il Ducato » informazione http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » informazione http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Ogunlesi (Africa Report): “Una Al Jazeera africana contro i pregiudizi occidentali” http://ifg.uniurb.it/2015/04/15/ducato-online/una-al-jazeera-africana-per-combattere-i-pregiudizi-delloccidente/70680/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/15/ducato-online/una-al-jazeera-africana-per-combattere-i-pregiudizi-delloccidente/70680/#comments Wed, 15 Apr 2015 19:04:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70680 anna_tolu_2

Toli Ogunlesi, giornalista di Africa Report

PERUGIA – Un continente, 54 stati, tante lingue e differenze enormi tra una regione e un’altra. Ma per giornali e tv occidentali – e non da oggi – è tutto un unico grande Paese. Le sfumature si perdono. I lettori non conoscono l’Africa e per questo i media si sentono legittimati a dire quasi qualsiasi cosa. “Raccontare l’Africa senza stereotipi è una sfida per i giornalisti occidentali, ma anche in Africa dobbiamo sviluppare i media locali e renderli una fonte affidabile per le testate occidentali. In Africa ci informiamo sui siti della Bbc e della Cnn anche per sapere cosa succede a casa nostra e questo è un problema”, spiega Tolu Ogunlesi, giornalista nigeriano di Africa Report e corrispondente per il New York Times e il Financial Times.

Tolu ha parlato al Ducato a margine del convegno“L’Africa rappresentata nei media occidentali: errori, approssimazioni, omissioni” che si è svolto al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia il 15 aprile. “Bisogna trovare nuovi modi di comunicare l’Africa – ha spiegato Tolu – è importante raccontare le storie locali da una prospettiva africana, lontana dai luoghi comuni”.

Quali sono gli errori più comuni che i media occidentali fanno quando parlano di Africa?
In occidente giornali e tv spesso partono dai una determinata idea che hanno dell’Africa e che vogliono raccontare al loro pubblico. Quando sono sul posto i giornalisti cercano conferme a queste idee e raccolgono testimonianze che possano supportarle. Spesso evidenziano cose che non sono rilevanti agli occhi degli africani. Per esempio, appena è stato eletto il nuovo presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan molti media occidentali hanno dato risalto soltanto alle sue intenzioni di combattere Boko Haram anziché analizzare l’evento da un punto di vista politico e spiegare i motivi che hanno portato alla sua vittoria.

Quando si parla della divisione religiosa in Nigeria si presenta il paese come spaccato in due: musulmani a nord e cristiani a sud. Ma la realtà è più complessa, spesso ci sono questioni più gravi e profonde all’interno della stessa comunità religiosa, tra etnie diverse.

Altre volte vengono omesse delle informazioni importanti: recentemente l’inglese ha sostituito il francese come lingua ufficiale del Ruanda perché il paese voleva lasciarsi alle spalle il passato coloniale. Di questo in Europa non se ne è parlato.

Come sono coperti dai media africani i grandi eventi nell’occidente?
Imprecisioni ed errori non esistono solo nella stampa occidentale, anche noi cadiamo in stereotipi e luoghi comuni per spiegare realtà diverse dalla nostra. L’Italia viene collegata ai problemi di mafia, gli Stati Uniti a quelli di criminalità. Ma in realtà i media africani non parlano tanto dell’occidente, la maggior parte dei giornali e delle tv non hanno fondi per mandare inviati all’estero. Sarebbe bello se ci fosse una tv nigeriana a seguire le elezioni americane, ma oggi chi si vuole informare sui grandi eventi dell’occidente li segue su internet o direttamente sulla Cnn e la Bbc.

Il linguaggio usato dai media occidentali parlando di Africa è corretto?
Il linguaggio è un altro elemento che contribuisce a creare informazione imprecisa sulle realtà africane. In alcune testate occidentali spesso emergono discorsi quasi coloniali e paternalisti. Si parla di cosa andrebbe fatto in Africa, ma non vengono intervistate persone sul posto. Ho letto diversi articoli sulla diffusione dell’Ebola in Liberia in cui non veniva riportata alcuna testimonianza. Per migliorare l’informazione in occidente un primo passo sarebbe lo sviluppo dei media locali in Africa.

Cosa manca ai media locali africani per ottenere la stessa visibilità e influenza che hanno i grandi media internazionali?
Mancano inanzitutto soldi. Bisogna trovare i fondi e investire nello sviluppo tecnologico dei media e nella formazione dei giornalisti. Solo in questa maniera si può produrre un’informazione che possa competere con quella dei grandi media stranieri e ottenere credibilità. Ma, per far sì che i paesi occidentali si interessino a ciò che succede in Africa è necessario che gli stati si sviluppino economicamente. La speranza è che i media locali africani possano produrre informazioni sempre più approfondite e accurate e avere un giorno la stessa influenza dei grandi media internazionali. Creare un punto di vista africano per un pubblico africano e internazionale.

Ci sarà un Al Jazeera africana?
Sì, ci vorrà tempo, ma come insegna l’esperienza mediorientale un canale come Al Jazeera offrirebbe al mondo e all’Africa una prospettiva nuova e lontana dai luoghi comuni.

