il Ducato » content curation http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » content curation http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Luca De Biase: “Pur con tutti i suoi limiti, il web è un medium perfetto per divulgare la cultura” http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/luca-de-biase-pur-con-tutti-i-suoi-limiti-il-web-e-un-medium-perfetto-per-divulgare-la-cultura/72097/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/luca-de-biase-pur-con-tutti-i-suoi-limiti-il-web-e-un-medium-perfetto-per-divulgare-la-cultura/72097/#comments Fri, 24 Apr 2015 21:55:51 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72097 IMG_6664

Luca De Biase, giornalista Sole 24 Ore e fondatore Nova24

URBINO – Il web non è perfetto. Anzi, deve fare i conti ogni giorno con la scarsità. Di tempo, di attenzione e di capacità di discernimento. Eppure continua ad essere lo strumento migliore per veicolare cultura.

Luca De Biase, firma del Sole 24 Ore e fondatore di Nova24 (che ha guidato dall’ottobre 2005 al giugno 2011 e che ha ripreso a guidare dal luglio 2013), a margine del panel dedicato al ruolo del Web quale veicolo di informazione si è soffermato sulle potenzialità e sui limiti della rete. E sulla rivoluzione irreversibile che ha causato nel rapporto tra editori e pubblico: “Prima dell’Internet, gli editori possedevano lo spazio sul quale si pubblicava e questo era limitato, quindi aveva molto valore. Ora lo spazio è infinito e questa scarsità è scomparsa”. A suo avviso sono tre, tuttavia, le scarsità che persistono. E contano moltissimo: “La scarsità di tempo delle persone; la scarsità di attenzione delle stesse; la scarsità di capacità di riconoscere la rilevanza delle informazioni. L’offerta è diventata sì illimitata, ma deve confrontarsi con queste tre scarsità che sono controllate dal pubblico e non più dagli editori”.

Quali sono le conseguenze di questa rivoluzione copernicana?
“La conseguenza principale è che, per aver successo, quegli editori che prima determinavano i gusti e le abitudini del pubblico adesso lo devono servire: se non vengono adottati dal pubblico, i prodotti degli editori non hanno ragione di esistere. Condizione per l’adozione è che questi prodotti siano al servizio del tempo, che è limitato, dei lettori, della loro capacità di attenzione etc. Queste caratteristiche sono particolarmente complicate da definire perché i consumatori non sanno cosa vogliono. Vogliono novità, innovazione, cose che non sanno e che quindi vogliono sapere”.

Il web è il mezzo giusto per veicolare messaggi culturali?
“Assolutamente sì, la tecnologia fa parte del risultato culturale: “La cultura è tecnologia”, citando Pierre Gourou. Il web è particolarmente efficace da questo punto di vista perché è così malleabile: puoi fare un giornale culturale con la metafora del giornale culturale, ma puoi fare anche un giornale culturale con la metafora del museo, di una biblioteca, di un circolo di amici. O con la metafora del network di scienziati. Offre opportunità infinite”.

Il professor Dorfles ha dichiarato al Ducato di ritenere il web idoneo a veicolare solo informazioni caratterizzate da immediatezza e urgenza. Sul web c’è spazio, insomma, solo per decreti-legge?
“In quel che dice c’è anche del vero, perché il web, nella maggior parte dei momenti in cui è utilizzato, al pc ma soprattutto ormai sullo smartphone, è più un flusso di informazioni che uno stock. Ma sostanzialmente sono in disaccordo, perché anche il web è un deposito di informazioni stabili e di qualità elevatissima. E’ il web a consentirti di andare a leggere i paper scientifici che sono prodotti in modo aperto, che ti consente di andare a cercare contenuti profondi, sofisticatissimi e stabili! E’ il web ad aver consentito a Brewster Kahle di fare archive.org, che è l’archivio di tutte le pagine web che sono state pubblicate. Questo non è flusso, è stock. Il web è un ecosistema. Può darsi che le cose che sono più in evidenza siano quelle del flusso immediato, ma certo nel web esistono delle ricchezze fondamentali”.

Lei è più volte tornato sul tema dell’information overload, del sovraccarico di informazione. A chi spetta di guidarci nel mare magnum delle notizie?
“Ai sistemi che fanno informazione: in parte agli algoritmi, in parte ai content curators, che interpretano i bisogni del pubblico cercando di mettere insieme informazioni che ritengono essenziali. L’algoritmo lo fa sulla base di una logica oggettiva e automatica e quindi prevedibile. Si pensi agli algoritmi di Facebook o Google. I curator, invece, interpretano con il loro apporto culturale quel che può essere interessante per il pubblico. Perché la curation abbia senso deve essere comoda come la selezione dell’algoritmo, come l’automatismo. Ma dovrà essere credibile e sorprendente più dell’automatismo, dovrà provare l’apporto culturale di chi ha operato la selezione”.

Su un piano strettamente finanziario, fino a quando sarà sostenibile un sistema di questo tipo?
“La mia impressione è che presto si renderanno necessarie delle forme di condivisione dello sforzo economico, perché è difficile credere di poter pagare questo lavoro solo tramite pubblicità. Dovranno instaurarsi forme di complicità col pubblico tali che questo sia disposto a pagare per i servizi di informazione di questo tipo”.

