il Ducato » leo sisti http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » leo sisti http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Irpi lancia la sfida: inchieste italiane con spirito transnazionale http://ifg.uniurb.it/2013/05/13/ducato-online/irpi-lancia-la-sfida-inchieste-italiane-con-spirito-transnazionale/46308/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/13/ducato-online/irpi-lancia-la-sfida-inchieste-italiane-con-spirito-transnazionale/46308/#comments Mon, 13 May 2013 18:55:28 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46308 LEGGI "La controinformazione è diventata inutile"]]>

Il sito di Irpi

Si chiama Irpi, è l’acronimo di Investigative reporting project Italy ed è la prima associazione di giornalismo d’inchiesta nel nostro Paese. È stata creata concretamente quattro mesi fa, anche se l’idea embrionale nacque a Kiev, nell’ottobre 2011, nel corso della settima edizione della Global Investigative Journalism Conference (Gijc). E non è un caso, visto che il suo tratto distintivo è proprio la doppia natura nazionale e internazionale.

Otto fondatori, sette reporter e alcune delle firme più importanti del giornalismo d’inchiesta tra soci onorari e advisor, come Milena Gabanelli e Charles Lewis (fondatore del Center for pubblic integrity e considerato tra i 30 giornalisti investigativi più importanti negli Stati Uniti dai tempi della prima guerra mondiale). Inchieste, notizie ma anche servizio di fixing, che va dall’assistenza logistica a quella linguistica, per giornalisti stranieri e agenzie di stampa internazionali.

Leo Sisti

“L’idea è stata di Guia Baggi, è stata lei la molla. Al ritorno in Italia ha contattato tutti i giornalisti italiani presenti a Kiev e a gennaio è nata Irpi”. A parlare è Leo Sisti, direttore esecutivo dell’associazione, giornalista dell’Espresso, del Fatto Quotidiano e collaboratore di Repubblica. “Abbiamo scelto la formula non-profit perché tutto ruota intorno ai finanziamenti, organizzazioni di questo tipo – spiega Sisti – vengono finanziate da fondazioni che spesso per statuto scelgono di sostenere inchieste giornalistiche che non provengano da società capitalizzate”.

E quando parla di fondazioni Sisti si riferisce soprattutto a realtà internazionali che hanno un ruolo fondamentale nel giornalismo d’inchiesta, come il network americano The International consortium of investigative journalist (Icij) e la Gijn. Organizzazioni di cui Sisti fa parte ormai da molti anni e con cui ha realizzato inchieste del calibro di Offshoreleaks. “Quando nel 2000 mi chiesero di entrare nell’Icij accettai volentieri perché mi interessava molto l’esperimento, un sistema rivoluzionario basato su una rete, oggi, di 160 giornalisti di tutto il mondo e di testate differenti”.

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Una nuova frontiera del giornalismo in cui la chiave è la collaborazione tra colleghi di varie nazionalità. La lingua d’uso è ovviamente l’inglese, così quando l’inchiesta è pronta viene immessa nel circuito internazionale attraverso il web a disposizione di tutte le testate mondiali che possono prenderla senza pagare. Una realtà impensabile prima d’ora in Italia: da qui l’esigenza di creare un centro specifico per il giornalismo investigativo. “In Italia non dico che l’inchiesta sia morta, ma ci manca poco, perché richiede molto tempo, denaro e risorse; le testate oggi hanno sempre meno giornalisti attivi a disposizione che non possono essere distaccati dalle redazioni per tempi troppo lunghi. Quello che cerchiamo di fare con Irpi è importare il modello internazionale di fare inchiesta”.

Ma qual è il modello da seguire? Leo Sisti e la sua squadra di reporter hanno scelto il metodo anglosassone, quello dell’inchiesta approfondita che impone tempi lunghi, tanta documentazione, ricerca attenta delle fonti e, soprattutto, citazione di tutte le posizioni. “Oggi un grande aiuto viene da Internet, Google è una grande fonte, ma non basta. Molto più importante è il data journalism, cioè la possibilità di accedere a banche dati e ricavarne notizie”.

Ma per farlo bisogna imparare non solo a cercare ma anche ad usare i dati e l’Italia solo adesso comincia a muovere i primi passi in questo senso. “Ho iniziato a seguire conferenze internazionali sul data journalism già dieci anni fa – racconta Sisti – e proprio in una di queste, a Boston, il caporedattore del Seattle Times mi disse che le ultime assunzioni loro le avevano fatte in questo settore; c’è bisogno di gente che sappia ‘smanettare’, che sappia fare ricerche su internet a livello approfondito”.

