il Ducato » Michele Nardi http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Michele Nardi http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Adsl Montesoffio: Gambini conferma l’accordo tra Esaway e Curia http://ifg.uniurb.it/2015/05/06/ducato-notizie-informazione/adsl-montesoffio-gambini-conferma-laccordo-tra-esaway-e-curia/73768/ http://ifg.uniurb.it/2015/05/06/ducato-notizie-informazione/adsl-montesoffio-gambini-conferma-laccordo-tra-esaway-e-curia/73768/#comments Wed, 06 May 2015 15:57:27 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=73768 [continua a leggere]]]> URBINO, 6 MAG –La zona del comune di Urbino che comprende le frazioni di Montesoffio e Ca’ Lagia avrà finalmente la sua copertura Adsl.

I lavori erano in stallo dal 2013 per via di un mancato accordo tra Esaway, società incaricata di installare la rete in provincia, e la Curia, proprietaria del terreno di Monte Spadaro su cui doveva sorgere l’antenna-ponte necessaria per raggiungere le zone non coperte.

A confermare l’intesa tra le parti è stato il sindaco Maurizio Gambini: “Ho ricevuto conferma telefonica lunedì. L’installazione è già cominciata e in pochi giorni l’antenna sarà funzionante”.

Secondo Esaway il motivo per cui non era ancora stato siglato un accordo era il canone d’affitto troppo alto richiesto dalla Curia per il terreno. Una richiesta che avrebbe impedito alla società di ricavare profitto dall’investimento. Secondo la Curia, invece, la ditta non aveva intenzione di incaricarsi delle spese per la gestione e l’eventuale rimozione dell’antenna.

 

Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/05/06/ducato-notizie-informazione/adsl-montesoffio-gambini-conferma-laccordo-tra-esaway-e-curia/73768/feed/ 0
Giornale radio delle 17:30 e delle 17.45 del 04/05/2015 http://ifg.uniurb.it/2015/05/04/senza-categoria/giornale-radio-delle-1730-del-04052015/73330/ http://ifg.uniurb.it/2015/05/04/senza-categoria/giornale-radio-delle-1730-del-04052015/73330/#comments Mon, 04 May 2015 17:22:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=73330 [continua a leggere]]]> Ascolta il giornale radio delle 17.30 del 4 maggio 2015

In studio Dania Dibitonto e Vincenzo Guarcello

Ha coordinato Michele Nardi

Ascolta il giornale radio delle 17.45 del 4 maggio 2015

In studio Gianmarco Murroni e Leonardo Grilli

Ha coordinato Libero Dolce

Sullo stesso argomento:

  • Nessun articolo sullo stesso argomento
]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/05/04/senza-categoria/giornale-radio-delle-1730-del-04052015/73330/feed/ 0
Tribunale di Urbino misure di sicurezza inesistenti – VIDEO http://ifg.uniurb.it/2015/05/02/ducato-online/tribunale-di-urbino-misure-di-sicurezza-inesistenti-video/73012/ http://ifg.uniurb.it/2015/05/02/ducato-online/tribunale-di-urbino-misure-di-sicurezza-inesistenti-video/73012/#comments Sat, 02 May 2015 06:40:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=73012 VIDEO Dopo la strage al tribunale di Milano, abbiamo passato una giornata al palazzo di giustizia di Urbino. Abbiamo intervistato il giudice Paolo Cigliola e l'avvocato Francesco Lamanna sulle carenti misure di vigilanza: assenti metal detector e guardie giurate a controllare l'ingresso LEGGI - La richiesta tre mesi fa, ma non ci sono fondi]]> URBINO – Dopo la tragica sparatoria al tribunale di Milano, siamo andati a verificare quali siano le misure di sicurezza al palazzo di giustizia di Urbino. All’entrata non c’è nessun tornello, metal detector o guardia giurata a vigilare. Tre mesi fa il tribunale aveva chiesto al Comune di mettere dei tornelli meccanici per permettere il passaggio di una persona per volta. Abbiamo intervistato il giudice di pace Paolo Cigliola e l’avvocato Francesco Lamanna.

