il Ducato » repubblica.it http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » repubblica.it http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Gif, video ‘muti’ e poco testo: così i giornali conquistano gli adolescenti http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/gif-video-muti-e-poco-testo-cosi-i-giornali-conquistano-gli-adolescenti/71071/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/gif-video-muti-e-poco-testo-cosi-i-giornali-conquistano-gli-adolescenti/71071/#comments Sat, 18 Apr 2015 18:32:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71071 PERUGIA – Per conquistare i millennial non basta andarli a cercare su social network e app di messaggistica. Alcuni grandi gruppi editoriali – Channel 4 nel Regno Unito e la Repubblica in Italia – stanno sviluppando piattaforme dedicate ai lettori più giovani nati intorno all’anno 2000. La televisione britannica ha creato 4newswallla homepage, pensata per essere fruita da mobile, è totalmente priva di testo: composta da Gif animate nelle quali le parole del titolo si succedono una dopo l’altra. Cliccando sulla Gif si accede a una breve notizia, che spiega il fatto in poco più di dieci righe. I temi coperti sono i più disparati: esteri, politica, alimentazione, curiosità.

Chris Hamiltonil direttore social media della Bbc News , tra gli speaker al Festival internazionale del giornalismo di Perugia per il dibattito “Mobile e Millennial: Chat Apps, Emoji, nuovi format video”, ha parlato anche di Instafax: l’esperimento short video della Bbc. L’idea è quella di produrre video-notizie che possono essere fruite anche in momenti e luoghi ufficialmente “vietati” come le lezioni scolastiche. Cioè senza audio. “È stata una buona idea perché non sempre gli utenti possono ascoltare l’audio – ha commentato – quindi è il testo a illustrare il contesto delle immagini. Non ero convinto della riuscita di questo progetto, al contrario ha riscosso un grande successo”. Attualmente la BBC News produce in media 20 video di questo genere ogni giorno.

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Uno dei post di 3nz.it

A raccontare l’esperimento italiano c’era Alessio Balbi, coordinatore dell’are social del gruppo Espresso. “Nel 2013 un articolo sull’incidente mortale di Paul Walker – l’attore protagonista del film Fast and Furious ndr – condiviso sui social ha generato, da solo, più traffico rispetto a tutta la home page del sito Repubblica.it, abbiamo capito che avremmo dovuto sperimentare nuovi linguaggi. Così abbiamo pensato un nuovo sito web, destinato al mondo virale, trasmesso principalmente tramite Facebook”.

3ndz è nato così: il sito che contiene notizie ed elementi virali. Il 90% dei contenuti è video, il resto è composto da quiz, notizie di costume e classifiche. La piattaforma è nata il primo ottobre del 2014 e su Facebook è seguito da 80mila utenti. Repubblica.it è anche l’unico sito di informazione in Italia, ad ora, a inviare le notizie via Whatsapp. I lettori possono iscriversi scegliendo quali tipi di notizie vogliono ricevere, ma si deve memorizzare il numero della redazione altrimenti la notizia finisce nello spam.

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Il disegno di Chérif Kouachi pubblicato su L’Obs

Il settimanale francese L’Obs ha puntato invece sulle curiosità, così sia la redazione web che cartacea collaborano per trovare storie esclusive. “Su Facebook abbiamo 2,4 milioni di followers, ha Aurelien Viers, direttore digital news – il segreto per avere successo sta in un buon titolo e in una buona preview”. I social network sono importanti, ma non sono tutto. Ciò che più conta è l’integrazione tra cartaceo, sito, social e mobile. Una delle storie più condivise è quella di Chérif Kouachi che tre giorni prima di compiere l’attentato a Charlie Hebdo con suo fratello, ha fatto un viaggio in BlaBlaCar da Remis a Parigi. Le Plusla sezione video del giornale, al momento formata da otto redattori, già conta due milioni di visitatori al giorno.

