il Ducato » the guardian http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » the guardian http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it La stampa straniera elegge Urbino città ideale… anche se solo per un fine settimana http://ifg.uniurb.it/2014/02/21/ducato-online/la-stampa-straniera-elegge-urbino-citta-ideale-per-un-fine-settimana/57421/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/21/ducato-online/la-stampa-straniera-elegge-urbino-citta-ideale-per-un-fine-settimana/57421/#comments Fri, 21 Feb 2014 20:49:36 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57421 FOTOGALLERIA / La città ducale è tra le mete più consigliate per un week end. Imperdibili il Duomo ma anche i collegi, la casciotta e palazzo Ducale LEGGI IL NUOVO DUCATO IN EDICOLA]]> I Torricini

I Torricini

URBINO – La città ducale “vista” dai giornali stranieri è soprattutto viaggi e arte. Il “The Times” la inserisce nelle “25 vacanze top in Italia” e la descrive come la più perfetta città rinascimentale che può concorrere con la Toscana per le sue campagne verdi e “gorgeous” (magnifiche). Il “The Guardian” la colloca persino nelle “top 5 city”. Quelle città cioè che tutti dovremmo visitare una volta nella vita. Urbino si trova fianco a fianco – secondo il quotidiano inglese – con Dubai, Ponta Delgada, Marrakech e Parigi.

“La sofisticata corte del duca Federico da Montefeltro”, viene descritta come una città di pietra costruita sopra una collina che mette a dura prova i polpacci del turista. Come dargli torto. Scontati i luoghi consigliati: Palazzo Ducale e la casa di Raffaello ma anche l’Oratorio di San Giovanni e qualsiasi viuzza seminascosta. Urbino è – secondo gli inglesi – un vero e proprio “museo vivente” con, in più, uno spirito “cool” e cosmopolita che le deriva dall’essere una città universitaria.

“El Pais” la segnala come meta per il fine settimana o per una breve vacanza, per “Le Monde” Urbino è una “sorte de Florence miniature” e il “New York Times” consiglia di provare la Casciotta magari durante un pic nic in fortezza Albornoz.I Torricini diventano invece le “twin towers” sul quotidiano sudamericano “Lanation.com” che elegge la città ducale a “meta ideale” per una vacanza nella “tipica provincia italiana”.

Per quanto riguarda l’arte il nome di Urbino è sempre associato a quello di Raffaello, Piero della Francesca, Baldassarre Castiglione e  Federico Barocci che secondo gli inglesi è “quel genio italiano dimenticato” a cui, invece, la National Gallery ha dedicato una mostra nel 2013.

Non manca poi Federico da Montefeltro che il “The Times” cita in un articolo sui “misteri del passato” intitolato “The Montefeltro Conspiracy” e che “Le Monde” chiama “Il complotto del Rinascimento”. Il mistero in questione è la congiura dei Pazzi, il complotto contro i fratelli Medici in cui, pare, che il duca fosse coinvolto come mandante “occulto”. Altro enigma che interessa i giornali stranieri – tra cui anche il tedesco “Spiegel” – è la notizia dell’identificazione con il Montefeltro del paesaggio alle spalle della Gioconda.

Guidobaldo II della Rovere viene invece citato dal “The Times of India” che in un altro articolo parla anche della”Urbino european law seminar”: il seminario di diritto europeo che si svolge tutte le estati all’università Carlo Bo dal 1959.

Tra i numerosi consigli su quale bed and breakfast scegliere e le recensioni del miglior ristorante dove mangiare le tagliatelle al tartufo, la stampa straniera da però spazio anche a notizie che fotografano l’Urbino quotidiana. Quella città che non ti aspetteresti di trovare tra pagine di un giornale tanto geograficamente lontano.

Sul “The Guardian” in un pezzo del 2013, firmato da Oliver Wainwright, si parla de “Le dieci migliori residenze per studenti”. Gli alloggi universitari da tutti conosciuti come “i collegi” vengono definiti “una delle migliori architetture al mondo”. “Raggruppati sulla cresta di una bassa collina , a circa un chilometro fuori dalle mura della città vecchia” gli alloggi  – progettati dall’architetto italiano Giancarlo de Carlo – sono ,secondo il quotidiano inglese, un’incredibile reinterpretazione  “del guazzabuglio medievale del centro città”.