Servizio di Ilenia Inguì e Michele Nardi


Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/05/02/ducato-online/tribunale-di-urbino-misure-di-sicurezza-inesistenti-video/73012/feed/ 0
La Resistenza sul grande schermo: a Fano intellettuali e partigiani sui sentieri del cinema http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/la-resistenza-sul-grande-schermo-a-fano-intellettuali-e-partigiani-sui-sentieri-del-cinema/72443/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/la-resistenza-sul-grande-schermo-a-fano-intellettuali-e-partigiani-sui-sentieri-del-cinema/72443/#comments Sun, 26 Apr 2015 09:43:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72443 VIDEO Cultura e Resistenza al centro della terza serata del Festival del giornalismo culturale. Dodici titoli sulla rappresentazione della cultura sono stati analizzati da Steve Della Casa e Giacomo Manzoli. Durante l'evento la proiezione di "Quando i tedeschi non sapevano nuotare", film sui partigiani emiliani e romagnoli]]> Giacomo Manzoli e Steve Della Casa durante il cineforum

Giacomo Manzoli e Steve Della Casa durante il cineforum

FANO – Cinema, cultura, tradizione e Resistenza. La terza serata del Festival del giornalismo culturale di Urbino e Fano si è chiusa con un mix di questi elementi. Il filo conduttore dell’evento è stato il cinema, inteso come mezzo per trasmettere la cultura e come strumento per raccontare la Resistenza.

Il critico cinematografico Steve Della Casa e il professore di cinema dell’Università di Bologna Giacomo Manzoli hanno condotto il pubblico attraverso dodici titoli che, secondo i relatori, hanno svolto un ruolo importante nella divulgazione della cultura. Ci sono pellicole sull’educazione e il rapporto tra docente e studente come Chiedo asilo di Marco Ferreri o Il rosso e il blu di Roberto Piccioni. Mentre il primo lungometraggio di Nanni Moretti Io sono un autarchico e Manhattan di Woody Allen raccontano la figura dell’intellettuale infelice. Una sintesi per mostrare come la cultura venga rappresentata e percepita nell’ambiente del cinema.

Eugenio Lio ed Elisabetta Sgarbi introducono "Quando i tedeschi non sapevano nuotare"

Eugenio Lio ed Elisabetta Sgarbi introducono “Quando i tedeschi non sapevano nuotare”

Per legare il Festival al 25 aprile è stato proiettato Quando i tedeschi non sapevano nuotare. Un film di Elisabetta Sgarbi, aiutata nella sceneggiatura da Eugenio Lio. Un lavoro che punta a ricostruire i momenti della Resistenza in una zona d’Italia dove questa non è mai stata ricordata nei manuali di storia: la Pianura padana e il delta del Po. Luoghi che, al contrario delle colline appenniniche, sono sempre stati considerati poco adatti per creare un movimento antifascista militante: il territorio non offriva nascondigli sicuri e c’erano troppe strade a facilitare gli spostamenti del nemico. Il film ricostruisce la Resistenza in quella zona attraverso interviste, documenti d’epoca e testimonianze di chi c’era. Sono tornati alla luce momenti come la liberazione di Bondeno, un’azione del febbraio 1945 realizzata da sole donne. Dalle acque del Po sono riemersi i ricordi di chi vide decine di tedeschi annegare tentando di attraversare il fiume con corde e funi durante la ritirata.

Prima della proiezione Loi ha sottolineato come il 25 aprile non sia veramente una festa unitaria. “L’Italia ha vissuto più fasi di resistenza. Molte zone d’Italia prima di questa data erano già libere dal nazifascismo. Questo ha creato diversi tipi di resistenza e diversi modi di fare resistenza. Tutto ciò ha influenzato il Paese nella fase post bellica. Alla cultura spetta il compito di spiegare e rendere chiare queste differenze evitando l’uniformazione tipica del messaggio televisivo”.

