i capelli a generazioni di urbinati. La domenica a domicilio da Carlo Bo e monsignor Donato Bianchi, il cardinale. Si imbatté agli inizi della carriera in due repubblichini che avrebbero poi fucilato tre urbinati sospettati di essere partigiani. Con 30 mila lire da “Pippi” potevi fare l’abbonamento per un mese a barba e capelli invece che darne mille al giorno.

Nelle feste ufficiali personificava con gli abiti storici il “cardinale” ai tempi del Duca Federico. Ha smesso di partecipare solo quando ha scoperto che non esisteva il ruolo di papa, quello che avrebbe voluto recitare. Lo conoscevano bene anche in parrocchia: suonava ogni domenica uno strumento da lui brevettato a mo’ di maracas: una latta di lacca per capelli riempita di pollini da caccia.

Unico rammarico non aver lasciato la bottega a un giovane. Ha provato a insegnare il mestiere, così come suo padre aveva fatto con lui. Ma pare che oggi nessuno voglia imparare.

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