“El Pais” in un lungo articolo sull’ondata di gelo del 2012 che stava coinvolgendo tutta Europa, dedicò persino qualche riga all’ormai mitico nevone: “Città come Urbino e decine di paesi sono completamente isolati dopo che nelle ultime ore sono caduti circa sei metri di neve”.

Urbino e freddo deve essere diventata un’equazione per i giornalisti spagnoli che nel 2013 riportano la notizia della scoperta da parte del professor Giorgio Spada dell’Università degli studi di Urbino di un “canion” lungo 750 km sotto la Groenlandia.

Il tedesco “Spiegel” cita invece gli studi del team capitanato dal professor Simone Galeotti dell’università Carlo Bo. Oggetto delle sue ricerche: la teoria secondo cui i dinosauri si estinsero per un freddo improvviso.

Altra eccellenza sfornata dall’università della città ducale è Manuela Malatesta, biologa cellulare a cui “Le Monde” dedicò un pezzo nel 2006 dopo che le furono tolti i fondi per la ricerca che stava conducendo sulle malattie provocate dagli ogm.

Il quotidiano francese ha un rapporto preferenziale anche con un altro urbinate illustre: Ilvo Diamanti. Il politologo è il commentatore per le questioni di politica italiana, su tutte: Silvio Berlusconi e Lega Nord.

“Il Diamante della cucina”. Così viene chiamato il tartufo di Acqualagna dall’americano Chris Warde Jones. Il famoso fotoreporter è – nel 2013 – autore di un articolo per il “New York Times” in cui racconta una giornata alla ricerca dei famosi tartufi marchigiani. Ad accompagnarlo un cercatore professionista conosciuto in un bar di Urbino mentre sorseggiava un aperitivo.

Altra specialità tutta locale è quella raccontata da “El Pais” nell’articolo datato 2010: “L’arte di fumare la pipa”. La città di Cagli viene qui indicata come il luogo migliore dove comprare questi prodotti e vedere ancora all’opera dei veri artigiani.

Infine, di nuovo sul “New York Times” c’è spazio anche per l’annuncio di matrimonio tra un cittadino di Fermignano, Fabrizio Dini, e Hannah Sarah Faich, una project manager di Philadelphia. I due, innamorati delle colline marchigiane, hanno deciso di sposarsi proprio nel municipio di Urbino. A celebrare il matrimonio civile l’assessore (ora candidata sindaco) Maria Clara Muci.

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Basta Mandela, vogliamo sitcom e maltempo: la Bbc riceve 850 reclami http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/basta-mandela-vogliamo-sitcom-e-maltempo-la-bbc-riceve-850-reclami/53815/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/basta-mandela-vogliamo-sitcom-e-maltempo-la-bbc-riceve-850-reclami/53815/#comments Tue, 10 Dec 2013 17:14:10 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=53815 mandela

La homepage di Bbc News a cinque giorni dalla morte di Nelson Mandela

Nella serata di giovedì 5 dicembre due milioni e 800 mila telespettatori inglesi erano incollati agli schermi dei loro televisori: la Bbc, la prima emittente radiotelevisiva inglese, trasmetteva la replica di un episodio di “Mrs Brown’s boys”. Fuori, intanto, il ciclone Xaver devastava la costa orientale della Gran Bretagna, provocando due morti e 100 mila evacuati. A dieci minuti dalla fine della puntata, improvvisamente, le esilaranti avventure della vedova Brown e della sua numerosa famiglia sono state interrotte da un notiziario speciale: si è spento, all’età di 95 anni Nelson Mandela.

Nel giro di pochi secondi, l’annuncio si è imposto in prima linea su ogni mezzo d’informazione: la tv trasmetteva la vita dell’ex presidente del Sudafrica, la radio intercettava le condoglianze dei capi di Stato e la homepage della Bbc titolava sull’eroe dell’anti-apartheid. Una copertura mediatica che non è piaciuta proprio a tutti: in poche ore la più autorevole emittente d’Inghilterra ha ricevuto 850 lamentele.