Riprese di Lucia Gabani
Intervista di Michele Nardi


Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/la-resistenza-sul-grande-schermo-a-fano-intellettuali-e-partigiani-sui-sentieri-del-cinema/72443/feed/ 0
Rai e la cultura nel servizio pubblico: l’opinione degli spettatori del Festival a Fano http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/rai-e-la-cultura-nel-servizio-pubblico-lopinione-degli-spettatori-del-festival-a-fano/72370/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/rai-e-la-cultura-nel-servizio-pubblico-lopinione-degli-spettatori-del-festival-a-fano/72370/#comments Sun, 26 Apr 2015 09:05:07 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72370 FANO – Produttori e conduttori di programmi televisivi e radiofonici sono alla ricerca di nuove strade per fondere i piani e creare nuove forme di comunicazione dei contenuti, che non si limitino a incontrare il gusto di audience limitate. Abbiamo chiesto l’opinione del pubblico fuori dal Teatro della Fortuna per  sulla qualità del servizio pubblico e se le piattaforme private sono in grado di proporre dei palinsesti più adeguati alle esigenze degli spettatori.


Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/rai-e-la-cultura-nel-servizio-pubblico-lopinione-degli-spettatori-del-festival-a-fano/72370/feed/ 0
Il Festival del giornalismo culturale a Fano. Massimo Seri: “Grande occasione, Marche da valorizzare” http://ifg.uniurb.it/2015/04/25/ducato-online/il-festival-del-giornalismo-culturale-a-fano-massimo-seri-grande-occasione-marche-da-valorizzare/72184/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/25/ducato-online/il-festival-del-giornalismo-culturale-a-fano-massimo-seri-grande-occasione-marche-da-valorizzare/72184/#comments Sat, 25 Apr 2015 10:41:10 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72184 Il sindaco di Fano, Massimo Seri

Il sindaco di Fano, Massimo Seri

FANO – Da Raffaello a Vitruvio. Il Festival del giornalismo culturale scende da Urbino per arrivare a Fano, nel suo teatro della Fortuna. Per la prima volta l’evento si sviluppa su due centri. E proprio su questo aspetto il sindaco di Fano, Massimo Seri ha insistito nel suo intervento di apertura della terza giornata del Festival. “Si tratta di un valore aggiunto, spesso ragioniamo per confini territoriali, oggi invece abbiamo colto un’occasione importante per valorizzare un territorio di grande valore culturale che va oltre il singolo comune”.

Valorizzare. Le Marche non sembrano molto toccate dall’attenzione della cultura italiana e dai suoi media. “Si è vero –ammette Seri- è un atteggiamento che andrebbe cambiato perché la nostra regione merita più visibilità. La colpa è anche nostra, non siamo stati in grado di dare valore ai tanti tesori che abbiamo tra le mani. Per questo è importante il Festival: noi amministratori dobbiamo capire come meglio utilizzare gli strumenti di comunicazione a nostra disposizione”.

Video di Antonella Scarcella

Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/25/ducato-online/il-festival-del-giornalismo-culturale-a-fano-massimo-seri-grande-occasione-marche-da-valorizzare/72184/feed/ 0
Cinquanta anni in vasca per il professor Bovi: “Ma ogni giorno i ragazzi mi insegnano qualcosa” http://ifg.uniurb.it/2015/04/22/ducato-online/cinquanta-anni-in-vasca-per-il-professor-bovi-ma-ogni-giorno-i-ragazzi-mi-insegnano-qualcosa/71614/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/22/ducato-online/cinquanta-anni-in-vasca-per-il-professor-bovi-ma-ogni-giorno-i-ragazzi-mi-insegnano-qualcosa/71614/#comments Wed, 22 Apr 2015 21:34:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71614 Il rettore dell'Università degli Studi di Urbino Vilberto Stocchi premia il professor Giuseppe BoviURBINO – “È come un padre”, “un maestro incredibile e carismatico”. Per chi era ieri pomeriggio a festeggiarlo Giuseppe Bovi è questo. Studenti universitari, bambini, rappresentanti federali e anche il rettore dell’Università di Urbino Vilberto Stocchi erano in sala per salutare il professor Bovi. Un professore serio, duro ma buono come il pane che ha insegnato agli urbinati a nuotare. Insegnante di nuoto all’Isef di Urbino e docente per il Settore tecnico della Federazione italiana nuoto, si è celebrato al collegio Raffaello il suo cinquantesimo anniversario di attività.