Nonostante le diverse scelte editoriali e gli esperimenti digitali, tutti i giornalisti presenti al panel hanno infine sostenuto la stessa tesi: “La tecnologia non fa il contenuto editoriale. Se hai una buona storia, hai il 90% del lavoro”.

Sullo stesso argomento:

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Dalla pagina ingiallita al web: i social rilanciano gli archivi http://ifg.uniurb.it/2013/03/21/ducato-online/dalla-pagina-ingiallita-al-web-i-giornali-rilanciano-gli-archivi-sui-social/39553/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/21/ducato-online/dalla-pagina-ingiallita-al-web-i-giornali-rilanciano-gli-archivi-sui-social/39553/#comments Thu, 21 Mar 2013 02:42:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39553 Nei corridoi delle redazioni si dice che con il giornale di oggi potrebbe essere incartato il pesce di domani; ma nel mondo dei bit tutto cambia e le regole del gioco possono essere stravolte facilmente. Grazie al restyling del web, i giornali del passato potrebbero non essere più inutili reperti storici ma piuttosto trovare nelle mille vie della Rete una nuova identità.

È finita, insomma, l’era in cui gli archivi si presentavano come luoghi bui, polverosi e difficilmente accessibili: sul web l’archivio può diventare un link, una galleria o una timeline.

Pionieri dell’iniziativa sono stati alcuni giornalisti americani che ormai da qualche anno si impegnano a valorizzare sulla rete l’enorme mole di materiale sepolto negli archivi di quotidiani e riviste. Così navigando su internet può accadere di trovarsi a sfogliare la pagina del Pittsburgh Post-Gazette del 1969  in cui si annuncia l’approdo dell’uomo sulla luna o di seguire su Twitter l’account del sindaco newyorkese Fiorello La Guardia, morto nel  1947 ma che continua a twittare contenuti audio dei suoi interventi radiofonici durante la seconda guerra mondiale.

Nel web non esistono confini e le notizie di ieri e di oggi, impigliandosi nelle infinite ramificazioni della rete, possono facilmente interagire tra di loro. Dal 2008 alcuni giornali, per renderli facilmente accessibili ai propri lettori, hanno avviato un’operazione di digitalizzazione e trasferimento sul web dei propri archivi storici. Ma dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra giunge l’eco di nuove iniziative.

Inutile dirlo: per restituire il soffio vitale alle pagine ingiallite dei vecchi quotidiani il passaggio per i social è quasi obbligatorio.

TWITTER
L’Economist è uno dei pochi giornali che utilizza Twitter per lanciare degli spunti di approfondimento ai propri lettori twittando link che rimandano al proprio archivio digitale.

Sulla stessa scia si è mossa anche l’emittente pubblica newyorkese più ascoltata negli Stati Uniti, la Wnyc, che ha creato un account Twitter di Fiorello La Guardia, sindaco di New York durante la seconda guerra mondiale. Numero di follower? 499. Il sindaco “defunto” cinguetta quotidianamente alcuni contributi radiofonici dei suoi discorsi pubblici.

FACEBOOK
La Repubblica, in occasione del festival La Repubblica delle idee, organizzato a Bologna l’anno scorso, ha allestito una mostra con le prime pagine in assoluto di quotidiano, inserti ed edizioni locali ma anche di alcuni degli eventi più importanti dell’ultimo trentennio. Una galleria fotografica che vive anche sull’account Facebook del quotidiano.

Non mancano poi le operazioni fatte da Google News che, oltre a mettere in rete gli archivi di numerosi giornali, ha reso possibile la visualizzazione delle pagine dei quotidiani, sfogliabili come se fossero di carta. “Archivio” chiaramente non significa soltanto articoli di giornale: foto e immagini vanno a nozze con le ultime tendenze invalse nei social network dove aumentano le condivisioni di scatti fotografici da parte degli utenti.

TUMBLR, INSTAGRAM, PINTEREST
Per i fanatici del vintage Vanity Fair ha creato #Vfvintage , una raccolta di foto degli anni ’50,’ 60’ e ’70 condivise sugli account Tumblr  e Instagram della rivista.

