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Al via il terzo Festival del Giornalismo Culturale, Dorfles: “Senza cultura non si fa informazione corretta”

di    -    Pubblicato il 4/04/2015                 
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Piero Dorfles

Piero Dorfles

URBINO – La terza edizione del Festival del Giornalismo Culturale, curata dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione e Discipline Umanistiche dell’Università di Urbino Carlo Bo, durerà quattro giorni: inizierà a Urbino giovedì  23 aprile e si sposterà a Fano dal sabato. Se la prima edizione è stata una panoramica generale dell’informazione culturale in Italia e  la seconda ruotava intorno al binomio crisi economica e informazione culturale, quella di quest’anno intende sviluppare  tre nuove tematiche: come la rivoluzione digitale sta ridefinendo il campo culturale,  la correlazione tra cultura e benessere e la centralità della figura di intermediario culturale.

LEGGI  Il programma completo

Alla sua terza partecipazione al festival, Piero Dorfles, giornalista, scrittore, conduttore televisivo e radiofonico, aprirà l’evento con una lectio che sarà orientata a chiedersi non tanto come funziona il giornalismo culturale, quanto di cosa si occupa.

Quali saranno le tematiche sviluppate nella sua lectio d’apertura?
“Cercherò di rispondere a un quesito difficilissimo: cosa si intende per giornalismo culturale oggi? Nel mio intervento proverò anche a illustrare come i diversi media intendono la comunicazione culturale. C’è una differenza sostanziale tra il giornalismo d’informazione e quello culturale. Il giornalismo culturale si occupa di fatti che non sono per forza caratterizzati dalla necessità, dall’urgenza e dall’immediatezza delle altre notizie e credo che in questo senso la rete abbia meno capacità di occuparsi di giornalismo culturale”.

L’esempio di Pagina99, noto per produrre contenuti culturali di qualità e costretto a chiudere, non riflette una tendenza secondo cui il giornalismo culturale non riuscirà a sopravvivere sulla carta stampata?
I siti internet e i blog che hanno lo stesso tipo di taglio dei più  grandi supplementi culturali della stampa, come era il sabato di Pagina99, tendono a uscire dallo schema della rete e piuttosto ripetono lo schema della carta stampata. In tal senso si può affermare che può sopravvivere quel modello di giornalismo, ma certo non ha niente a che fare con il mezzo sul quale si scrive. Perché scrivere un articolo di molte colonne o molte cartelle, come spesso avviene sui blog culturali, è esattamente quello che si fa sui giornali. Le due cose non si sostituiscono; si sovrappongono e per certi versi sono identiche. La rete può sostituire la grande stampa solo per l’informazione che richiede velocità, immediatezza e urgenza”.

Secondo lei in Italia c’è bisogno di testate o reti dedicate interamente alla cultura?
“Non ho mai pensato che ciò di cui abbiamo bisogno in Italia sia una rete interamente culturale. Quello di cui abbiamo bisogno realmente sono reti  che abbiamo stimoli culturali all’interno, che siano fatte di persone di cultura e che non occhieggino soltanto alla rincorsa degli ascolti”

Il Festival di Urbino può diventare un evento cardine del giornalismo a livello nazionale?
“Ho qualche dubbio che il giornalismo nazionale abbia come punto cardine la cultura e questo è il motivo per cui è giusto che il Festival di Urbino abbia tutta la rilevanza necessaria. Temo che si debba recuperare qualcosa che nel corso degli ultimi anni si è perso e cioè un’attenzione nazionale sui temi della cultura, che non sono affatto marginali come qualcuno crede, ma sono ben più centrali di molti altri. Senza cultura, infatti, non si fa informazione corretta, non si costruiscono lettori consapevoli di leggere e di decifrare le notizie e soprattutto credo che senza spinte culturali i Paesi tendano a raggiungere un livello di modesto sviluppo.

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