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Si è chiuso il dodicesimo biennio dell’Ifg: il Ducato torna nel 2015 http://ifg.uniurb.it/2014/04/27/ducato-notizie-informazione/si-e-chiuso-il-dodicesimo-biennio-dellifg-il-ducato-torna-nel-2015/61728/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/27/ducato-notizie-informazione/si-e-chiuso-il-dodicesimo-biennio-dellifg-il-ducato-torna-nel-2015/61728/#comments Sun, 27 Apr 2014 17:00:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=61728 [continua a leggere]]]> URBINO – Si è conclusa oggi l’esperienza dei 31 allievi del dodicesimo biennio dell’Istituto di Formazione al Giornalismo di Urbino. I ragazzi sono in partenza per le redazioni dove svolgeranno l’ultimo periodo di stage e poi entreranno stabilmente nel mondo del lavoro. L’Istituto rimarrà aperto solo per i servizi di segreteria, in attesa del bando per il prossimo biennio. A novembre arriveranno a Urbino gli allievi del prossimo biennio, mentre Il Ducato, Il Ducato Notizie, Ducato TV e RadioDucato torneranno i primi mesi del 2015.  Arrivederci dalla nostra redazione.

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Crowdfunding per i reportage di guerra: l’idea anti-crisi del Giornale http://ifg.uniurb.it/2014/02/11/ducato-online/crowdfunding-per-i-reportage-di-guerra-lidea-anti-crisi-del-giornale/57006/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/11/ducato-online/crowdfunding-per-i-reportage-di-guerra-lidea-anti-crisi-del-giornale/57006/#comments Tue, 11 Feb 2014 18:05:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57006 IlGiornale.it]]> Il reportage in Ucraina di Fausto Biloslavo finanziato con il crowdfunding

Il reportage in Ucraina di Fausto Biloslavo finanziato con il crowdfunding

L’unione fa la forza e, in tempi di crisi economica, può fare anche l’informazione. Così l’edizione online del Giornale di Alessandro Sallusti ha pensato di finanziare dei reportage all’estero da zone di guerra con il metodo del crowdfunding, cioè attraverso la donazione libera dei lettori. Qualunque sia l’argomento che vorremo vedere approfondito, dalla guerra in Libia a quella in Afghanistan, passando per i disordini di Kiev, basta andare sulla piattaforma online Gli occhi della guerra e pagare (o almeno, contribuire a pagare) un reportage. Raggiunti i fondi necessari, che si aggirano intorno a qualche migliaio di euro a seconda delle destinazioni, il giornalista parte, documenta e torna, portando con sé in Italia un prodotto che – sperano al Giornale – apparirà sul sito del quotidiano.

“Al giorno d’oggi – spiega la responsabile del progetto Laura Lesèvre – i giornali non hanno le capacità finanziarie per pagare gli inviati all’estero e per una buona informazione le agenzie di stampa non bastano”. Per avere un’informazione di qualità, quindi, bisogna pagare direttamente e di tasca propria. L’idea sembra non sconvolgere i lettori, che hanno già finanziato in toto tre reportage: “Diario da Kiev” e “Afghanistan goodbye” di Fausto Biloslavo e “Libia, il nostro petrolio è in pericolo” di Gian Micalessin. Entrambi gli autori dei primi progetti sono già collaboratori del Giornale, ma Laura Lesèvre spiega che l’Associazione no profit per la promozione del giornalismo (creata dal Giornale ad hoc per la gestione della piattaforma) ha preso contatti anche con freelance indipendenti.

Per ora la trasparenza sulle donazioni è incompleta: si può solo sapere quanti soldi sono stati raccolti e quante persone hanno donato qualcosa, senza la possibilità di capire a quanto ammontano le singole somme. Ad esempio, a quanto è riportato sul sito, il reportage di Biloslavo in Ucraina è stato finanziato in meno di 24 ore da 32 persone che hanno raccolto in tutto 3000 euro. Non è dato sapere, quindi, se è corretto stimare circa 100 euro per donatore o se magari c’è stato un grande finanziatore che ha accelerato la raccolta.

“Mi auguro che nel futuro il sistema di donazioni sarà più trasparente – confessa Barbara Schiavulli, giornalista di guerra e blogger del Fatto Quotidiano, che è stata contattata dal Giornale per proporre un suo reportage – anche perché immagino che a finanziarmi saranno persone che conoscono me, non tanto lettori fidelizzati del Giornale”.