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Questo non esclude il contatto umano che, secondo il giornalista dell’Espresso, resta sempre la fonte primaria, specialmente nella cronaca giudiziaria dove la ricetta è sempre la stessa: frequentare i tribunali, parlare con gli avvocati, con i magistrati e con le forze dell’ordine. “Il mix di ricerca sui siti web, data journalism e ‘fonti umane’ crea un circuito di notizie che poi sfocia in un’inchiesta”.

L’inchiesta di Irpi pubblicata dal Guardian

Il problema però poi è piazzare, vendere il lavoro e immetterlo nel circuito mediatico. “L’Irpi è nato da meno di quattro mesi, un’inchiesta è stata venduta al Guardian e un’altra spero verrà pubblicata sull’Espresso”. Ma quello che conta di più per Leo Sisti è spiegare come si riesca a realizzare un’inchiesta: “Come Irpi abbiamo fatto richiesta di alcune sovvenzioni allo European journalism fund, ne abbiamo ottenute due e siamo stati gli unici italiani a vincere su circa 40 domande presentate. Ci hanno finanziato per 5000 euro che abbiamo utilizzato per le ricerche e le spese dei viaggi. Il ricavato della vendita dell’inchiesta, invece, andrà ai giornalisti che ci hanno lavorato, anche perché dei nostri reporter solo tre hanno un contratto stabile con delle redazioni, gli altri sono freelance e non hanno introiti mensili”.

Nonostante l’associazione sia appena nata, il riscontro da parte dei colleghi è stato positivo. L’inchiesta-lancio di Irpi sulle frodi nell’agricoltura, intitolata “Concentrato di pomodoro cinese ‘Made in Italy’ venduto in Inghilterra”, è stata pubblicata lo scorso febbraio dal Guardian proprio per la sua caratteristica trasnazionale. Non solo perché scritta in inglese, ma soprattutto perché incentrata su una partita di 200mila barattoli di concentrato di pomodoro immessi nella grande distribuzione inglese e spacciati per prodotti italiani. Un’inchiesta che nel nostro paese ha portato alla condanna in primo grado del titolare di un’azienda per il reato di utilizzo fraudolento del marchio di produzione italiano.

In chiusura non poteva mancare una considerazione amara sullo stato del giornalismo d’inchiesta nel nostro paese. “Il fatto che nella televisione italiana, che resta comunque lo strumento mediatico più forte, – afferma Sisti – ci sia un solo programma che fa veramente inchiesta, ed è Report della Gabanelli, la dice lunga sullo scarso interesse da parte dei media televisivi su questo tipo di giornalismo”.

Il problema, secondo il giornalista dell’Espresso, è principalmente di tipo politico, il timore di trattare temi scottanti deriva da una non totale libertà di espressione, che relega il nostro paese agli ultimi posti della graduatoria dell’informazione d’inchiesta.

Ma quindi quale futuro si prospetta per i futuri giornalisti? “Io vengo da una scuola, come quella dell’Espresso, dove la cura del dettaglio e della notizia è fondamentale. E la notizia costa fatica, gambe, cervello e disponibilità illimitata di tempo. Ai giovani giornalisti posso solo dire di essere umili, curiosi, determinati, di non guardare in faccia nessuno e non avere timori reverenziali nei confronti di nessuno”.

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Offshoreleaks, Sisti: “Così abbiamo fatto un’inchiesta a 172 mani” http://ifg.uniurb.it/2013/04/05/ducato-online/offshoreleaks-leo-sisti-cosi-abbiamo-fatto-uninchiesta-a-172-mani/41425/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/05/ducato-online/offshoreleaks-leo-sisti-cosi-abbiamo-fatto-uninchiesta-a-172-mani/41425/#comments Fri, 05 Apr 2013 20:06:31 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=41425 Un’inchiesta a 172 mani, giornalisti di 38 nazioni da agosto 2012 impegnati a setacciare notizie in un database 160 volte più grande del più noto Wikileaks di Julian Assange. E’ quel c’è sotto il cofano di “Offshore Leaks”, pubblicata anche in Italia oggi su L’Espresso a firma del cronista Leo Sisti, unico italiano coinvolto dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), il consorzio di giornalisti di inchiesta con sede a Washington Dc.

