il Ducato » Rupert Murdoch http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Rupert Murdoch http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it “No more Page3″: il Sun dice addio alla ragazza in topless, ma solo su carta http://ifg.uniurb.it/2015/01/20/ducato-online/no-more-page3-il-sun-dice-addio-alla-ragazza-in-topless-ma-solo-su-carta/63003/ http://ifg.uniurb.it/2015/01/20/ducato-online/no-more-page3-il-sun-dice-addio-alla-ragazza-in-topless-ma-solo-su-carta/63003/#comments Tue, 20 Jan 2015 11:40:12 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=63003 Un esempio di pagina 3 del Sun

Un esempio di pagina 3 del Sun

URBINO – Niente più Page3. O meglio niente più topless a pagina tre. Gli inglesi da oggi sfogliando il Sun non troveranno più la “ragazza di pagina tre”.

Il giornale britannico più venduto dice addio dopo 44 anni all’appuntamento giornaliero con la modella nuda, che l’edizione irlandese aveva eliminato nell’agosto 2013.

Una censura che non colpisce però la rete. Rupert Murdoch scherzando sull’argomento fa sapere che la ragazza in topless sopravvivrà online: “Page3 ci sarà sempre, tra pagina 2 e 4, oggi puoi trovare Lucy da Warwick su Page3.com”, il sito appositamente dedicato alla pubblicazione dei topless che esiste dal 1998.

Il brand ‘pagina tre’ è stato introdotto nel 1970, a meno di un anno dall’acquisto del quotidiano da parte del magnate dell’informazione. Felici le femministe che dal 2012 portavano avanti la campagna No More Page 3 contro l’uso del corpo femminile come oggetto sessuale. La petizione su change.org, diretta a David Dinsmore editor del Sun, è stata promossa da Lucy Holmes. Appoggiata anche da molti uomini, la donna ha raccolto oltre 217.000 firme. Oggi i sostenitori festeggiano su Twitter per la vittoria.

“Chi altro indossa la propria tshirt con orgoglio oggi?”

Non tutti però sono d’accordo. Su Twitter molti utenti protestano e non vogliono rinunciare a un simbolo con cui sono cresciuti. Di fatto dichiarando guerra a colpi di hashtag #wewantpage3 (“vogliamo pagina 3″) e #dontbuythesun (“non comprate il Sun“).

“Page3? E poi? Nulla grazie ai meschini bigotti”

“Sono fiero che pagina tre abbia chiuso. Sono solo triste che il resto delle pagine di questo giornalaccio rimangano”

Il tentativo di settembre. Già a settembre Murdoch aveva accennato a un possibile cambiamento della linea editoriale del Sun. Lanciando una domanda a suoi follower Twitter: “Le giovani e belle donne non sono più attraenti vestite alla moda?”.

L’editore australiano aveva poi affondato il colpo contro le femministe: “Se ne lamentano, ma scommetto che poi non lo comprano – aggiungendo – è una tradizione vecchia ma non sembra che i lettori siano d’accordo”.


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Profile e Current: quando il giornale sogna il social network http://ifg.uniurb.it/2013/06/10/ducato-online/profile-e-current-quando-il-giornale-sogna-il-social-network/50279/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/10/ducato-online/profile-e-current-quando-il-giornale-sogna-il-social-network/50279/#comments Mon, 10 Jun 2013 07:44:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50279 CRONOSTORIA I social e i media]]> In principio era la carta, poi l’informazione è migrata sulla Rete. I giornali elettronici, un tempo mere riproduzioni dei fogli cartacei, si sono trasformati progressivamente, hanno scoperto il linguaggio e le regole di Internet, hanno imparato a giocare sui social network con i propri lettori.

Oggi le grandi media company tentano un nuovo balzo in avanti, affiancando ai loro prodotti editoriali veri e propri social network con lo scopo di arricchire l’offerta rivolta ai lettori, e fidelizzarli: i protagonisti di questa tendenza sono soprattutto i grandi editori economici, intenzionati a dare vita a network di nicchia, tagliati su misura per un pubblico selezionato di professionisti.