Un percorso che comincia tanto tempo fa, negli anni ’60. “Come ogni pesarese – confida Bovi al Ducato – avevo una forte passione per il basket e per il nuoto. Quando iniziai io, l’Isef non era una laurea e c’era solo una piscina coperta di 20 metri quadrati. Erano altri tempi”.

“Ho sempre lavorato in piscina. Sono diventato istruttore federale e ho iniziato a lavorare qua a Urbino all’Isef a 27 anni. Ho scritto cinque libri e fondato la Robur Tiboni Volley – continua Bovi- ma quello che mi ha fatto stare in vasca per tutto questo tempo è stato principalmente insegnare ai bambini a nuotare”.

Proprio il suo modo di intendere il nuoto lo ha reso noto nel settore. È stato uno dei primi in Italia a intendere il nuoto come una disciplina educativa e non solo un modo di formare fisicamente gli allievi in vista dell’agonismo. “Nei primi anni mi colpiva molto vedere i bambini piangere a bordo piscina. Mi chiedevo il perché di questa paura, per me il nuoto era una cosa bella” afferma Bovi. “Questo desiderio di capire mi ha portato a iscrivermi a sociologia e a pedagogia. Così ho sviluppato un approccio metodologico al nuoto che partisse dal bambino”.

Molti studenti del professor Bovi erano presenti all'eventoQuesta passione si è tradotta in anni di insegnamento “al cui centro metto il rapporto meraviglioso con i miei studenti. Certo, li boccio e mi arrabbio perché studiano poco –sorride il prof – ma lo faccio solo per farli comprendere fino in fondo le cose”.

Una carriera di alto livello e piena di soddisfazioni, ma dopo cinquant’anni forse gli stimoli cominciano a scemare. Al professore brillano gli occhi: “Neanche per sogno. Io posso solo ringraziare i bambini che accompagno in vasca la prima volta. Loro mi hanno insegnato e mi insegnano ogni giorno qualcosa di nuovo. A colpirmi quotidianamente sono il loro stupore e la sorprendente razionalità con cui ti seguono in acqua”.

Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/22/ducato-online/cinquanta-anni-in-vasca-per-il-professor-bovi-ma-ogni-giorno-i-ragazzi-mi-insegnano-qualcosa/71614/feed/ 0
Settecento morti nel Canale di Sicilia, “La stagione dei barconi non è nemmeno cominciata” http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/settecento-morti-nel-canale-di-sicilia-la-stagione-dei-barconi-non-e-nemmeno-cominciata/71144/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/settecento-morti-nel-canale-di-sicilia-la-stagione-dei-barconi-non-e-nemmeno-cominciata/71144/#comments Sun, 19 Apr 2015 14:19:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71144 VIDEO All'incontro "I volti umani dell'immigrazione" durante il Festival del giornalismo, Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre parla della nuova strage di migranti davanti alla costa libica: "La stagione dei barconi non è ancora cominciata". Assieme a lui anche Suleman Diara, maliano, che il viaggio attraverso il Mediterraneo lo ha vissuto sulla propria pelle]]> Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre per i migranti

Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre per i migranti

PERUGIA – Settecento morti in una sola notte, tra il 18 e il 19 aprile. Siamo all’inizio della primavera, quindi “la stagione dei barconi non è ancora cominciata”. Il naufragio, che si è consumato a 70 chilometri dalle coste della Libia (un peschereccio di 30 metri si sarebbe ribaltato mentre arrivava una nave cargo a soccorrerli) potrebbe essere la più grande tragedia nella storia dell’immigrazione del Mediterraneo. Chi pensava che i 366 morti del 3 ottobre 2013 sarebbero stati impossibili da superare, oggi deve ricredersi.