Foto di Anna Saccoccio

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Content curation, i giornalisti vanno a caccia dell’informazione di qualità http://ifg.uniurb.it/2015/03/11/media-home/content-curation-i-giornalisti-vanno-a-caccia-dellinformazione-di-qualita/67690/ http://ifg.uniurb.it/2015/03/11/media-home/content-curation-i-giornalisti-vanno-a-caccia-dellinformazione-di-qualita/67690/#comments Wed, 11 Mar 2015 11:53:09 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=67690 Playbook, ora anche in Italia nascono servizi dedicati di content curation. I casi di Good Morning Italia e Slow News, con abbonamenti in crescita e lettori che non si limitano solo a leggere, ma vogliono anche contribuire]]> 8946748278_8fb6f8f667_nURBINO – Selezionare le notizie prese dal mare magnum dell’informazione online e cartacea e fornire una scelta di qualità che possa orientare l’utente a districarsi nell’immensa mole di notizie oggi disponibili. Questa è la “content curation”. Un’attività che, in fondo, è sempre esistita. Ogni giorno, infatti, i giornalisti selezionano le notizie, decidendo cosa merita la prima pagina e cosa invece lasciare fuori.
“La differenza è che oggi la content curation è diventata un prodotto che si vende”, dice Beniamino Pagliaro, uno dei fondatori di Good Morning Italia – un servizio nato due anni fa sul modello di Playbook, la newsletter mattutina del sito di informazione americano Politico – che ogni giorno fornisce entro le 7.30 una selezione con le notizie più importanti della giornata.

Pagliaro ne sottolinea la dimensione artigianale: “Selezionare è un lavoro estremamente giornalistico – spiega – manuale, certosino. Occorre avere una preparazione culturale solida e la capacità di leggere e interpretare le notizie per poterle poi scegliere e offrire”.
Il lavoro che c’è dietro a ogni edizione di Good Morning Italia, che si legge in 5 minuti – il tempo di prendere la metro prima di andare a lavoro – è di almeno quattro o cinque ore al giorno: “Nel corso della giornata – racconta Pagliaro – i nostri redattori individuano quali sono gli argomenti interessanti da mettere nell’edizione del mattino seguente. Good Morning Italia non è una newsletter, né una rassegna stampa: è un nuovo media, è contemporaneo ed è adatto alla vita che le persone fanno nel 2015″.

Nel panorama dei “nuovi media” italiani si è affacciato da poco più di due mesi anche un altro esempio di content curation, dal nome emblematico: Slow Newsovvero l’opposto di “breaking news”. Si tratta di una newsletter che arriva due volte a settimana, il mercoledì e la domenica. Ogni numero contiene una selezione di contenuti online, accompagnata da un abstract che li descrive. “Per noi Slow News è un certo tipo di informazione – dice Alberto Puliafito, uno degli ideatori del sito – un modo di approfondire più a misura d’uomo. La possibilità di fermarsi e di uscire dal flusso infinito che è l’informazione su Internet”.

Entrambi i prodotti, che puntano molto sulla qualità, sono a pagamento. Gli abbonamenti mensili costano 1,99 euro nel caso di Good Morning Italia e due euro per Slow News, mentre scegliendo pacchetti annuali o a vita si risparmia qualcosa in più. “Non siamo ancora in utile – dichiara Pagliaro – ma dato che siamo ancora in fase di start-up, penso sia normale a neanche un anno dal lancio della versione a pagamento”.
Alberto Puliafito è più dubbioso riguardo alla sostenibilità economica di queste attività: “Nel nostro caso, si tratta di un progetto professionale residuale – dice – La nostra redazione, infatti, è composta da cinque giornalisti che hanno tutti un altro lavoro e, al momento, consiste in un documento condiviso in cui carichiamo le nostre idee”. Nonostante questo, gli abbonamenti sono in crescita e gli utenti iniziano a segnalare i loro contenuti: “Nel prossimo numero inseriremo, ad esempio, un articolo bellissimo che ci è stato segnalato da un lettore” aggiunge Puliafito. Un passo nella direzione dell’open journalism, cioè il coinvolgimento dei lettori nella produzione o nella scelta dei contenuti.

“Il processo di content curation passa necessariamente attraverso l’open journalism – spiega Pier Luca Santoro, esperto di marketing e comunicazione e fondatore dell’osservatorio sui media Datamediahub – cioè l’apertura delle redazioni al rapporto con i pubblici di riferimento, che diventano protagonisti del processo di selezione. In Italia, però, questa è una realtà ancora lontana”.

Content curation è sinonimo di contemporaneità, ma anche di futuro: “La selezione c’è sempre stata e continuerà a esserci – riflette Pagliaro – e oggi è esaltata dalle potenzialità degli strumenti digitali di cui disponiamo per la produzione e la fruizione”. Per Santoro la content curation sarà uno dei principali compiti del giornalismo nei prossimi anni: “Il lavoro di chi fa informazione è quello di mettersi al centro della rete – spiega – attingendo naturalmente alle fonti tradizionali, ma anche interpretando il flusso di contributi e stimoli che arrivano dalle persone e dai social. Lo potrebbe fare anche un algoritmo, ma il content curator ci mette ciò che chiamo il tocco umano: preparazione e professionalità”.

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