Per la prima volta un’indagine giornalistica ha la possibilità di conoscere da vicino i traffici dei più famosi paradisi fiscali con circa 130.000 nomi tra imprenditori, politici e altri personaggi pubblici contenuti nei documenti: “E’ bene sapere  – dice al Ducato Leo Sisti – che detenere una società offshore o un trust non è di per sé un reato. Mai nessuno, però, dichiara i redditi provenienti dal loro uso e il fatto che si rivolgano ai paradisi fiscali per eccellenza evidenzia un fumus in ragione fiscale: la ferma volontà di essere chiari ci mette al riparo da eventuali querele”.

Il giornalista Leo Sisti

Le persone coinvolte nel pezzo pubblicato sono state interpellate da Sisti: “In alcuni casi hanno ammesso l’esistenza dei conti, altri come un’hacker della security di Telecom hanno smentito. Certo ognuno ha diritto di dire quel che vuole, ma le carte parlano chiaramente di un’offshore costituito a suo nome”.

In altri casi le scoperte hanno lasciato incredulo lo stesso cronista, come quando sono spuntati i nomi di alcune fondazioni caritatevoli come l’Unione Italiana Ciechi, la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids e il Centro del Bambino Maltrattato, beneficiarie di due trust: “Stentavo a crederci – ammette Sisti – gli stessi enti non sapevano nulla, né tanto meno hanno mai ricevuto denaro da paradisi fiscali: il loro nome è usato per sviare l’attenzione di eventuali indagini della magistratura. Un caso simile me l’ha raccontato un collega australiano che ha scoperto lo stesso fenomeno con il coinvolgimento della Croce Rossa, ignara di tutto”.

Un lavoro come l’offshoreleaks sarebbe impensabile senza la collaborazione reciproca degli 86 giornalisti impegnati in tutto il mondo: “Ci siamo scambiati spesso notizie  – racconta Sisti –  usando molto Skype e tantissimo le email. La collaborazione è a 360°, ognuno di noi ha analizzato il materiale relativo alla propria nazionalità e poteva incontrare informazioni su soggetti stranieri che interessavano colleghi per esempio francesi o tedeschi, e viceversa loro potevano essermi utili per conoscere meglio questioni legate alle loro realtà”.

Il giornalismo investigativo nel mondo vive e lotta insieme a noi, direbbe un vecchio slogan. E l’Icij di Washington, animato da oltre cento giornalisti, è ‘solo’ una parte della ben più ampia “Investigative Reporters and Editors”, l’organizzazione promossa dall’Università del Missouri che riunisce 4.000 cronisti di tutto il mondo. Ogni anno l’Ire organizza una grande conferenza (la prossima dal 20 al 23 giugno a San Antonio, Texas) con oltre 100 panel tenuti da professionisti del giornalismo investigativo mondiale: “Un’occasione preziosa – aggiunge Sisti – per chi vuole conoscere e approfondire nuove tecniche e incontrare tanti colleghi con i quali ho condiviso inchieste e premi vinti”.

Negli Stati Uniti come in Italia fare un’inchiesta costa tempo e denaro: “In Italia la situazione è pessima – critica Leo Sisti – perché è più frequente che le inchieste si facciano in pochi giorni, buttate nei giornali a riempire le pagine. E capisco i giovani colleghi che lavorano in questo modo pagati pochi euro a pezzo nei settimanali e nei quotidiani che difficilmente sono disposti a pagare adeguatamente qualcuno per un lavoro che può durare mesi, con i relativi costi. Per questo lavoro con molto più piacere con i colleghi americani, avanzo con loro proposte e realizzo i miei lavori grazie a fondazioni come la Nieman Foundation, impegnata a finanziare inchieste giornalistiche anche per prestigio, oltre che per godere delle detrazioni fiscali”.

L’inchiesta Offshoreleaks ha trovato spazio nell’Espresso  ed è stato citato da tutti i quotidiani italiani: “Non è un caso se questo accade – incalza Sisti – io personalmente lavoro dallo scorso gennaio ai documenti italiani e il giusto tempo che ho potuto dedicare all’argomento mi ha permesso di presentare risultati inoppugnabili. In Italia diamo fin troppo spazio alla politica con una dilatazione eccessiva rispetto al modello a cui mi voglio ispirare”.

Mentre proprio oggi un gruppo di giornalisti inseguiva il pullman dei parlamentari grillini che si sarebbero riuniti in una “località segreta”, Leo Sisti non ha avuto dubbi sulla sua idea  di non-giornalismo: “Ho ancora impressa l’immagine di uno che ha inseguito in vespa Beppe Grillo arrivato a Roma per incontrare il presidente Napolitano, lo ha rincorso bruciando semafori rossi per poi raggiungerlo e dirgli ‘a Beppe dacce na notizia!’, ma questa è follia!”.

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