All’incontro “I volti umani dell’immigrazione” durante l’ultima giornata del Festival del giornalismo di Perugia, era presente anche Tareke Brhane, presidente del comitato 3 ottobre, nato in memoria della tragedia del 2013: “Per loro viaggiare era un sogno per il loro futuro e per quello dei loro figli. A quante vittime vogliamo arrivare per smuovere la nostra umanità? Questa gente ha bisogno di una risposta immediata. Di protezione. Vogliono garanzie di poter uscire di casa domani senza esser rapiti e violentati. Non si può continuare a fare allarmismo su quanta gente stia arrivando e quanta ne sia già morta. Le stagioni vere degli sbarchi non sono ancora iniziate. ”

Su questa nuova tragedia Brhane non risparmia critiche all’Occidente e lancia un messaggio: “Dobbiamo prima preservare la vita delle persone, poi i confini. È una vergogna per tutta la Comunità europea perché parliamo di persone costrette, non hanno una scelta. Dal 3 ottobre a oggi almeno 6000 persone sono morte tentando di arrivare sulle coste italiane. Donne, bambini, uomini con sogni e voglia di sopravvivere. Per questo noi abbiamo proposto la giornata della memoria per i migranti”.

Quello che è successo riguarda anche i sistema di controllo e soccorso nel Canale, come Triton: “Serve un progetto a lungo termine da cui ottenere dei risultati. Non è sempre possibile intervenire nei paesi di provenienza o di transito. Come si può ad esempio intervenire in Siria se ci sono i bombardamenti? Io l’anno prossimo non so se Triton verrà rinnovata o no – conclude Brhane – ma certamente serve una politica di immigrazione comunitaria”.

All’inicontro era stato chiamato a intervenire anche Suleman Diara, in Italia dal 2008, che il viaggio attraverso il Mediterraneo lo ha vissuto sulla propria pelle: “Il fatto che la Comunità Europea investa i soldi in Libia o Algeria non è sufficiente perché in questi paesi c’è una forte corruzione che non indirizza nel modo giusto i fondi occidentali. Quando sono arrivato a Roma, trovandomi in difficoltà ho creato questa cooperativa con cui produciamo lo yogurt e che mi è stata utile per imparare la lingua. La condivisione è fondamentale tra i migranti perché spesso gli italiani non ci aiutano”.

La conferenza. “I volti umani dell’immigrazione” è stato un incontro dedicato all’ascolto di alcune storie di “nuovi italiani” che sono riusciti, non senza fatica, ad integrarsi nella nostra società. Le loro storie sono delle odissee moderne. Testimonianze di un viaggio troppo spesso senza fine, come nel caso di questa notte.

“Pensavamo di favorire la memoria della tragedia del 3 ottobre – spiega Luca Attanasio, giornalista freelance e moderatore dell’incontro – invece dobbiamo rivedere questi numeri in eccesso. E’ una strage che urla il dolore di una parte del mondo e il mondo più ricco deve fare qualcosa per accogliere queste persone. Non si tratta di essere di destra o sinistra ma di applicare delle direttive comunitarie che esistono. “Mare Nostrum – continua Attanasio – è stata un’operazione che ha mostrato il lato umano del nostro paese. Non possiamo però dimenticare che mentre era attivo sono morte comunque 3.400 migranti nel Mediterraneo. Non era quindi sufficiente così come non lo è Triton. Bisogna pensare a delle misure che comprendano canali umanitari e che intervengano direttamente nel paese da cui partono queste persone per vagliarne la richiesta di asilo”.