“Le grandi storie, come la morte di Mandela, hanno bisogno di essere affrontate – si legge in uno dei reclami ricevuti dalla Bbc riportati dal Guardian – ma bisogna trovare un equilibrio. La sua morte non è stata inaspettata, era un uomo anziano, che era malato da molti mesi”. La scelta editoriale  della Bbc  è stata criticata su diversi fronti da parte del pubblico inglese: prima di tutto l’emittente avrebbe dato troppo spazio al politico sudafricano, tralasciando di informare la nazione sulla situazione del maltempo e del ciclone Xaver. Ma poi, era proprio necessario troncare la sitcom? “La Bbc interrompe la signora Brown dieci minuti prima della fine per una notizia su Nelson Mandela – si lamenta un telespettatore su Twitter – La notizia avrebbe potuto aspettare fino alle 22!”

Il pubblico è al centro di tutto ciò che fa la Bbc – recita un articolo delle Linee guida editoriali dell’emittente – Il feedback del pubblico è prezioso per noi e aiuta a migliorare la qualità del programma”. Ma per quanto riguarda Nelson Mandela, la Bbc ha deciso di non tornare sui propri passi. “La sua morte era qualcosa che abbiamo considerato sufficientemente significativo sia per interrompere la nostra programmazione, sia per estendere i nostri telegiornali – si è giustificata l’emittente in un post pubblicato il 6 dicembre sul sito web.

“Ci dispiace se c’è qualcuno che pensa di non essere stato ben informato sul maltempo” ha affermato lo stesso giorno il direttore di Bbc News, James Harding, durante una puntata del programma Newswatch. “Nessuno ha bisogno di una lezione sulla sua importanza – ha continuato – ma stiamo probabilmente parlando dello statista più importante e più significativo degli ultimi cento anni: un uomo che ha definito la libertà, la giustizia, la riconciliazione, il perdono. L’importanza della sua vita e della sua morte ci sembra estremamente chiara”.

Per permettere al pubblico di sporgere lamentele e per raccoglierle in modo ordinato, la Bbc fornisce ai suoi utenti una sezione del sito dedicata, in cui spiega come e dove scrivere i propri reclami e come verranno trattati dall’azienda. Secondo i brevi report rilasciati ogni 30 giorni, l’emittente riceve mensilmente tra le 12 e le 21 mila lamentele. La questione Mandela non è nuova: già nel 1990, quando ancora la modalità di reclamo non era così semplice, più di 500 spettatori del programma Antiques Roadshow inviarono le loro proteste alla Bbc per aver interrotto il programma con la notizia dell’uscita di prigione dell’ex-presidente sudafricano.

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Longform: nuova frontiera del giornalismo multimediale di qualità http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/long-form-journalism/53755/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/long-form-journalism/53755/#comments Tue, 10 Dec 2013 15:35:28 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=53755 Una foto dall'inchiesta del New York Times

Una foto dall’inchiesta Invisible Child del New York Times

Leggereste questo articolo sul vostro computer dalla prima all’ultima riga se fosse lungo oltre tre pagine? La risposta è sì, se questo fosse un racconto che oltre alle parole includesse foto, video e documenti multimediali.

Si chiama longform journalism ed è la ricetta che il New York Times sta portando avanti dall’anno scorso e che, a quanto pare, sta dando grossi frutti.

L’ultima in ordine di tempo è Invisibile Child, un’inchiesta che racconta la storia di Desani, una dei 22.000 bambini senza casa e assistenza sociale che vivono in condizioni disumane nei sobborghi della Grande Mela. Una giornalista e una fotografa hanno vissuto per un intero anno con Desani, 11 anni, e la sua famiglia, sette fratelli e genitori tossicodipendenti, in un asilo per senzatetto di Brooklyn. Il risultato è un fotoracconto lungo oltre 100 cartelle, divise in cinque “capitoli”, con 250 pagine solo di documenti originali. Il lavoro è stato pubblicato integrale online, mentre sulla carta sono uscite ieri e oggi le prime due delle cinque puntate.