Il New York Times ha portato sui social anche il suo obitorio fotografico: foto e immagini raccolte nei lunghi anni di attività adesso, grazie all’account Tumblr , sono a portata di click.

A proposito del New York Times. Due scienziati del Microsoft and the Technion-Israel Institute of Technology stanno creando un software che analizzi i 22 anni di archivi del giornale, quelli di Wikipedia e altre 90 risorse web per predire epidemie, tumulti e morti. I ricercatori sono convinti che l’attenta analisi del materiale conservato dal New York Times potrebbe far luce su alcune dinamiche sottese a fenomeni e malattie diffusi nelle periferie del mondo.
Per valorizzare la propria memoria storica c’è chi, come il Wall Street Journal, ha creato su Pinterest un itinerario di prime pagine del quotidiano con gli eventi più importanti del secolo, dal primo numero del giornale nel 1889 all’elezione di Obama nel novembre 2008, passando per l’attacco a Pearl Harbor nel 1941.

La Stampa.it ha utilizzato materiale fotografico dall’archivio del giornale per ripercorrere, attraverso una fotogalleria, le fasi di realizzazione della sede storica del quotidiano.

E-BOOK
Tra le proposte più originali per dare voce a quegli articoli sepolti dalla polvere del tempo, alcuni quotidiani hanno tentato la strada della raccolta antologica. Se l’archivio è il luogo in cui la cronaca quotidiana muta in memoria storica, allora perché non raccontare i grandi eventi della storia recente attraverso la narrazione dei cronisti vissuti in quegli anni? L’Atlantic nel 2011 ha pubblicato l’e-book The Civil War, una raccolta di articoli scritti dai testimoni diretti della guerra (tra cui Mark Twain, Nathaniel Howthorne e Henry James) a cui fanno da cornice articoli di giornalisti contemporanei.

Il  New Yorker, invece, ha curato e pubblicato After 9/11, una miscellanea di analisi, riflessioni e proposte sul post 11 Settembre.

Le caratteristiche strutturali della rete offrono ai giornali numerose possibilità per soffiare via la polvere dagli archivi. La cronaca del passato è uno strumento indispensabile per comprendere il presente e gli archivi, oltre a offrire un contributo fondamentale alla memoria collettiva, possono aiutare i giornalisti ad affondare meglio i bisturi nel mondo che raccontano.

L’archivio interattivo e “a portata di link” per il giornalismo italiano è quasi fantascienza ma se la digitalizzazione degli archivi dei quotidiani italiani può essere paragonata ad un primo passo sulla luna, allora sarà meglio non disperare: nel mondo del web non esiste utopia che non possa trasformarsi in realtà.

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http://ifg.uniurb.it/2013/03/21/ducato-online/dalla-pagina-ingiallita-al-web-i-giornali-rilanciano-gli-archivi-sui-social/39553/feed/ 0
Wikipedia, Facebook e Twitter: le (cattive?) abitudini dei giornalisti http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/wikipedia-facebook-e-twitter-le-cattive-abitudini-dei-giornalisti/39046/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/wikipedia-facebook-e-twitter-le-cattive-abitudini-dei-giornalisti/39046/#comments Tue, 19 Mar 2013 04:12:14 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39046 Raccolta di notizie e verifica delle fonti: ecco i compiti principali di un giornalista. Guai a parlare di Wikipedia, guai a pensare che i più grandi giornalisti del mondo possano trovare le proprie notizie sui social network.

E se, invece, fossero proprio queste le loro piattaforme preferite? A far scattare il dubbio ci ha pensato “10 yetis”. Non dieci uomini delle nevi ma dieci pr (e un basset hound di nome Hugo) che dal 2005 si divertono a fare ricerche su fenomeni mediatici e sociali.