Durante il convegno è intervenuto anche Michele Cercone, portavoce della Commissione Europea, che ha difeso le azioni messe in atto dalle istituzioni comunitarie: “La legislazione su questo tema esiste ed è anche molto completa, il problema è che in alcuni paesi funziona meglio e in altri di meno. Oggi gli immigrati regolari hanno gli stessi diritti dei cittadini europei e questo è possibile solo grazie ad un percorso di riforme che abbiamo portato avanti nel corso degli anni”. Cercone riconosce le evidenti difficoltà, sopratutto nell’area del Mediterraneo, causate dalle crisi politiche ed economiche nei paesi di provenienza ma allo stesso tempo difende il ruolo dell’UE: “Si parla di un’Italia abbandonata a se stessa dall’Europa, ma la Commissione ha stanziato 530 milioni di euro tra il 2007 e il 2013 e ne concederà altrettanti fino al 2020. Magari non risolvono il problema, ma sono comunque cifre importanti”.

Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/settecento-morti-nel-canale-di-sicilia-la-stagione-dei-barconi-non-e-nemmeno-cominciata/71144/feed/ 0
Network di giornalisti di inchiesta svela gli affari della mafia che investe in Africa http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/network-di-giornalisti-di-inchiesta-svela-gli-affari-della-mafia-che-investe-in-africa/71097/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/network-di-giornalisti-di-inchiesta-svela-gli-affari-della-mafia-che-investe-in-africa/71097/#comments Sun, 19 Apr 2015 11:04:22 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71097 Screenshot-2015-04-19-11.58PERUGIA – La linea della palma, la penetrazione della mafia nel territorio italiano – diceva Sciascia – si va spostando poco a poco ma di continuo verso il nord Italia. Ma quella linea si è spostata anche verso sud, ha attraversato il deserto del Sahara ed è arrivata fino in Sudafrica. Lo ha messo in luce un’inchiesta internazionale, condotta da un network di giornalisti investigativi, seguendo le tracce di diamanti e soldi che lascia muovendo i suoi affari verso l’Africa, e che ha portato a scoprire un giro di denaro, terre e uomini nascosto ma non per questo trascurabile.

L’idea non nasce a Palermo o a Tunisi, ma in un pomeriggio a Londra. Un gruppo di freelance italiani, membri dell’International reporting project Italy e specialisti del giornalismo investigativo, partendo da due righe di un rapporto della Direzione nazionale antimafia sulla criminalità in Tunisia cominciano a cercare casi d’infiltrazione mafiosa nel continente. Le autorità italiane stimano un giro d’affari per 26 miliardi di dollari ma per il gruppo di giornalisti quella cifra non è che la “superficie del potere economico della mafia in Africa”.

Insieme a Stefano Gurciullo, direttore di quattrogatti.info, provano a capire quanto la mafia incassi dai mercati illeciti. Si concentrano su due piste, una in Kenya e l’altra in Sudafrica ma l’indagine interessa 13 paesi. L’inchiesta si chiama “Mafia in Africa”. La pista sudafricana li porta sulle tracce di Vito Palazzolo, il cassiere della mafia originario di Terrasini, implicato in una varietà di affari notevole, e del meccanismo con cui ricicla capitali.

I dati da elaborare sono molti e l’inchiesta finirà con l’impegnare dieci giornalisti investigativi da sei diversi Paesi, un data journalist e un data scientist, tre editori e altre figure per controllare qualità e precisione del lavoro svolto. Ad affiancare l’Irpi c’è l’African network of centers for investigative reporting. Il network africano fornirà le prime fonti sul posto da cui partire per il lavoro d’inchiesta. “Per noi il fatto che ci siano una serie di partner transnazionali con cui potersi scambiare informazioni e notizie è fondamentale. Senza non potremmo fare il lavoro che facciamo”, spiega Cecilia Anesi di Irpi.

Il team si divide in due squadre, una segue la pista delle infiltrazioni in Kenya ma i contatti trovati in prima persona sul posto, senza una mediazione locale, li hanno portati su un binario morto. In Sud Africa l’accesso ai documenti si è rivelato più semplice che in Kenya.