La pagina del finanziamento di "Afghanistan goodbye" sulla piattaforma Gli occhi della guerra

La pagina del finanziamento di “Afghanistan goodbye” sulla piattaforma Gli occhi della guerra

E’ però possibile capire il ‘taglio’ delle donazioni da un particolare: per ogni piccolo finanziamento (da 1 a 50 euro) è previsto un ringraziamento personalizzato da parte dell’autore del reportage sulle pagine Facebook e Twitter degli Occhi della guerra. Nei giorni del crowdfunding di “Diario da Kiev” non appare alcun ringraziamento su nessuno dei due social network. I donatori, quindi, hanno probabilmente versato più di 51 euro a testa, ricevendo un omaggio più consistente: dai 51 ai 200 euro una foto realizzata dal reporter nella zona di guerra; dai 201 ai 500 il libro “Gli occhi della guerra” e la raccolta del materiale prodotto dall’inviato; da 501 a 1000 euro il libro, la raccolta e una giornata in redazione; da 1001 euro, oltre a tutto quello già detto, ci si può azzardare addirittura ad invitare il reporter per una conferenza sul tema nella propria città.

Se la pubblicazione del reportage su IlGiornale.it è data per certa, in realtà i vincoli tra l’inviato che parte e il Giornale non sono ufficiali. “Tra noi e loro non c’è nessun contratto – chiarisce Lesèvre – quindi possono pubblicare il materiale dove vogliono. Ovvio, comunque partono grazie e noi e con i soldi dei nostri lettori, quindi ci aspettiamo un’esclusiva. Ma il materiale in più, gli autori possono darlo ad altre testate”.

Anche Barbara Schiavulli non ha dubbi sulla proprietà del reportage: “Sarà pubblicato sul IlGiornale.it, è chiaro, perché l’idea del crowdfunding è partita da loro. E’ per questo che lo fanno, perché conviene a entrambi”. Schiavulli vorrebbe lavorare ad un reportage sul radicalismo islamico in Europa: “L’idea è piaciuta, quindi stiamo facendo uno spot per lanciare il crowdfunding. E’ questione di giorni”.

L’informazione dall’estero, infatti, non è alla portata di tutti: per il giornalista, il crowdfunding diventa l’unica possibilità di partire; per la testata, è un occasione di avere esclusive costose. “Serve anche a fidelizzare i lettori – spiega Laura Lesèvre – perché scegliere e finanziare in fretta il reportage preferito diventa una gara stimolante. Non è vero che con gli esteri non si vende: i fondi che abbiamo raccolto ne sono la prova”.

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Basta Mandela, vogliamo sitcom e maltempo: la Bbc riceve 850 reclami http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/basta-mandela-vogliamo-sitcom-e-maltempo-la-bbc-riceve-850-reclami/53815/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/basta-mandela-vogliamo-sitcom-e-maltempo-la-bbc-riceve-850-reclami/53815/#comments Tue, 10 Dec 2013 17:14:10 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=53815 mandela

La homepage di Bbc News a cinque giorni dalla morte di Nelson Mandela

Nella serata di giovedì 5 dicembre due milioni e 800 mila telespettatori inglesi erano incollati agli schermi dei loro televisori: la Bbc, la prima emittente radiotelevisiva inglese, trasmetteva la replica di un episodio di “Mrs Brown’s boys”. Fuori, intanto, il ciclone Xaver devastava la costa orientale della Gran Bretagna, provocando due morti e 100 mila evacuati. A dieci minuti dalla fine della puntata, improvvisamente, le esilaranti avventure della vedova Brown e della sua numerosa famiglia sono state interrotte da un notiziario speciale: si è spento, all’età di 95 anni Nelson Mandela.

Nel giro di pochi secondi, l’annuncio si è imposto in prima linea su ogni mezzo d’informazione: la tv trasmetteva la vita dell’ex presidente del Sudafrica, la radio intercettava le condoglianze dei capi di Stato e la homepage della Bbc titolava sull’eroe dell’anti-apartheid. Una copertura mediatica che non è piaciuta proprio a tutti: in poche ore la più autorevole emittente d’Inghilterra ha ricevuto 850 lamentele.

“Le grandi storie, come la morte di Mandela, hanno bisogno di essere affrontate – si legge in uno dei reclami ricevuti dalla Bbc riportati dal Guardian – ma bisogna trovare un equilibrio. La sua morte non è stata inaspettata, era un uomo anziano, che era malato da molti mesi”. La scelta editoriale  della Bbc  è stata criticata su diversi fronti da parte del pubblico inglese: prima di tutto l’emittente avrebbe dato troppo spazio al politico sudafricano, tralasciando di informare la nazione sulla situazione del maltempo e del ciclone Xaver. Ma poi, era proprio necessario troncare la sitcom? “La Bbc interrompe la signora Brown dieci minuti prima della fine per una notizia su Nelson Mandela – si lamenta un telespettatore su Twitter – La notizia avrebbe potuto aspettare fino alle 22!”

Il pubblico è al centro di tutto ciò che fa la Bbc – recita un articolo delle Linee guida editoriali dell’emittente – Il feedback del pubblico è prezioso per noi e aiuta a migliorare la qualità del programma”. Ma per quanto riguarda Nelson Mandela, la Bbc ha deciso di non tornare sui propri passi. “La sua morte era qualcosa che abbiamo considerato sufficientemente significativo sia per interrompere la nostra programmazione, sia per estendere i nostri telegiornali – si è giustificata l’emittente in un post pubblicato il 6 dicembre sul sito web.