Invisibile Child , analizzato per primo in Italia da Mario Tedeschini Lalli nel suo blog “Giornalismo d’altri”, è un racconto di un Dickens postmoderno, forte della base giornalistica dell’inchiesta ma più potente grazie alla comunicazione multimediale e ha capovolto una delle regole auree che gli esperti avevano redatto per il giornalismo online, la brevità. Il suo successo arriva dopo quello ottenuto dallo stesso giornale con A Game of Shark and Minnow e soprattutto con Snow Fall, il primo esperimento a sdoganare il tabù della lunghezza online. Un team di 30 persone ha lavorato per sei mesi consecutivi per realizzarlo, un investimento notevole per un giornale online che indica forse la consapevolezza del NYT che lungo o corto, un lavoro giornalistico di qualità ha la certezza del successo. Nella comunità digitale l’inchiesta ha coniato anche il verbo to snowfall ovvero “un racconto giornalistico multimediale complesso fuori dai modelli classici dei siti dei giornali e a sviluppo prevalentemente verticale”.

In Europa anche il Guardian, che ogni anno fattura una perdita (in sterline) a sei zeri, ha deciso di investire in questo modello con il suo NSA files decoded.

E venerdì scorso la Columbia Journalism School, nella conferenza “The Future of Digital Longform”, aveva rivalutato la lunghezza come elemento ugualmente fruibile online. Secondo il professore Michael Shapiro i lettori riescono a leggere articoli online anche di oltre 8.000 battute senza particolari problemi persino dallo schermo di uno smartphone; lui stesso ha dato vita a The Big Roundtable, un sito solo per lunghi racconti.

Shapiro però sostiene poi che “un articolo di giornale non è definito dalla sua lunghezza ma dallo stile” e proprio qui sta il punto. Non è tanto la lunghezza di un articolo a determinare il suo successo fra i lettori, ma sono il contenuto e la capacità comunicativa. Le proposte del NYT non sono lunghi mattoni di testo scritto alla “Guerra e Pace” ma il prodotto dell’incrocio di uno scritto ottocentesco dalla forte narratività e gli strumenti dei nuovi media. Video e testo, foto e parole, racconto e mappe si uniscono creando un prodotto meta-giornalistico che è sì estremamente lungo ma allo stesso tempo anche semplice da leggere, e il successo di pubblico lo dimostra.

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The Long Good Read: la doppia vita della notizia e la rivincita del cartaceo http://ifg.uniurb.it/2013/12/07/ducato-online/the-long-good-read-la-doppia-vita-della-notizia-e-la-rivincita-del-cartaceo/53364/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/07/ducato-online/the-long-good-read-la-doppia-vita-della-notizia-e-la-rivincita-del-cartaceo/53364/#comments Sat, 07 Dec 2013 20:41:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=53364 The long good read

Digli cosa leggi e ti darà ciò che vuoi. Un giorno non lontano un robot sarà in grado di confezionare un giornale apposta per te, su misura. Questo sistema deve essere ancora brevettato, ma un suo simile è già al lavoro per realizzare, ogni sette giorni, un nuovo numero di The Long Good Read: il meglio del Guardian online ma in versione cartacea

Il settimanale è prodotto in un’ora, da un macchina, che fa quasi tutto il lavoro e da un solo editor ‘in carne e ossa’. Ha 24 pagine, riempite con le notizie più cliccate in rete e la sua tiratura è limitata. Limitatissima: viene distribuito solo nel bar di Londra gestito dalla testata, il Guardian Coffee.