L’ultimo lavoro di questa giovane agenzia inglese di Public Relations è Likes, Loves and Loathes of Journalists based in UK, France, Germany and America (tradotto liberamente:  Quello che piace e quello che non piace ai giornalisti inglesi, francesi, tedeschi e americani), una ricerca che analizza le abitudini dei giornalisti provenienti dai quattro angoli del mondo. Oltre 2600 professionisti, attivi sulle maggiori testate internazionali, hanno risposto ad un questionario di 11 domande su temi ‘scomodi’ dell’etica giornalistica, come l’uso di Wikipedia, Twitter e Facebook per cercare notizie.

La prima parola “scomoda” è proprio Wikipedia. Dalla ricerca emerge che il 91% dei media nazionali tedeschi e l’82% di quelli inglesi usano sistematicamente Wikipedia per informarsi su un argomento di cui si stanno occupando. “Ogni giornalista che ha ammesso di usare la piattaforma partecipativa ha tuttavia precisato di verificare la correttezza di ogni informazione riportata e di usarla solo per ‘farsi un’idea’ sull’argomento in questione”, si legge nella ricerca.

Altre parole ‘scomode’ sono Twitter e Facebook. Il 70% dei media inglesi giudica Twitter un valido alleato nel lavoro quotidiano di ricerca di informazioni. Un dato significativo soprattutto se confrontato con quanto emerso per i media tedeschi: l’80% dei primi non si fiderebbe delle notizie scovate sul social network. I giornalisti statunitensi, invece, sarebbero indifferenti al suo utilizzo come fonte di informazione. Cosa nella realtà abbastanza strana, perché è proprio dagli Stati Uniti che è iniziato l’uso ‘forte’ di Twitter da parte dei politici e i giornalisti Usa sono stati i primi a rendersi conto che il social network era diventato una fonte primaria e diretta di news.

Non sono neutrali, invece, i media italiani: Giuseppe Smorto, direttore di Repubblica.it, intervistato per dare uno sguardo ai media italiani, testimonia come spesso Twitter possa servire per arrivare primi sulle notizie. “Twitter è molto utile – afferma Smorto – perché ti collega al personaggio che segui. Quando si sono sciolti i Rem, un collega che seguiva il gruppo musicale su Twitter colse la cosa al volo e diede subito la notizia che fu pubblicata in tempo reale, prima di tutti gli altri”.

Per quanto riguarda Facebook, invece, il 15% dei giornalisti francesi, tedeschi e americani intervistati ammette di usare il social network soprattutto per cercare informazioni su determinate aziende. Anche se l’organizzazione piuttosto caotica e cronologica delle pagine Facebook non è esattamente l’ideale per chi deve cercarvi notizie. “Roba da far venire il mal di testa a questi giornalisti” commentano ironici i pr autori della ricerca.

La ricerca delle notizie sui social media potrebbe, dunque, rivelarsi confusa. Tutto il contrario del caro vecchio comunicato stampa che, secondo la ricerca, è ancora lo strumento più usato dai giornalisti. Ancora Smorto, a proposito delle fonti dei media italiani, spiega: “In testa, per quanto riguarda i siti online, restano  le agenzie di stampa. Ma anche sul web, come sulla carta, rimangono fondamentali i contatti diretti che i giornalisti hanno con le fonti: strutture, organismi, istituzioni, pubbliche amministrazioni, aziende ecc… Il comunicato stampa (quasi sempre, ormai, sotto forma di e-mail) è ancora utilizzato dalle redazioni italiane ma stanno acquistando importanza le piattaforme social. Oggi, in particolare con lo sviluppo di movimenti politici molto presenti sul web, i social network devono essere costantemente monitorati”.

Nonostante i social media non si piazzino ancora in posizioni molto alte come fonti di informazione, condividere i contenuti degli articoli e ricevere like e commenti sarebbe, secondo la ricerca, una delle più grandi preoccupazioni dei giornalisti al lavoro. Ormai, quasi tutti i giornali online sono dotati di meccanismi che permettono di valutare in tempo reale quanti “mi piace” o “consiglia” o “condividi” ha ricevuto un articolo. Non c’è giornalista che non segua ansiosamente l’andamento dei suoi pezzi da questo punto di vista. E questo, a volte, viene anche prima dell’ansia della “deadline”, e dell’eccessivo carico di lavoro (nel Regno Unito ogni giornalista deve scrivere al giorno più di 7 articoli contro i 3 dei giornalisti americani) e delle pressioni da parte della pubblicità, che bombarda le redazioni.