Accedere a documenti di indagine e avere a che fare con la burocrazia per esempio in Sudafrica non è facile per un giornalista straniero. Lo stesso si può dire per l’Italia. La collaborazione tra le varie realtà del network permette di superare questo tipo di ostacoli: “Quando un giornalista straniero ha bisogno di alcuni documenti da una procura italiana – spiega Cecilia – noi gli facciamo da intermediari. Immaginate quanto possa essere difficile per chi non parla la lingua ottenere qualcosa qui”.

Per questo ad Irpi sono particolarmente fieri di essere i primi in Italia a proporre un modello di giornalismo investigativo che prende a esempio quello anglosassone. Collaborazione con altre testate, verifica scrupolosa delle fonti, lasciare a chiunque sia coinvolto nell’inchiesta la possibilità di esprimere il suo punto di vista.

Accumulati i dati bisogna però passarli al setaccio, lasciare indietro le scorie e verificare l’attendibilità di quel che s’intende pubblicare. Editor e direttori fanno un lavoro di controllo per evitare i rischi di denuncia che sempre accompagnano questo tipo di lavoro. Lavorare in un network dà un vantaggio: i controlli sono maggiori e le informazioni sono valutate da esperti di più settori. Avvocati, informatici e altre figure.

Una volta svolto un fact-cheking completo bisogna fare un passaggio ulteriore prima di pubblicare. Calcolare i rischi che un lavoro può portare a sé e alla propria redazione. “Per ogni storia che si sta seguendo va fatta una valutazione a priori del rischio e dei soggetti a cui potresti pestare i piedi”. A partire da questa valutazione si stabiliscono anche le misure a cui attenersi per rendere il proprio lavoro sicuro per sé e per le proprie fonti. E le precauzioni da adottare per rendere i propri dati e informazioni impenetrabili attraverso la crittografia. “Chi tratta di mafia – continua Cecilia Anesi – sa bene che per quanto sia un’organizzazione potente non si correrà il rischio di venire intercettati per mano sua. Invece in Sudafrica è molto più facile. Chiunque infatti può noleggiare una security farm con la quale può intercettarti”.

Inchieste di questo tipo richiedono impegno e mesi di lavoro. Per questo Irpi sul suo sito dichiara di finanziarsi in modo alternativo “proponendo progetti a charities, cioè a enti benefici, e a primarie fondazioni internazionali, europee o americane, che hanno a cuore il futuro del giornalismo investigativo e nei loro statuti prevedano di sostenerlo”.

Per ogni inchiesta si parte da zero. Non c’è una regola fissa e ogni lavoro richiede una chiave da proporre al pubblico. Scrivendo per un network internazionale bisogna far sì che le storie siano interessanti per il pubblico americano come per quello tedesco, che hanno sensibilità diverse. “Noi siamo giornalisti come gli altri, dobbiamo vendere le nostre storie –dice Lorenzo Bagnoli, altro membro di Irpi- e renderle interessanti e comprensibili per tutti è la nostra sfida. Sulla mafia in Africa siamo appena all’inizio”.

Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/network-di-giornalisti-di-inchiesta-svela-gli-affari-della-mafia-che-investe-in-africa/71097/feed/ 0
Moderare i commenti: un duro lavoro, ma qualche giornalista deve pur farlo http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/moderare-i-commenti-un-duro-lavoro-ma-qualche-giornalista-deve-pur-farlo/71040/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/moderare-i-commenti-un-duro-lavoro-ma-qualche-giornalista-deve-pur-farlo/71040/#comments Sat, 18 Apr 2015 15:00:02 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71040 UGC e news online: il buono, il brutto e il cattivissimo

Ugc e news online: il buono, il brutto e il cattivissimo

PERUGIA – I commenti dei lettori agli articoli pubblicati online sono una preziosa risorsa o una perdita di tempo? È la domanda che si stanno ponendo gli stessi giornalisti digitali. I lettori parlano, criticano (a volte insultano), integrano i contenuti, aggiungono valore al testo.