Si tratta di un esperimento editoriale realizzato dal quotidiano britannico in collaborazione con un’azienda che si occupa della produzione di piccoli giornali, The Newspaper Club. Il processo di selezione e impaginazione del periodico è quasi totalmente automatico. Una serie di algoritmi analizza gli oltre 3000 articoli pubblicati nell’arco di una settimana sul sito web del Guardian per selezionarne solo l’1%. La scelta delle notizie viene affidata a Ophan, un programma che consente di sapere chi, quando, dove e soprattutto quanto viene letto un articolo. Parametro decisivo per determinare l’importanza della notizia e inserirla nel settimanale. Una volta individuate, le trenta “top stories” passano  al vaglio dell’editor. I link delle favorite vengono poi inoltrati a una macchina, Arthr. Il robot ideato dal Newspaper Club ha il compito di impaginare le notizie: sperimenta vari layout prima di decidere dove inserire titoli, testo e foto. Anche se a volte sbaglia, l’intervento umano è comunque ridotto al minimo: servono solo pochi secondi per sistemare tutto.

L’esperimento del Guardian è anche una sfida. Il passaggio dal digitale al materiale è un processo decisamente in controtendenza, considerando che non si fa altro che parlare della crisi del cartaceo. Uno dei motivi alla base di questa scelta è talmente semplice da sembrare banale. Alle volte, come spiega The Newspaper Club, “è davvero piacevole allontanarsi dallo schermo di un computer per leggere quelle storie adatte a un pubblico che ha tempo e voglia di leggerle”.

Se invece di selezionare i più cliccati il robot scegliesse gli articoli in base ai gusti di ciascun utente ci si troverebbe davanti a un ribaltamento del sistema editoriale in cui sarebbe il lettore  a scegliere il contenuto del giornale. Nella realtà questa è la funzione svolta dal caporedattore: decide quali articoli commissionare, quali redattori incaricare, quali argomenti trattare. E ne giudica il valore, mettendo in primo piano quelli che ritiene più importanti. Capita spesso però che l’attenzione degli utenti si concentri a sorpresa su ben altre notizie, spesso traghettate da canali di diffusione secondari come Facebook e Twitter. Preferenza che si trdaducono in mattoncini digitali con cui realizzare un giornale su misura.

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Profile e Current: quando il giornale sogna il social network http://ifg.uniurb.it/2013/06/10/ducato-online/profile-e-current-quando-il-giornale-sogna-il-social-network/50279/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/10/ducato-online/profile-e-current-quando-il-giornale-sogna-il-social-network/50279/#comments Mon, 10 Jun 2013 07:44:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50279 CRONOSTORIA I social e i media]]> In principio era la carta, poi l’informazione è migrata sulla Rete. I giornali elettronici, un tempo mere riproduzioni dei fogli cartacei, si sono trasformati progressivamente, hanno scoperto il linguaggio e le regole di Internet, hanno imparato a giocare sui social network con i propri lettori.

Oggi le grandi media company tentano un nuovo balzo in avanti, affiancando ai loro prodotti editoriali veri e propri social network con lo scopo di arricchire l’offerta rivolta ai lettori, e fidelizzarli: i protagonisti di questa tendenza sono soprattutto i grandi editori economici, intenzionati a dare vita a network di nicchia, tagliati su misura per un pubblico selezionato di professionisti.

L’ultima creatura venuta alla luce è WSJ Profile, una rete simile a LinkedIn realizzata per i lettori del Wall Street Journal. La nascita del nuovo strumento è stata annunciata lo scorso 28 maggio da Lex Fenwick, amministratore delegato di Dow Jones ed editore del quotidiano finanziario più autorevole del pianeta: “Vogliamo permettere ai nostri lettori di partecipare all’economia della condivisione – ha detto Fenwick – in questo modo aumenterà il tempo che trascorreranno sul sito e noi saremo capaci di conoscere meglio le loro preferenze. Il network faciliterà anche la pubblicità mirata”. Perché è proprio questo, la pubblicità su misura, che rende miliardi di dollari a Facebook e Google. Riuscire a intercettare parte di quel flusso è la grande sfida.