“Ci dispiace se c’è qualcuno che pensa di non essere stato ben informato sul maltempo” ha affermato lo stesso giorno il direttore di Bbc News, James Harding, durante una puntata del programma Newswatch. “Nessuno ha bisogno di una lezione sulla sua importanza – ha continuato – ma stiamo probabilmente parlando dello statista più importante e più significativo degli ultimi cento anni: un uomo che ha definito la libertà, la giustizia, la riconciliazione, il perdono. L’importanza della sua vita e della sua morte ci sembra estremamente chiara”.

Per permettere al pubblico di sporgere lamentele e per raccoglierle in modo ordinato, la Bbc fornisce ai suoi utenti una sezione del sito dedicata, in cui spiega come e dove scrivere i propri reclami e come verranno trattati dall’azienda. Secondo i brevi report rilasciati ogni 30 giorni, l’emittente riceve mensilmente tra le 12 e le 21 mila lamentele. La questione Mandela non è nuova: già nel 1990, quando ancora la modalità di reclamo non era così semplice, più di 500 spettatori del programma Antiques Roadshow inviarono le loro proteste alla Bbc per aver interrotto il programma con la notizia dell’uscita di prigione dell’ex-presidente sudafricano.

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Ducato tv speciale – Quanto è social l’informazione tv in Italia? http://ifg.uniurb.it/2013/12/03/ducatotv/ducato-tv-speciale-quanto-e-social-linformazione-tv-in-italia/52870/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/03/ducatotv/ducato-tv-speciale-quanto-e-social-linformazione-tv-in-italia/52870/#comments Tue, 03 Dec 2013 15:19:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=52870 [continua a leggere]]]>

Social network, tablet, smartphone, internet e tv: a volte anche tutti insieme. Proprio sul multitasking delle nuove generazioni stanno nascendo esperienze di web tv come quella di The stream, il notiziario di Al Jazeera English, che unisce in un ‘unica edizione giornaliera il prodotto di un’immersione quotidiana multipiattaforma, accettando gli imput provenienti dalla rete e dagli spettatori, trasformandoli in una trasmissione televisiva di grande attualità. Ma in Italia, esistono esperienze di questo tipo? Quanto gli spettatori si sentono chiamati in causa dall’informazione, quanto la tv è interattiva nel nostro Paese? Ospite d’onore della puntata è Federico Ferrazza, vice direttore della rivista Wired Italia.

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Legnini: “Equo compenso anche senza editori, è il mio dovere” http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/#comments Wed, 12 Jun 2013 07:01:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50786 Ducato: l'importanza dell'accordo sulle tariffe minime per i freelance ("ma se serve più tempo, va concesso"), l'ipotesi di un accordo con Google e l'importanza dell'Ordine dei giornalisti]]>

Il sottosegretario con delega all’editoria Giovanni Legnini

L’equo compenso va attuato con o senza gli editori. Giovanni Legnini, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all’editoria, sente pesare sulle spalle il dovere dell’attuazione della legge che dovrebbe garantire dei compensi minimi ai freelance. Una legge approvata a gennaio, che prevedeva entro tre mesi i primi risultati, e ad oggi è ancora inattuata.

Legnini vorrebbe tempi brevi e l’accordo di tutte le parti. Un’utopia? Gli abbiamo chiesto come intende muoversi nel mare di questo e degli altri problemi dell’editoria italiana: contributi pubblici alle testate, accordo con Google, crisi della stampa, controllo dell’informazione online e abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Legnini parla della notizia come di una “merce preziosissima” e crede nell’Ordine come la migliore tutela dell’attività giornalistica.

Sottosegretario Legnini, la commissione che dovrebbe definire l’equo compenso per i giornalisti precari non riesce a riunirsi per la mancanza di un delegato unico degli editori. Come pensa di risolvere il problema?
Abbiamo parlato con gli editori per persuaderli a sbloccare questa situazione e abbiamo ricevuto una certa disponibilità. La Commissione è stata riconvocata per giovedì 13 giugno: lì vedremo se questa volontà è concreta. Se dovesse persistere la diserzione, noi andremo avanti ugualmente.

Quindi procederete senza gli editori?
Sono convinto che procederemo con gli editori. Ciò che è certo è che c’è una norma di legge che va attuata. Io sono anche titolare della responsabilità di attuazione del programma di governo: ho il dovere di attuarla. Punto. Se il tema è quello di favorire una più estesa partecipazione degli editori, si possono trovare altre forme, anche di consultazione extra-commissione.

La commissione ha una composizione mista: editori, rappresentanti dell’ordine, sindacati. Quanto tempo ci vorrà per mettere d’accordo tutte le parti?
Fosse per me chiuderei i lavori nel giro di poche settimane. Ma se le parti mi chiedessero più tempo per raggiungere un accordo, io glielo concederei. Ho la ferma intenzione di privilegiare la via negoziale: vorrei che i diversi soggetti si mettessero d’accordo nell’individuare i criteri per l’equo compenso. Se non ci riusciranno, o se non vorranno farlo, o se si creeranno ostacoli, allora individueremo una soluzione che non sia unanime o consensuale.