L’ultima creatura venuta alla luce è WSJ Profile, una rete simile a LinkedIn realizzata per i lettori del Wall Street Journal. La nascita del nuovo strumento è stata annunciata lo scorso 28 maggio da Lex Fenwick, amministratore delegato di Dow Jones ed editore del quotidiano finanziario più autorevole del pianeta: “Vogliamo permettere ai nostri lettori di partecipare all’economia della condivisione – ha detto Fenwick – in questo modo aumenterà il tempo che trascorreranno sul sito e noi saremo capaci di conoscere meglio le loro preferenze. Il network faciliterà anche la pubblicità mirata”. Perché è proprio questo, la pubblicità su misura, che rende miliardi di dollari a Facebook e Google. Riuscire a intercettare parte di quel flusso è la grande sfida.

CRONOSTORIA I social e i media: storia di fallimenti 

Le funzioni di Profile comprendono un servizio di instant messaging, strumenti per caricare ricerche economiche e monitorare gli investimenti ma soprattutto permettono di rendere visibili le informazioni sulla professione dell’utente: quest’ultimo aspetto sembra ricalcato da LinkedIn, il social network usato dalle aziende per vagliare e reclutare le figure professionali. Per saperne di più, però, bisognerà aspettare ancora qualche giorno, mentre non è ancora chiaro se il lancio ufficiale avverrà su scala globale o inizialmente solo negli Stati Uniti.

I social network, però, sono creature volubili ed è facile scottarsi le mani. Ne sa qualcosa Rupert Murdoch, proprietario di News Corporation (e quindi dello stesso Wall Street Journal): il magnate australiano ha comprato MySpace nel 2005 per la cifra di 580 milioni di dollari, rivendendo il sito nel 2011 per la misera somma di 35 milioni.

Anche Bloomberg rientra nel novero degli editori recidivi, innamorati perdutamente dell’idea di creare il proprio social network: la prima volta risale al 2008, anno di nascita di Current. Il sito, che non ha mai avuto successo, era una sorta di Twitter finanziario, uno spazio dove gli utenti potevano informarsi ed informare in tempo reale su quanto accadeva nel mondo degli affari. Per aumentare la visibilità di Current, il team di Bloomberg ha aperto anche un profilo sul “rivale” Twitter, ma l’ultimo segno di attività risale all’autunno del 2011.

Ora Current riemerge dall’oscurità con una versione Beta, della quale, al momento, è possibile vedere solo la pagina di login: “Il nostro scopo è filtrare il rumore – spiegano gli sviluppatori del sito – fornire ai leader finanziari i contenuti più rilevanti”. Per fare ciò hanno rimodellato la grafica e puntato su un sistema di ricerca per tag, ma ancora non è chiaro quando Current sarà realmente accessibile.

Maggior successo ha avuto un altro social realizzato da un editore: the Guardian Soulmates. L’autorevole quotidiano britannico ha lanciato nel 2007 un sito di incontri sulla falsariga di Meetic, ma lo scopo, più che far incontrare le anime gemelle, è sostenere economicamente il giornale: gli utenti, infatti, pagano un abbonamento mensile di 32 sterline.

Un esempio tutto italiano è Gazzaspace, la community della Gazzetta dello Sport dove gli utenti commentano le notizie, giocano a Fantacalcio e si riuniscono in gruppi. Con il tempo sono aumentate le funzioni: i lettori più attivi vincono dei badges, dei riconoscimenti che possono esibire anche sui loro profili Facebook. Ma molti giornali italiani stanno cercando di costruire delle community di lettori, anche se la profondità di interazione non è molto sviluppato.

Tra scetticismo ed entusiasmo, questi nuovi social aprono una strada che presto potrebbe essere percorsa da altri protagonisti dell’informazione, ma una questione rimane in sospeso: è sufficiente dare nuovi spazi ai lettori per rilanciare le sorti delle imprese editoriali?

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Gran Bretagna, dopo il Tabloidgate nasce un’autorità indipendente per la stampa http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/gran-bretagna-dopo-il-tabloidgate-nasce-unautorita-indipendente-per-la-stampa/39291/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/gran-bretagna-dopo-il-tabloidgate-nasce-unautorita-indipendente-per-la-stampa/39291/#comments Tue, 19 Mar 2013 17:27:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39291

David Cameron, primo ministro britannico

Tempi duri per i giornalisti britannici: una storica formula auspicava che la stampa facesse da cane da guardia del potere, ma ieri nel Regno Unito i partiti hanno trovato un accordo per ‘sguinzagliare’ un nuovo cane da guardia, un watchdog che controlli o quanto meno addomestichi lo sciacallaggio di certo giornalismo scandalistico.