Lo stress maggiore, comunque, verrebbe proprio dalla necessità di viralizzare la notizia, cioè di farla circolare sempre di più tra i social network. “Nel nostro gruppo di lavoro – conclude Smorto – abbiamo la figura del social media editor, un deskista incaricato di rilanciare continuamente i nostri contenuti su Facebook e Twitter, ma anche sui motori di ricerca. Io credo che questa figura debba essere ben integrata nella redazione, lavorare accanto agli altri e tenerli aggiornati sulla sua attività di ‘viralizzatore’. E’ un compito molto importante. Il nostro obiettivo, in ogni tempo, è raggiungere il maggior numero di lettori.”

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http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/wikipedia-facebook-e-twitter-le-cattive-abitudini-dei-giornalisti/39046/feed/ 0
Commenti online, la Cassazione: “Direttori non responsabili” http://ifg.uniurb.it/2011/12/13/ducato-online/commenti-online-la-cassazioni-i-direttori-non-sono-responsabili/14313/ http://ifg.uniurb.it/2011/12/13/ducato-online/commenti-online-la-cassazioni-i-direttori-non-sono-responsabili/14313/#comments Tue, 13 Dec 2011 19:24:55 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=14313 La Cassazione ha stabilito che il direttore di una testata on line non è responsabile per i commenti dei lettori. Con la sentenza 44126 depositata il 29 novembre, i giudici supremi hanno annullato la condanna della Corte d’Appello di Bologna all’ex direttrice dell’Espresso, Daniela Hamaui, per la violazione dell’articolo 57 del codice penale, che sanziona “il direttore o il vice-direttore responsabile per l’omesso controllo” sul contenuto del periodico, un’azione necessaria per impedire che siano commessi reati mediante la pubblicazione, su tutti quello della diffamazione a mezzo stampa.

La Cassazione ha considerato “l’impossibilità per il direttore di testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori”. Un controllo di questo tipo “costringerebbe il direttore a una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita”. E conclude: “Il periodico on line non può essere considerato ‘stampa’ ai sensi dell’art. 57 codice penale” e così “la condotta di non aver impedito la commissione del reato di diffamazione non è prevista dalla legge come reato”.

Restano aperte diverse questioni sulle conseguenze di questa sentenza: ovvero se una maggiore responsabilità individuale di chi ‘posta’ commenti on line ha effein in termini di quantità e qualità dei commenti stessi e se il comportamento di un certo lettore-commentatore, il più polemico, possa cambiare da troll (un utente che posta commenti diffamatori o fuori temi)  a opinionista equilibrato.

Corriere.it e Repubblica.it, le due principali testate on line italiane, prevedono la “registrazione utente” per poter commentare un articolo. Dati personali (nome, cognome, data di nascita, e-mail) e domicilio (Cap o Provincia) sono dati obbligatori per registrarsi e accedere, un filtro che può inibire contenuti diffamanti, e pemettere di identificare e bloccare chi viola i termini e condizioni di utilizzo del giornale on line.

Stampa.it ha fatto una scelta differente: “La registrazione viene fatta con nome utente (anche anonimo o nickname) password e indirizzo e-mail – dice Dario Corradino, caporedattore centrale –  si può commentare su forum, blog e rubriche, non gli articoli del quotidiano on-line, per evitare degenerazioni. Ci sono community sportive come ‘Qui Toro’ e ‘Qui Juve’, ad esempio, che sono state moderate per impedire l’accesso tra iscritti delle due comunità. Spesso, quando si manifesta qualche ‘troll’ viene smascherato dagli stessi utenti. Comunque, c’è sempre il nostro team, 365 giorni all’anno, fino alle 23 o anche a mezzanotte, che legge e nel caso blocca gli autori di questi contenuti”. Alcuni temi però sohno risultati troppo sensibili: “Abbiamo provato ad aprire e riaprire un forum sul Medio Oriente – continua Corradino – che è stato chiuso più volte. Non è stato possibile”.