La norma prevede che le testate che non aderiscono alle tariffe dell’equo compenso perdano i contributi pubblici. Ma il 90% delle testate italiane non li prende. In questo caso, non c’è alcuna sanzione?
Le testate che non accedono ai contributi dovranno applicare la norma comunque. Se non la applicheranno i soggetti eventualmente lesi potranno agire giudizialmente. Il mio timore è che se non si definisce bene la natura giuridica del risultato del lavoro della commissione, possano generarsi dei conflitti: per questo voglio privilegiare il negoziato, così si attenuerebbe il rischio di impugnazione.

I contributi pubblici all’editoria sono un tema molto dibattuto e c’è chi chiede di abolirli del tutto. Ma perché l’industria editoriale deve essere diversa da altri settori e ha bisogno di sostegno? Non può essere autosufficiente?
La ragione giuridica e costituzionale di questo sostegno è favorire il pluralismo. Negli altri settori non si producono idee o notizie, ma beni o servizi: lì la liberalizzazione fa bene al mercato e ai consumatori. Ma qui la merce è preziosissima: è la notizia, l’informazione che orienta l’opinione pubblica. Quindi il trattamento deve essere necessariamente differente.

Lei ha ipotizzato un accordo con Google sul modello francese per sostituire con quei soldi i fondi per il finanziamento pubblico. Ma non c’è il rischio che – invece di aiutare la digitalizzazione dei giornali italiani – così si sovvenzioni la carta stampata, a ‘fondo perduto’ diciamo?
Non è così, non ho mai ipotizzato che con quelle risorse si debba sostituire il finanziamento pubblico e quindi dare soldi alla carta stampata. Quei fondi eventualmente servono per finanziare l’innovazione dell’editoria, non la conservazione. Progetti innovativi, che consentono di accrescere la quota dell’informazione online e di far entrare in questo comparto i giovani, per rendere l’editoria italiana al passo coi tempi, più dinamica, più attrattiva.
Inoltre le eventuali risorse saranno messe a disposizione come corrispettivo del fatto che Google attinge ai prodotti editoriali che oggi si producono: quindi è anche una sorta di compensazione, diciamo così, del diritto d’autore.

Il giornalismo online oggi è meno regolamentato di quello cartaceo, e le leggi sulla stampa creano una disparità di trattamento tra i giornalisti della carta e dell’online. Ci sono delle proposte per disciplinare anche il mondo dell’online e per livellare la normativa rivolta ai giornalisti?
Il fatto che i giornali online crescano è un bene e da parte mia non c’è la volontà – attraverso una migliore regolamentazione – di “controllare” le notizie, come qualcuno ipotizza. Ci mancherebbe altro: io sono un fermissimo assertore del pluralismo, della totale libertà di espressione del pensiero. Detto questo, che ci sia la necessità di un regolamento più preciso sulla nascita e la vita dei giornali online è pacifico. Il fatto che sulla Rete circolino sistematicamente notizie inventate è un problema serio, che impone la rivisitazione della disciplina relativa, anche quella penalistica.

L’Ordine dei giornalisti, come associazione di categoria, riceve molte critiche. Crede che nel prossimo futuro possano esserci proposte per la sua abolizione?
Personalmente credo che gli ordini debbano essere mantenuti per quelle professioni che hanno un rilievo costituzionale; per gli altri settori, no. L’attività giornalistica ha un indiscutibile rilievo costituzionale, e ha bisogno di una regolamentazione e di una tutela. Ogni tanto invochiamo i modelli di altri paesi, ma non è detto che siano migliori dei nostri.

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Il parlamento Ue: “Libertà di stampa e pluralismo, ecco le linee guida” http://ifg.uniurb.it/2013/05/30/ducato-online/il-parlamento-ue-liberta-di-stampa-e-pluralismo-ecco-i-principi-da-seguire/49352/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/30/ducato-online/il-parlamento-ue-liberta-di-stampa-e-pluralismo-ecco-i-principi-da-seguire/49352/#comments Thu, 30 May 2013 21:15:39 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=49352

Il parlamento di Strasburgo

Il Parlamento europeo lo scorso 21 maggio ha approvato una risoluzione che stabilisce le norme per la libertà dei mezzi d’informazione in tutta l’Unione. Un passo importante che impone ai 27 Stati membri regole precise per garantire il diritto d’informare e di essere informati.

Pur non avendo le risoluzioni del Parlamento, si tratta di una presa di posizione importante di principi e linee guida che potrà guidare l’approvazione di regolamenti e direttive nei prossimi anni.

Il testo parte dall’assunto che il pluralismo e il giornalismo indipendente sono i cardini su cui si regge una democrazia: per questo “gli Stati membri devono rispettare, garantire, proteggere e promuovere il diritto fondamentale alla libertà d’espressione e d’informazione”. Un diritto che va tutelato dalle interferenze dei poteri forti e da qualsiasi forma di censura o limitazione. Inoltre, si sottolinea che nessuna decisione politica può limitare l’accesso ai media o condizionarne l’informazione.