Una libertà, quella di stampa, che spesso era diventata una scusa, una giustificazione con cui alcuni grandi editori si sentivano autorizzati a pubblicare scoop di qualsiasi natura e a qualunque prezzo. Lo dimostra la lunga inchiesta pubblica sull’etica, la cultura e le pratiche dei media voluta dal primo ministro britannico David Cameron, e condotta dal giudice lord Brian Leveson, dopo lo scandalo del giornale appartenente al colosso di Rupert Murdoch, il News of the World, colpevole di aver pubblicato intercettazioni, spiato vip e cittadini comuni e violato la loro privacy. Secondo il rapporto Leveson si rendeva necessaria la creazione di un organo di supervisione indipendente, che sostituisse la debole ‘Press Complaints Commission’, poco efficace perché interamente composta da giornalisti ed editori.

A quattro mesi dalla pubblicazione del rapporto e dopo lunghi tira e molla politici, i parlamentari inglesi festeggiano il raggiungimento di un accordo. A regolamentare i media non sarà più la vecchia Commissione e neppure l’Ofcom suggerito da Leveson e da molti ritenuto sotto il controllo diretto del governo. Il nuovo strumento, stabilito tramite un regio decreto legge “royal charter”, consisterà in un’autorità indipendente con compiti effettivi: dalla sanzione fino a un milione di sterline (ovvero circa 1,5 milioni di euro) per chi viola il codice deontologico alla facoltà di imporre, e non più solamente suggerire, scuse adeguate da parte delle testate che sbagliano.

ECCO LA BOZZA DI ROYAL CHARTER

Ecco i punti chiave:

• Il royal charter è un decreto reale, ovvero un atto che – per forza e resistenza alle modifiche – può essere considerato come una legge costituzionale italiana. Non potrà essere modificato dai ministri ed emendamenti potranno esserci solo se in entrambe le Camere del Parlamento si raggiungeranno i due terzi della maggioranza;
• Il nuovo strumento sarà completamente indipendente e la stampa non potrà più porre il veto su chi si siederà al tavolo di lavoro. Non saranno più gli editori a giudicare su se stessi. I regolatori saranno scelti per la maggior parte da persone che non fanno parte del mondo della stampa insieme a una persona esperta di giornalismo e una che rappresenta gli editori;
• Se necessario, potrà imporre le scuse da parte della testata che ha violato il codice. Prima c’era soltanto un invito a scusarsi, ora sarà un’intimazione
• Queste misure si applicheranno a quotidiani, riviste e siti web che si occupano di notizie. Coloro che rifiutano di seguire la nuova regolamentazione, se coinvolti in processi, dovranno pagare ammende esemplari. Questo è un incoraggiamento ad aderire e a sottoscrivere il nuovo organo.

Abbiamo vinto noi”: questo il grido trionfalistico che ciascun leader dei tre maggiori partiti britannici si è affrettato a mettere agli atti all’indomani dell’incontro tenutosi alla Camera dei Deputati. Tanto i conservatori di David Cameron, quanto i laburisti guidati da Ed Miliband e i liberal-democratici di Nick Clegg, ritengono di aver ottenuto quello che volevano, senza cedere terreno all’avversario. C’è da chiedersi se, in questo caso, più che di vittoria collettiva sia più opportuno parlare di fiacco parimerito o di compromesso. Di fatto è difficile stabilire chi abbia vinto più degli altri, quel che è certo è che ognuno ha dovuto fare delle rinunce e delle concessioni.

Quello a cui hanno assistito ieri milioni di persone sintonizzate sul sito del Guardian, che ha trattato in live blogging ogni singola dichiarazione e commento, è stato un botta e risposta tra parlamentari disposti a rivedere e smussare le proprie posizioni pur di trovare un punto d’incontro comune in materia di regolamentazione del mondo della stampa.