CRONOSTORIA I social e i media: storia di fallimenti 

Le funzioni di Profile comprendono un servizio di instant messaging, strumenti per caricare ricerche economiche e monitorare gli investimenti ma soprattutto permettono di rendere visibili le informazioni sulla professione dell’utente: quest’ultimo aspetto sembra ricalcato da LinkedIn, il social network usato dalle aziende per vagliare e reclutare le figure professionali. Per saperne di più, però, bisognerà aspettare ancora qualche giorno, mentre non è ancora chiaro se il lancio ufficiale avverrà su scala globale o inizialmente solo negli Stati Uniti.

I social network, però, sono creature volubili ed è facile scottarsi le mani. Ne sa qualcosa Rupert Murdoch, proprietario di News Corporation (e quindi dello stesso Wall Street Journal): il magnate australiano ha comprato MySpace nel 2005 per la cifra di 580 milioni di dollari, rivendendo il sito nel 2011 per la misera somma di 35 milioni.

Anche Bloomberg rientra nel novero degli editori recidivi, innamorati perdutamente dell’idea di creare il proprio social network: la prima volta risale al 2008, anno di nascita di Current. Il sito, che non ha mai avuto successo, era una sorta di Twitter finanziario, uno spazio dove gli utenti potevano informarsi ed informare in tempo reale su quanto accadeva nel mondo degli affari. Per aumentare la visibilità di Current, il team di Bloomberg ha aperto anche un profilo sul “rivale” Twitter, ma l’ultimo segno di attività risale all’autunno del 2011.

Ora Current riemerge dall’oscurità con una versione Beta, della quale, al momento, è possibile vedere solo la pagina di login: “Il nostro scopo è filtrare il rumore – spiegano gli sviluppatori del sito – fornire ai leader finanziari i contenuti più rilevanti”. Per fare ciò hanno rimodellato la grafica e puntato su un sistema di ricerca per tag, ma ancora non è chiaro quando Current sarà realmente accessibile.

Maggior successo ha avuto un altro social realizzato da un editore: the Guardian Soulmates. L’autorevole quotidiano britannico ha lanciato nel 2007 un sito di incontri sulla falsariga di Meetic, ma lo scopo, più che far incontrare le anime gemelle, è sostenere economicamente il giornale: gli utenti, infatti, pagano un abbonamento mensile di 32 sterline.

Un esempio tutto italiano è Gazzaspace, la community della Gazzetta dello Sport dove gli utenti commentano le notizie, giocano a Fantacalcio e si riuniscono in gruppi. Con il tempo sono aumentate le funzioni: i lettori più attivi vincono dei badges, dei riconoscimenti che possono esibire anche sui loro profili Facebook. Ma molti giornali italiani stanno cercando di costruire delle community di lettori, anche se la profondità di interazione non è molto sviluppato.

Tra scetticismo ed entusiasmo, questi nuovi social aprono una strada che presto potrebbe essere percorsa da altri protagonisti dell’informazione, ma una questione rimane in sospeso: è sufficiente dare nuovi spazi ai lettori per rilanciare le sorti delle imprese editoriali?

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Gran Bretagna, dopo il Tabloidgate nasce un’autorità indipendente per la stampa http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/gran-bretagna-dopo-il-tabloidgate-nasce-unautorita-indipendente-per-la-stampa/39291/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/gran-bretagna-dopo-il-tabloidgate-nasce-unautorita-indipendente-per-la-stampa/39291/#comments Tue, 19 Mar 2013 17:27:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39291

David Cameron, primo ministro britannico

Tempi duri per i giornalisti britannici: una storica formula auspicava che la stampa facesse da cane da guardia del potere, ma ieri nel Regno Unito i partiti hanno trovato un accordo per ‘sguinzagliare’ un nuovo cane da guardia, un watchdog che controlli o quanto meno addomestichi lo sciacallaggio di certo giornalismo scandalistico.

Una libertà, quella di stampa, che spesso era diventata una scusa, una giustificazione con cui alcuni grandi editori si sentivano autorizzati a pubblicare scoop di qualsiasi natura e a qualunque prezzo. Lo dimostra la lunga inchiesta pubblica sull’etica, la cultura e le pratiche dei media voluta dal primo ministro britannico David Cameron, e condotta dal giudice lord Brian Leveson, dopo lo scandalo del giornale appartenente al colosso di Rupert Murdoch, il News of the World, colpevole di aver pubblicato intercettazioni, spiato vip e cittadini comuni e violato la loro privacy. Secondo il rapporto Leveson si rendeva necessaria la creazione di un organo di supervisione indipendente, che sostituisse la debole ‘Press Complaints Commission’, poco efficace perché interamente composta da giornalisti ed editori.