La libertà dei media si difende, innanzitutto, vigilando sulla nomina dei dirigenti e dei consigli d’amministrazione del servizio pubblico e privato. “La Commissione europea deve assicurare che gli Stati garantiscano al loro interno la corretta attuazione della Carta dei diritti fondamentali”, che impone l’indipendenza e la neutralità di tutti i media. Un obiettivo ancora lontano. Nella classifica mondiale della liberta di stampa 2013, l’Italia è al 57° posto, la Grecia al 84°, la Francia al 37°, la Spagna al 36°, l’Inghilterra è al 29° e la Germania al 17°.

Altro punto fondamentale è la creazione di un sistema europeo basato sull’equilibrio tra mezzi d’informazione privati e pubblici, tema molto importante in Italia. Quest’ultimi “sono strettamente legati alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società” e per questo vanno protetti e tutelati anche attraverso l’assegnazione di fondi: “Bisogna assicurare ai media del servizio pubblico finanziamenti adeguati”, che gli permettano di essere indipendente dal mondo politico ed economico.

Altro punto che tocca da vicino l’Italia è quello in cui il Parlamento parla di corretta concorrenza tra tutti i mezzi d’informazione, che viene troppo spesso minata da conflitti d’interesse “risultanti dalla sovrapposizione di cariche politiche”. E’ necessario, inoltre, impedire la concentrazione della proprietà e l’abuso di posizione dominante.

La libertà di stampa non riguarda solo i mezzi tradizionali, ma anche “i social media e le altre forme di nuovi media”. Tutti devono poter accedere senza ostacoli all’informazione in Rete che deve essere trasparente e neutrale. Ogni Stato deve favorire in ogni modo l’alfabetizzazione digitale dei suoi cittadini.

Una parte importante della risoluzione è, infine, dedicata ai giornalisti che rischiano la loro vita per svolgere con onestà e passione questo mestiere: “Devono essere protetti da pressioni, intimidazioni, molestie, minacce e violenze”. L’Unione Europea “invita, inoltre, gli Stati membri a depenalizzare il reato di diffamazione”. In Italia, l’articolo 595 del codice penale, prevede per il giornalista che diffama la reclusione per un massimo di tre anni.

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“Meydan”, una web tv della gente contro il regime dell’Azerbaijan http://ifg.uniurb.it/2013/05/06/ducato-online/meydan-la-web-tv-di-emin-milli-contro-il-regime-dellazerbaigian/45725/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/06/ducato-online/meydan-la-web-tv-di-emin-milli-contro-il-regime-dellazerbaigian/45725/#comments Mon, 06 May 2013 17:43:39 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45725

Emin Milli, fondatore di Meydan tv

Meydan” in lingua azera vuol dire piazza. Quella piazza che è stata troppo spesso soffocata dal regime del presidente Ilham Aliyev, ma che non ha mai smesso di respirare con i suoi polmoni digitali.  L’ultimo tassello di questo mosaico è la web tv ideata dal giornalista, blogger e scrittore Emin Milli, un azero di 33 anni imprigionato nel 2009, probabilmente a causa di un video satirico sulla presidenza di Aliyev.

Dopo 16 mesi di carcere, Milli ha costruito il suo progetto dall’Europa, dando vita alla prima emittente che sul web diffonderà critiche e attacchi al regime. Il flusso di contenuti sarà trasmesso da Berlino sul sito Meydan tv, per poi passare su un canale satellitare da metà maggio.

Milli potrà contare su uno staff di uomini e donne collegati dal filo rosso della dissidenza e dalla sete di democrazia, da declinare soprattutto come interazione collettiva e possibilità di espressione offerta a tutti. I loro nomi? Zuzu, Caroline, Jamal Ali, Qurban, Araz, Habib e Fardi.

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Chiunque, come spiegato da Habib nel video di presentazione della Meydan tv, può comunicare dinanzi a una telecamera o decidere di realizzare un servizio su qualsiasi argomento. Il tutto sarà poi valutato dalla “redazione” diretta da Milli sulla base di un solo criterio: un livello qualitativo adatto alla messa in onda. Un principio vago e indefinito, questo, che potrebbe rivelarsi il tallone d’Achille del progetto, ma che per il momento si erge a speranza di libertà per molti azeri.

L’Azerbaijan, secondo l’ultima stima dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, offre una garanzia delle libertà civili nettamente peggiore a quella di dieci anni fa. Si tratta di un paese in cui è vietato manifestare e dove il bavaglio all’opposizione è legittimato dalle istituzioni; per averlo violato in nome della libertà d’espressione, nove giornalisti sono in prigione dal 2012.

Ayan, 14enne azera sostenitrice di Meydan tv

Tra gli azeri emigrati, molti sono fieri di contribuire alla realizzazione della Meydan tv. Una di loro è Ayan, 14 anni, residente a Magonza e con 20 euro da donare al progetto. Perché quello che Milli e la sua squadra hanno voluto precisare è il marchio di autosufficienza della neonata piattaforma.