Il rapporto tra commenti dei lettori e giornalismo on line è tema aperto, indefinito, sperando che non si trasformi in un supplizio di Tantalo. Il Post.it, il blog di informazione diretto da Luca Sofri, ha analizzato il tema del commento dei lettori, anche in chiave simpatica e autoironica nell’articolo “I 10 più stupidi commenti on line”, con una sorta di “bestiario” dove si legge: “In un anno e mezzo, abbiamo accumulato una serie di tipologie di commento che ricompaiono e definiscono quelli che, con linguaggio adeguato, possiamo definire i 10 più stupidi commenti online. Detto con affetto per i soggetti, e riconoscenza per gli altri.”

Un’indicazione di come trattare questo tema delicato, viene dall’edizione on line del New York Times:

Our goal is to provide substantive commentary for a general readership. By screening submissions, we have created a space where readers can exchange intelligent and informed commentary that enhances the quality of our news and information

Insomma, i commenti intelligenti, informati ed efficacemente moderati possono migliorare la qualità delle notizie e dell’informazione.

Sullo stesso argomento:

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Nuovi mestieri nel giornalismo: animatori di comunità cercansi http://ifg.uniurb.it/2010/03/31/ducato-online/nuovi-mestieri-nel-giornalismo-animatori-di-comunita-cercansi/1914/ http://ifg.uniurb.it/2010/03/31/ducato-online/nuovi-mestieri-nel-giornalismo-animatori-di-comunita-cercansi/1914/#comments Wed, 31 Mar 2010 14:02:02 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=1914 In America ci sono già le selezioni. Un nuovo sito web che si occuperà delle notizie locali della città di Washington cerca un nuovo genere di giornalisti, accanto a quelli tradizionali:  un “Senior community host“, una specie di padrone di casa che si occuperà di formare il gruppo con cui lavorare e cercare notizie sulla rete; un “community host” per mantenere le relazioni con i blogger, mediare le discussioni e seguire la realizzazione dei progetti della comunità; un “social media producer” che gestirà social media come Twitter, Facebook e YouTube e un “mobile producer”  per seguire la comunità sui cellulari.

L’ “animatore di comunità” è un ruolo non ancora molto conosciuto nel nostro Paese, ma già affermato all’estero, una figura chiave in grado di fidelizzare, clic dopo clic, una comunità di internauti da utilizzare come fonte e pubblico di informazione.

In Italia l’unica figura che un po’ gli si avvicina è quella del community manager: persone che si occupano di gestire le pagine che le testate hanno creato nei social network.

“Io non sono giornalista professionista – spiega Maurizio Monaci, community manager di Repubblica.it – e come me tantissimi che svolgono questo lavoro”. In Italia non è richiesto, chiunque può gestire le comunità purché sia in grado di farlo, mentre all’estero questo lavoro è riconosciuto come una funzione prettamente giornalistica.

Nel nostro Paese l’animatore di comunità deve ancora farsi strada nelle redazioni. Quello che chiedono i giornali online è che i loro contenuti siano rigirati e linkati su altre piattaforme, come Facebook, senza ulteriori attività di animazione. “C’è un giornalista – continua Monaci –  che mi dice i contenuti da inserire. Io li metto in pagina e poi gli internauti commentano tra loro. L’articolo circola e il giornale si fa pubblicità”.

E’ una forma di distribuzione e di marketing, ancora lontana dal complesso lavoro di selezione e tessitura delle conoscenze della rete per creare informazione nuova e originale. Non ci sono interventi per moderare i commenti, monitorarli, prendere spunto da questa o quella riflessione e rilanciare un altro argomento.