Soddisfatta la reazione di Cameron: “Ho sempre voluto due cose, che si costituisse un forte strumento in grado di salvaguardare le vittime, e questo lo abbiamo ottenuto, e che venisse garantita la difesa della libertà di stampa, e anche questo è riuscito”. Altrettanto positive, ma più attente ai diritti lesi delle persone, le parole del leader dei laburisti Ed Miliband: “Lord Leveson aveva richiesto un regolatore efficace, oggi questo è stato raggiunto. E’ stato possibile solo grazie alle vittime che hanno avuto il coraggio di parlare. Io non voglio più vivere in un Paese in cui la stampa è libera di trattare le persone così come sono state trattate”. Il liberal-democratico Clegg ha invece ringraziato Cameron e Miliband, perché è solo grazie alla cooperazione di tutti che è stato possibile superare le rigidità delle reciproche posizioni.

Questa ventata di ottimismo ha però trovato la ferma disapprovazione di Kirsty Hughes, amministratore delegato dell’Index on Censorship. “L’indice è assolutamente contrario alla costituzione di questo strumento – ha affermato – il coinvolgimento dei politici mina il diritto della stampa ad essere indipendente. Viene violato non solo il principio fondamentale di libertà, ma anche i fondamenti della democrazia”.

La reazione da parte del mondo dei media è stata controversa: alla cauta accoglienza mostrata da testate come The Guardian, The Independent e The Financial Times si sono contrapposte aspre critiche da parte del Daily Mail, Sun e Telegraph. Alan Rusbridger, editore del Guardian, apprezza il fatto che i tre partiti maggiori siano riusciti a dialogare e a trovare un buon punto d’incontro. Conserva tuttavia “forti riserve sul risarcimento esemplare anche se, l’esser riusciti a trovare, dopo anni di dibattito, un regolatore indipendente sia dalla stampa che dalla politica, è un segnale importante e un miglioramento non da poco rispetto al passato”.

Winston Churchill, l’immagine di copertina scelta dal “Sun”

Furiosa invece la risposta di altre testate. Il Sun già si era scatenato pubblicando in copertina una foto in bianco e nero del primo ministro Winston Churchill: evocare un esempio di democrazia per scongiurare il pericolo di gettare la Gran Bretagna in una spirale di censura.

All’indomani della decisione presa dai leader politici, i direttori di Daily Mail, Sun e Telegraph minacciano di rifiutare il nuovo piano regolatore. Dichiarano di “volersi rivolgere a una consulenza legale di alto livello prima di accettare a occhi chiusi quello che sembra essere un cappio alla libertà di stampa”. Trevor Kavanagh, editorialista del Sun, sostiene: “Semplicemente noi non vogliamo che i politici abbiano il controllo su cosa debba o non debba uscire sui giornali”.

Libertà violata o meno, il dibattito sulla regolamentazione della stampa non è certo destinato a spegnersi in tempi brevi. Non sono solo i grandi giornali a interrogarsi su cosa cambierà, ma anche le piccole testate sono spaventate da quello che rischia di trasformarsi in uno strumento a doppio taglio: da una parte salvaguardia della professione se esercitata nobilmente, ma anche un possibile limite.

Hayley Samela, giovane giornalista americana che da alcuni anni lavora a Londra, sostiene che la libertà di stampa è uno dei più bei diritti di cui il mondo è in possesso e niente dovrebbe metterla in discussione: “Non sono d’accordo con le regolamentazioni sui media, nessun altro può decidere cosa debba o non debba essere pubblicato. C’è poi il rischio che siano i politici ad assumersi questa prerogativa e in quel caso verrebbero soddisfatti solo i loro interessi”.

“Se l’intento di questa nuova regolamentazione è quello di impedire la violazione della privacy – continua Samela – non credo che ci siano riusciti. Il governo invade la privacy, Internet invade la privacy, Facebook la invade… in più dopo aver disposto questo controllo, cos’altro si spingeranno a fare? Si creerebbe un precedente pericoloso”. Il caso Murdoch è senz’altro un esempio di cattivo giornalismo, ma generalizzare rischia di portare ulteriori danni: “La credibilità stessa agli occhi dei cittadini verrebbe meno se il controllo sull’informazione da parte di strutture esterne si acuisse”.

“Da americana mi rendo conto – conclude Samela – che nel Regno Unito il controllo è già maggiore rispetto agli Stati Uniti, senza che ci sia bisogno di creare altri strumenti. Per esempio, la stampa inglese è già in qualche modo influenzata dalla famiglia reale. Se avessimo una foto di Michelle Obama in bikini i giornali americani la pubblicherebbero immediatamente e Internet impazzirebbe. Qua una foto di Kate è intoccabile, è ‘sotto controllo‘”.

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