“Non vogliamo dipendere da nessuno, non vogliamo che qualcuno ci etichetti come servi di una certa propaganda ideologica”, sottolinea Habib nel video di presentazione, che su youtube ha avuto quasi 18.000 visualizzazioni. Milli ricorda che anche “solo uno o cinque euro sono un grande aiuto”, come piccoli finanziamenti di questo centro di protesta in cui ogni azero “possa sentirsi responsabile del proprio destino”, afferma Qurban.

Un sentimento di responsabilità che sicuramente anima la partecipazione di Zuru, azera arrivata a Berlino dalla Norvegia per frequentare uno stage di musica elettronica e che, inaspettatamente, in Germania è tornata ad accarezzare una delle sue debolezze, “un qualcosa di molto intimo”, come quell’Azerbaijan lasciato da bambina.

Dall’Azerbaijan verso la Scandinavia se ne sono andati in molti, e dalle punte più a nord dell’Europa i sostegni alla Meydan tv arrivano già da qualche mese, come le 4800 corone svedesi (575 euro) donate dagli azeri che vivono a Linkoping, oppure la torta preparata da Tamara in occasione della presentazione del progetto nella cittadina svedese di Goteborg .

La Meydan tv è una cassa di risonanza, una voce di protesta che vuole scuotere non solo la realtà azera, ma anche tutta la comunità internazionale. È un progetto di crowdsourcing, come già altri se ne sono visti nel mondo della dissidenza: ad esempio, nel 2010, Natalia Sindeeva fondava in Russia la tv Dozhd, l’unico canale che ha mostrato le piazze ribelli e aperto le dirette delle manifestazioni contro Putin. Natalia ed Emin hanno avuto lo stesso coraggio, ma in tre anni le sorti del giornalismo sono cambiate. Il crowdsourcing era un bozzolo oggi diventato maturo, un bozzolo che oggi affatica e facilita allo stesso tempo la ricerca della verità.

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Concita De Gregorio: “Giornalista deve parlare alla testa e al cuore della gente” http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/concita-de-gregorio-giornalista-deve-parlare-alla-testa-e-al-cuore-della-gente/45503/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/concita-de-gregorio-giornalista-deve-parlare-alla-testa-e-al-cuore-della-gente/45503/#comments Sun, 05 May 2013 09:13:06 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45503 [continua a leggere]]]> URBINO – Si è concluso con l’intervento della giornalista di Repubblica Concita De Gregorio la prima edizione del Festival del giornalismo culturale di Urbino. Nell’intervista rilasciata al Ducato, la scrittrice racconta il ruolo del giornalista, che deve essere competente. E come l’informazione debba esaminare la realtà con occhio critico e restituire al pubblico una storia semplice e comprensibile a tutti, a prescindere dal mezzo.

Per quanto riguarda il web: “E’ uno strumento, non si può fare campagna contro uno strumento, sarebbe come fare una campagna contro un forno. Nessuna censura quindi ma la necessità di un controllo non deve essere un tabù”. Dietro quest’affermazione c’è quello che lei chiama ‘il caso Boldrini nel quale il presidente della Camera è stata soggetto di minacce e insulti violenti tramite i social network.


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Fotografare l’informazione culturale: web, tv e carta stampata a confronto http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/fotografare-linformazione-culturale-web-tv-e-carta-stampata-a-confronto/45278/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/fotografare-linformazione-culturale-web-tv-e-carta-stampata-a-confronto/45278/#comments Sat, 04 May 2013 12:31:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45278 VIDEO]]> URBINO – “Un fotografia dell’informazione culturale italiana”: è il titolo della conferenza mediata da Massimiliano Panarari de La Stampa tenuta al collegio Raffaello subito dopo la lectio di Piero DorflesCinque relatori per affrontare in maniera diversificata il problema dell’informazione e della cultura: Isabella Donfrancesco (Rai Educational), Nicola Lagioia (scrittore), Giuseppe Laterza (Laterza editore), Giuseppe Roma (Direttore del Censis) e Massimo Russo (Ifg Urbino).

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Il giornalismo culturale deve avere anche una funzione sociale? Si può, attraverso la cultura, stimolare la coscienza critica delle persone? Il giornalismo culturale può produrre dibattito? Cinque ‘osservatori’ diversi: dal mondo del web arriva l’incitamento a rendere la cultura ancora più pop; la televsione vuole continuare ad essere un mediatore tra la cultura e i cittadini attraverso l’approfondimento i canali tematici; chi scrive e fa cultura ha bisogno del supporto dell’informazione e di più promozione anche attraverso il dibattito critico; dal punto dei vista dei dati l’analisi si concentra sui cambiamenti epocali che stanno interessando il paese: più del 50% della popolazione si informa oramai su internet ed è quindi in quel luogo virtuale che bisogna promuovere la cultura.

