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Pagava la benzina con assegni scoperti, condannata per truffa dal Tribunale di Urbino

di    -    Pubblicato il 29/04/2015                 
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URBINO – Pagava la benzina con assegni scoperti, staccati dal libretto di un’amica. Per questo Alessandra Procaccini, residente a Serra Sant’Abbondio, è stata condannata in primo grado per truffa a 8 mesi di reclusione e 150 euro di multa dal Tribunale di Urbino, nel processo conclusosi martedì 28 aprile. Giuseppina Votino, 60enne di Torrecuso, in provincia di Benevento, anche lei imputata in quanto intestataria del conto, è stata invece assolta.

Secondo la ricostruzione della pm Enrica Pederzoli, la donna condannata, “avvezza a delitti contro il patrimonio”, si era più volte rifornita di carburante in un distributore di Acqualagna gestito dalla fermignanese Loredana Passeri, parte offesa nel processo. Il pagamento avveniva con assegni di conti correnti postali riconducibili alle due imputate, poi risultati scoperti.

Il legale di Votino, l’avvocato Giuseppe Briganti, in aula ha spiegato che tra le famiglie delle due imputate c’era un rapporto di amicizia molto stretto. Durante una visita della donna campana ad Alessandra Procaccini, in provincia di Pesaro e Urbino, quest’ultima le propose di aprire un conto corrente postale e di farsi dare la delega. Convincendola a firmare il blocchetto degli assegni appena ritirato, perché “altrimenti non sarebbero stati validi” e offrendosi di custodirlo per evitare che si perdesse. Le ‘buone intenzioni’ della Procaccini erano motivate dal presunto aiuto nella gestione della pensione della 60enne che in quel modo “sarebbe stata più facile”, considerando i problemi di salute di cui soffre l’amica di Torrecuso. Il difensore di Votino ha proseguito spiegando che, a parte la firma, gli assegni sono stati compilati e datati da un’altra mano e che la donna non era consapevole dell’uso che veniva fatto del blocchetto. Versione accolta dal giudice Paolo Cigliola, che infatti ha assolto la donna con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Ubaldo Fiorucci, legale di Alessandra Procaccini, ha basato la strategia di difesa su più argomentazioni. Tra queste, la mancanza di “artifizi o raggiri” nel comportamento della donna previsti per il reato di truffa (art. 640 del Codice penale) e la mancanza di elementi che confermassero che Procaccini sapesse che gli assegni erano scoperti, “ammesso che sia stata lei ad averli spesi”.

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