A quattro mesi dalla pubblicazione del rapporto e dopo lunghi tira e molla politici, i parlamentari inglesi festeggiano il raggiungimento di un accordo. A regolamentare i media non sarà più la vecchia Commissione e neppure l’Ofcom suggerito da Leveson e da molti ritenuto sotto il controllo diretto del governo. Il nuovo strumento, stabilito tramite un regio decreto legge “royal charter”, consisterà in un’autorità indipendente con compiti effettivi: dalla sanzione fino a un milione di sterline (ovvero circa 1,5 milioni di euro) per chi viola il codice deontologico alla facoltà di imporre, e non più solamente suggerire, scuse adeguate da parte delle testate che sbagliano.

ECCO LA BOZZA DI ROYAL CHARTER

Ecco i punti chiave:

• Il royal charter è un decreto reale, ovvero un atto che – per forza e resistenza alle modifiche – può essere considerato come una legge costituzionale italiana. Non potrà essere modificato dai ministri ed emendamenti potranno esserci solo se in entrambe le Camere del Parlamento si raggiungeranno i due terzi della maggioranza;
• Il nuovo strumento sarà completamente indipendente e la stampa non potrà più porre il veto su chi si siederà al tavolo di lavoro. Non saranno più gli editori a giudicare su se stessi. I regolatori saranno scelti per la maggior parte da persone che non fanno parte del mondo della stampa insieme a una persona esperta di giornalismo e una che rappresenta gli editori;
• Se necessario, potrà imporre le scuse da parte della testata che ha violato il codice. Prima c’era soltanto un invito a scusarsi, ora sarà un’intimazione
• Queste misure si applicheranno a quotidiani, riviste e siti web che si occupano di notizie. Coloro che rifiutano di seguire la nuova regolamentazione, se coinvolti in processi, dovranno pagare ammende esemplari. Questo è un incoraggiamento ad aderire e a sottoscrivere il nuovo organo.

Abbiamo vinto noi”: questo il grido trionfalistico che ciascun leader dei tre maggiori partiti britannici si è affrettato a mettere agli atti all’indomani dell’incontro tenutosi alla Camera dei Deputati. Tanto i conservatori di David Cameron, quanto i laburisti guidati da Ed Miliband e i liberal-democratici di Nick Clegg, ritengono di aver ottenuto quello che volevano, senza cedere terreno all’avversario. C’è da chiedersi se, in questo caso, più che di vittoria collettiva sia più opportuno parlare di fiacco parimerito o di compromesso. Di fatto è difficile stabilire chi abbia vinto più degli altri, quel che è certo è che ognuno ha dovuto fare delle rinunce e delle concessioni.

Quello a cui hanno assistito ieri milioni di persone sintonizzate sul sito del Guardian, che ha trattato in live blogging ogni singola dichiarazione e commento, è stato un botta e risposta tra parlamentari disposti a rivedere e smussare le proprie posizioni pur di trovare un punto d’incontro comune in materia di regolamentazione del mondo della stampa.

Soddisfatta la reazione di Cameron: “Ho sempre voluto due cose, che si costituisse un forte strumento in grado di salvaguardare le vittime, e questo lo abbiamo ottenuto, e che venisse garantita la difesa della libertà di stampa, e anche questo è riuscito”. Altrettanto positive, ma più attente ai diritti lesi delle persone, le parole del leader dei laburisti Ed Miliband: “Lord Leveson aveva richiesto un regolatore efficace, oggi questo è stato raggiunto. E’ stato possibile solo grazie alle vittime che hanno avuto il coraggio di parlare. Io non voglio più vivere in un Paese in cui la stampa è libera di trattare le persone così come sono state trattate”. Il liberal-democratico Clegg ha invece ringraziato Cameron e Miliband, perché è solo grazie alla cooperazione di tutti che è stato possibile superare le rigidità delle reciproche posizioni.