Giuseppe Laterza

“Io do un giudizio positivo del giornalismo culturale italiano: io faccio libri e la loro sorte dipende anche da come i giornali affrontano la cultura. Nei giornali ci sono molte recensioni fatte anche molto bene”. Giuseppe Laterza apre il suo intervento con un pensiero positivo per poi spostare l’attenzione su ciò che manca: “Ciò che manca è la recensione critica, cioè quel momento di confronto in cui chi scrive prende sul serio il libro che ha letto. Spesso nei giornali italiani c’è la stroncatura oppure il silenzio: questo è un problema perché io credo che solo dal confronto, anche acceso, si possa crescere. Nessuno di noi ha la verità in mano: l’avvicinamento alla verità avviene solo attraverso la dialettica. Ecco il punto: il giornalismo culturale deve essere confronto senza demolizione”. In chiusura il pensiero di Laterza sulla “cultura di tutti”: “E’ sbagliata l’idea secondo cui la cultura sia un mezzo di esclusione: la cultura deve essere accessibile a tutti senza perdere capacità critica”.

Giuseppe Roma

“L’Italia è un paese pieno di cultura ma gli italiani non se ne interessano: dovremmo iniziare a chiederci perché”. Giuseppe Roma concentra il suo intervento sul problema dell’assenza di cultura nella “marmellata mediale” in cui viviamo oggi. “Il soggetto è il contenuto stesso che viene trasmesso, basti vedere i social network. Le stesse pagine culturali spesso riportano articoli di interpreti-protagonisti: questo genera molta confusione”. Secondo Roma il problema non è di spazio per la cultura, perché oggi ci sono più inserti di quando esisteva solo la “terza pagina”, né di giornalismo culturale ma di come far diventare la cultura interesse prevalente di tutti: “Per aiutare anche l’economia la cultura deve diventare interesse di tutti. E’ necessario darle appeal facendola scendere dal piedistallo”.

Isabella Donfrancesco

Concentrato sul ruolo della televisione nel processo di interazione cultura-informazione l’intervento di Isabella Donfrancesco: “Noi (Rai Educational) abbiamo creato una serie di canali tematici che sono un luogo di scambio e approfondimento; attraverso la tv si può mediare la cultura e in questo senso il mezzo deve avere solo un approccio di servizio”. Lo scambio di cui parla la Donfrancesco è soprattutto di tipo culturale rispetto alle diversità: “Abbiamo un portale dedicato alla lingua italiana per gli stranieri. Chi vuole fare cultura attraverso i servizi deve necessariamente parlare a chi è diverso: c’è bisogno di interattività”. Vantaggio della televisione specializzata il fatto di poter mostrare cose che normalmente non sarebbero di interesse comune: “Si possono vedere in faccia gli scrittori, cosa che prima non era possibile. Ci possono scrutare i loro volti con i loro tic e i loro vizi. In questo senso la tv si deve porre come mediatore ma in un garbato secondo piano”.

Massimo Russo

“Spiazzerò la platea iniziando il mio intervento con una provocazione: la rete è stupida”. Massimo Russo, che sta per diventare direttore di Wired ed è un esperto giornalista informatico, parla di rete, informazione e cultura. “La cultura è diventata ormai di massa e secondo me dovrebbe essere ancora più pop. Attraverso il passaggio al digitale il processo di apertura si è completato. Ciò che è cambiato è il verso della reazione: se prima la cultura era un sistema che dall’alto si spostava verso il basso ora con il web la cultura si sposta da nodi periferici verso altri nodi. Non c’è nessuno che regolamenta”. E sul recente ‘intervento di Laura Boldrini, presidente della Camera sulla regolamentazione dell’ “anarchia del web”, Russo fa questa riflessione: “Se restiamo legati alla vecchia idea di cultura che dall’alto viene regolata e pensiamo di trasferirla alla rete ci trasformiamo in un regime autoritario. Solo in paesi come la Cina, la Corea del Nord questo può avvenire. La ricchezza della rete sta proprio nel fatto che non sindaca sui contenuti”. E conclude: “Nella rete devono valere le stesse regole che ci sono nella vita reale, non ne servono altre. La verità è che tutto ciò che di brutto si vede sul web non è più confinato e può uscire alla luce del sole. Ma per rispondere ai problemi profondi è necessario che ci sia un cambiamento umanosenza mortificare la realtà”.

Nicola Lagioia

Il punto di vista di Nicola Lagioia chiude il dibattito: “Nelle redazioni dei quotidiani vigono delle regole stupide: è incredibile pensare ancora che per scrivere di cultura bisogna ‘stare sul pezzo’”. Per interesse dei quotidiani prima dell’uscita di un romanzo l’autore viene intervistato o recensito ma questo comporta una perdita di riflessione a discapito della qualità. “Altra cosa che non capisco- continua Lagioia- è la gara a chi arriva prima sulla recensione: l’agenda dei capiredattori è più importante dei contenuti”. Nell’ultima riflessione cita Pasolini: “Molti si lamentano del fatto che oggi manca una figura come quella di Pasolini. La realtà è che non manca Pasolini ma manca lo spazio su cui scrivere ciò che scriveva Pasolini. Nessun quotidiano oggi permette di esprimere opinioni diverse dalla linea del quotidiano stesso”.

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