“Questo tipo di giornalismo qui da noi non esiste ancora – spiega Luca Dello Iacovo, freelance e collaboratore di Nova, inserto del Sole 24 ore – perché secondo me non sono ancora stati colti i benefici del cambiamento o nessuno è stato in grado di interpretarlo. Basta confrontare i siti dei nostri maggiori quotidiani con quelli inglesi, francesi o spagnoli”. In Francia Le Figaro e L’Express hanno assunto giornalisti che si occupano solo di questo: mettere insieme i vari elementi del discorso che si anima in una comunità per scriverci e ragionarci sopra. Come spiega Antoine Daccord, ex animatore di MySpace, oggi redattore di Le Figaro.fr: “Il giornalista animatore di comunità scrive l’articolo come se avesse fatto una ricerca per strada, salvo che la strada in questo caso è il web”.

All’estero questa figura sembra assai più affermata. In Italia le prospettive sono ridotte notevolmente anche dal ritardo nelle strutture di connessione: “L’accesso all’alta banda – spiega Stefano Lamorgese, multimedia project manager di Rai News 24 –  è molto più indietro da noi rispetto ad altri Paesi e questo influisce sull’arretratezza nella creazione e la necessità di figure come l’animatore di comunità”.

Ma se l’Italia è ancora lontana dalla creazione di un giornalismo frutto di conoscenza condivisa e compartecipata, c’è comunque un settore che sta conquistando ampi margini di autonomia, l’informazione legata a moda e spettacolo. “Sarà che le donne sono più pettegole – spiega Domitilla Ferrari, community manager di donnamoderna.com – ma noi siamo riusciti a creare un pubblico fedele con il quale fare e scambiare informazione”.

La Ferrari utilizza piattaforme interattive per confrontarsi e interagire con la community tramite chat, forum e iniziative varie. “Il mio lavoro – spiega  – consiste un po’ nello scegliere le ciliegie migliori dal cesto (cherry picking): faccio una selezione in rete cercando di individuare contenuti validi dei quali servirmi”.

Monitorare la rete, quindi, e cercare di capire cosa e chi si può aggiungere alla squadra. Poi il manager deve trovare un’angolazione particolare e scoprire il modo efficace di trattare le informazioni che provengono dagli utenti. “Noi viviamo di Ugc, user generated content – continua Ferrari –  Per dirla all’italiana: di contenuti generati dagli utenti e ritenuti interessanti e validi. Capita che mi piaccia una fashion blogger trovata in rete e decida di avere questo contenuto di valore nella mia community e quindi tra le pagine stesse di donnamoderna.com”.

La nuova sfida è questa: condividere e creare insieme informazione. Utilizzare “gli occhi e le orecchie degli internauti come fonte preziosa di notizie”, come dice Laurie Gauret di l’Express.fr .

Il rischio di questo giornalismo “dal basso” è di perdere credibilità e autorevolezza, ma secondo i “community manager” italiani e i più esperti “animatori” dell’estero, l’importante è avere sempre buon senso nella selezione.

Steve Buttry, che lavora da anni in questo campo, è il nuovo responsabile del servizio di “community engagement” del nuovo sito di Washington, ed è lui che proprio in questi giorni sta scegliendo la sua squadra cui si è accennato sopra.  “Cerchiamo persone che sappiano lavorare a 360 gradi con il web 2.0. Che sappiano gestire blogger e relazioni con altri utenti – spiega Buttry al Ducato Online – e poi bisogna saper moderare discussioni nei forum e commenti nei blog. Ma quello che caratterizza maggiormente questo lavoro è la selezione e l’utilizzo di contenuti generati in rete per creare, alimentare e appunto, animare, la comunità”.

(Articolo aggiornato il 12-04-2010 per specificare le funzioni del community manager di donnamoderna.com)

Guida alla rete:

Blog di Steve Buttry

New web site (Washington d.c.)

Selezione personale per New web site

Donnamoderna.com

Pagine facebook di Repubblica.it

Le Figaro.fr

L’Express.fr

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