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La cultura viaggia nel web: “Giornalisti, imparate a conoscere la rete e dialogate coi lettori”

IMG_6640URBINO – Luogo comune vuole che il web sia il regno della rapidità, quindi dell’approssimazione. Perfetto per dare notizie al volo, in diretta o quasi, ma inadatto per ragionamenti più approfonditi. Per la cultura e l’analisi invece non c’è niente di meglio del buon vecchio inserto cartaceo, da leggere comodamente in poltrona la domenica o nei momenti di relax, nei quali si può ragionare con calma. Giusto? No. Perché la tecnologia attuale permette di creare sul web un prodotto multidirezionale e più completo, abbattendo le categorizzazioni proprie del giornalismo cartaceo tradizionale. A patto, ovviamente, di conoscerla e padroneggiarla al meglio.

Il filo conduttore dell’incontro “Dov’è la cultura oggi? Il web”, svoltosi al teatro Sanzio di Urbino in occasione del Festival del Giornalismo Culturale 2015 era teso proprio tra la smitizzazione del ‘vecchio’ e la demolizione dei cliché  riguardanti il giornalismo digitale. Con la moderazione dello scrittore Christian Raimo, si sono confrontati su come e in che modo le moderne tecnologie possono dare maggior vigore al giornalismo culturale Mario Tedeschini Lalli, Luca De Biase, Paolo Di Paolo, Cristina Raffa, Beniamino Pagliaro, Nello Avellani, Martin Angioni e Fabio Giglietto.

“Funzione storica del giornalismo culturale era creare una pausa nel giornalismo d’informazione – spiega Tedeschini Lalli, vice responsabile per l’innovazione e lo sviluppo del gruppo L’Espresso – fornendo ‘l’approfondimento’, tra tante virgolette”. Il giornalismo tradizionale ha sempre ragionato per “silos”, ciò categorizzando le notizie: esteri, economia, politica e via dicendo. Per Tedeschini Lalli, la forza del web sta proprio nella possibilità di abbattere questi silos. “Fare giornalismo culturale nell’universo digitale significa creare collegamenti tra i diversi argomenti, col giornalista che diventa un curator, colui che seleziona i diversi argomenti di interesse”.

Per farlo, occorre però conoscere meglio gli strumenti di cui si dispone, in modo da sfruttarli appieno. “La comprensione digitale è entrata pochissimo nelle redazioni culturali e questo è un male – continua Tedeschini Lalli – all’interno delle redazioni deve esserci una cultura ingegneristica, occorrono più giornalisti ingegneri”.

Per sopravvivere al cambiamento il giornalismo deve quindi guardare avanti. Non subire la novità, ma sfruttarla per migliorare il proprio lavoro. “Ci vuole uno sguardo postcontemporaneo – sostiene De Biase, editor di innovazione de Il sole 24 ore e caporedattore dell’inserto Nòva 24 – bisogna guardare oltre i fatti di adesso, capire quali conseguenze avranno. L’intelligenza artificiale sta cambiando il giornalismo, ma non dobbiamo subirlo passivamente. È una questione di atteggiamento mentale, abbiamo i mezzi per imporre le nostre idee. Se una piattaforma non ci piace, possiamo crearne una migliore”.

Esempi pratici ce ne sono tanti. Come News Town, quotidiano online nato subito dopo il terremoto de L’Aquila per raccontare, come spiega Avellani, “la rinascita materiale, culturale e sociale della città. Cerchiamo di raccogliere tutti i dati possibili per dare alla gente le informazioni di cui ha bisogno, raccontando al contempo ciò che succede a L’Aquila”.

O come Good Morning Italia, newsletter che ogni giorno, alle 7:30, invia agli abbonati l’elenco delle principali notizie del giorno, via mail o tramite app. Abbattendo, come piace a Tedeschini Lalli – che infatti ha un abbonamento “a vita” alla newsletter – i famosi silos. “Le riunioni di redazione dei giornali non sono contemporanee – sostiene Beniamino Pagliaro, che di Gmi è uno degli ideatori – hanno ancora la divisione delle notizie per settori. Noi, per ragioni economiche e ideologiche, no. Non è un elemento rilevante, ciò che importa è il contenuto. Mettiamo solo quello che riteniamo importante e, visto che le notizie che diamo generalmente sono tutte sul tg1 delle 20, evidentemente facciamo un buon lavoro”.

Good morning Italia offre un servizio a costi bassissimi. Infatti hanno tutti un secondo lavoro. “Ma non è un problema di soldi – spiega Pagliaro – potrei permettermi di pagare due redattori a tempo pieno, e li pagherei pure bene. Ma poi dovrebbero svegliarsi tutti i giorni alle 5. Preferisco averne 9 part time ma farli svegliare a quell’ora solo una volta a settimana”.

Il web, poi, può rivelarsi un mezzo efficace per lanciare una rivista cartacea. Come hanno fatto quelli di Pagina 99, il cui obiettivo era un giornale di approfondimento che nell’era digitale desse un nuovo senso alla carta. Per fare questo, sono partiti da ciò che più di ogni altra cosa è, nell’immaginario comune, lontano dalla cultura: i social network. “Ancor prima di uscire in edicola o di attivare il sito, abbiamo aperto una piattaforma social – racconta Cristina Raffa – ci pubblicavamo i primi contenuti, in modo da creare i primi spunti. Siamo entrati subito in confidenza con i nostri lettori, rispondevamo ai loro commenti e li tenevamo in considerazione”.

Quello dell’interazione con i lettori è un punto su cui la Raffa insiste molto: “Molti colleghi non capiscono che stare sui social non è un abbassarsi di livello né una perdita di tempo. Il giornalista di oggi si occupa di social e li dirige, dobbiamo essere tutti social media editor”. Sul punto, però, il giornalismo italiano è molto vecchio stile. E non solo quello cartaceo. “Il pubblico televisivo cerca di influire sui programmi che segue – commenta Fabio Giglietto, professore dell’università di Urbino – soprattutto tramite i social. Però le sue istanze sono spesso declassate a rumore e ignorate”.

Non che, in tema di giornalismo culturale, i quotidiani siano così avanti da poter fare a meno di suggerimenti. “Le sezioni culturali dei principali quotidiani – dice Di Paolo, giornalista e scrittore – sono brutte a vedersi e del tutto inefficaci nel contenuto. Basti pensare che non c’è stata nessuna recensione leggibile sull’ultimo film di Nanni Moretti, sembravano tutte estensioni di comunicati stampa. Il loro contenuto non è più spendibile, li leggono solo gli abbonati storici. Ma per abitudine, non per piacere”. La possibilità che la stampa cartacea muoia non spaventa però Di Paolo “Se succederà, potrà comunque rinascere come distillato di ciò che ogni giorno viene scritto sul web. Bisogna smettere di vedere la rete come un luogo dove tutto è uniforme solo perché vi può scrivere chiunque. Le tribune di qualità online si distingueranno, e ciò sarà un vantaggio anche per il cartaceo”.

Foto di Anna Saccoccio e Jacopo Salvadori

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