Questa ventata di ottimismo ha però trovato la ferma disapprovazione di Kirsty Hughes, amministratore delegato dell’Index on Censorship. “L’indice è assolutamente contrario alla costituzione di questo strumento – ha affermato – il coinvolgimento dei politici mina il diritto della stampa ad essere indipendente. Viene violato non solo il principio fondamentale di libertà, ma anche i fondamenti della democrazia”.

La reazione da parte del mondo dei media è stata controversa: alla cauta accoglienza mostrata da testate come The Guardian, The Independent e The Financial Times si sono contrapposte aspre critiche da parte del Daily Mail, Sun e Telegraph. Alan Rusbridger, editore del Guardian, apprezza il fatto che i tre partiti maggiori siano riusciti a dialogare e a trovare un buon punto d’incontro. Conserva tuttavia “forti riserve sul risarcimento esemplare anche se, l’esser riusciti a trovare, dopo anni di dibattito, un regolatore indipendente sia dalla stampa che dalla politica, è un segnale importante e un miglioramento non da poco rispetto al passato”.

Winston Churchill, l’immagine di copertina scelta dal “Sun”

Furiosa invece la risposta di altre testate. Il Sun già si era scatenato pubblicando in copertina una foto in bianco e nero del primo ministro Winston Churchill: evocare un esempio di democrazia per scongiurare il pericolo di gettare la Gran Bretagna in una spirale di censura.

All’indomani della decisione presa dai leader politici, i direttori di Daily Mail, Sun e Telegraph minacciano di rifiutare il nuovo piano regolatore. Dichiarano di “volersi rivolgere a una consulenza legale di alto livello prima di accettare a occhi chiusi quello che sembra essere un cappio alla libertà di stampa”. Trevor Kavanagh, editorialista del Sun, sostiene: “Semplicemente noi non vogliamo che i politici abbiano il controllo su cosa debba o non debba uscire sui giornali”.

Libertà violata o meno, il dibattito sulla regolamentazione della stampa non è certo destinato a spegnersi in tempi brevi. Non sono solo i grandi giornali a interrogarsi su cosa cambierà, ma anche le piccole testate sono spaventate da quello che rischia di trasformarsi in uno strumento a doppio taglio: da una parte salvaguardia della professione se esercitata nobilmente, ma anche un possibile limite.

Hayley Samela, giovane giornalista americana che da alcuni anni lavora a Londra, sostiene che la libertà di stampa è uno dei più bei diritti di cui il mondo è in possesso e niente dovrebbe metterla in discussione: “Non sono d’accordo con le regolamentazioni sui media, nessun altro può decidere cosa debba o non debba essere pubblicato. C’è poi il rischio che siano i politici ad assumersi questa prerogativa e in quel caso verrebbero soddisfatti solo i loro interessi”.

“Se l’intento di questa nuova regolamentazione è quello di impedire la violazione della privacy – continua Samela – non credo che ci siano riusciti. Il governo invade la privacy, Internet invade la privacy, Facebook la invade… in più dopo aver disposto questo controllo, cos’altro si spingeranno a fare? Si creerebbe un precedente pericoloso”. Il caso Murdoch è senz’altro un esempio di cattivo giornalismo, ma generalizzare rischia di portare ulteriori danni: “La credibilità stessa agli occhi dei cittadini verrebbe meno se il controllo sull’informazione da parte di strutture esterne si acuisse”.

“Da americana mi rendo conto – conclude Samela – che nel Regno Unito il controllo è già maggiore rispetto agli Stati Uniti, senza che ci sia bisogno di creare altri strumenti. Per esempio, la stampa inglese è già in qualche modo influenzata dalla famiglia reale. Se avessimo una foto di Michelle Obama in bikini i giornali americani la pubblicherebbero immediatamente e Internet impazzirebbe. Qua una foto di Kate è intoccabile, è ‘sotto controllo‘”.

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