Per le redazioni si tratta di lavoro in più: gestire questo flusso di informazioni e opinioni trasforma il giornalista in un vero e proprio moderatore. Alcune testate hanno assunto nuovo personale proprio per “regolare il traffico” ma per farlo bisogna necessariamente investire. Ecco perché spesso gli editori preferiscono eliminare i commenti, ma neppure questa può essere la soluzione in un’informazione che è sempre più interattiva e ha un pubblico che vuole partecipare e dialogare con chi scrive, con la sua testata di riferimento.

La britannica Bbc e gli americani Washington Post e New York Times  sono alla ricerca di un compromesso. Commenti aperti, ma con il filtro. Bbc usa un algoritmo che filtra automaticamente i commenti e solo in determinati casi richiede l’intervento di un moderatore umano. I due giornali statunitensi hanno invece avviato un progetto in collaborazione con Mozilla chiamato Coral Project. L’obbiettivo è quello di creare un software open source creato dagli editori per gli editori per ottimizzare le interazioni tra le redazioni e il proprio pubblico. L’idea che sta alla base del progetto è che i commenti possono essere classificati in base alla qualità del loro contenuto. “Noi del Washington Post – dice Greg Barber, responsabile del progetto – diamo troppo spazio a chi ci offende mentre dovremmo dedicarne di più a chi scrive cose intelligenti. Gli utenti più fedeli sono proprio questi, che vanno incentivati a dire la loro opinione. Per noi è molto importante”.

Il punto è proprio il rapporto con i lettori. Per Luca Sofri, direttore de Il Post bisogna scegliere tra la qualità del lavoro giornalistico e il tempo da dedicare a chi commenta gli articoli. Secondo Sofri dedicare troppa attenzione a chi commenta non vale l’investimento in termini di tempo e di risorse che una redazione deve impiegare. “Sul nostro sito la maggior parte dei commenti rispecchia la qualità della nostra testata, questo è il motivo per cui li moderiamo quasi sempre. Tutto ciò, in un contesto in cui i contributi di qualità sono solo una minima parte rispetto a tutti i commenti inutili e offensivi che compaiono sotto tanti articoli in giro per il web”.

Tutto è commentabile ma non tutto è pubblicabile secondo Alessio Balbi, responsabile dell’area social di Repubblica.it. “I contributi dei nostri lettori vengono interamente moderati, controlliamo che non ci siano contenuti offensivi prima di dare il via libero”.

Molti editori hanno pensato di risolvere il problema semplicemente impedendo ai lettori di commentare sul proprio sito, lasciando questa possibilità ai social network.

È il caso di testate come Bloomberg Business e Reuters, che hanno demandato il ruolo di “forum” ai social network che, per definizione, si prestano alla conversazione e al commento. Ma la tendenza è ancora poco significativa. I giornalisti, infatti, tendono a non moderare i commenti alla pagina Facebook o su Twitter del proprio giornale. Gli editori dimenticano che nella percezione dei lettori scrivere un commento sul sito o sulla pagina social spesso sono la stessa cosa.

I commenti sono solo una tipologia di User generated content (Ugc), tutto il materiale prodotto dagli utenti e non dai professionisti dell’informazione. Contenuti che spesso sono le stesse testate a chiedere ai propri lettori (soprattutto in caso di eventi di cronaca o catastrofi naturali) e che integrano video, audio, immagini, informazioni. L’altro canale da cui attingere sono i social network. I dati sono impressionanti: in un monitoraggio sulle homepage dei principali giornali del mondo realizzato dal centro di ricerca EyeWitness Media Hub, durato tre settimane nell’estate del 2014, si è scoperto che su 27.802 articoli 4.974 contengono Ugc.

Con questo tipo di contenuti, però, più che moderare sono le testate a doversi auto-moderare. Da una così immensa mole di informazioni non si può infatti attingere in modo indiscriminato né senza autorizzazioni. Secondo l’avvocato Matteo Jori, esperto di nuove tecnologie e nuovi media, i problemi emersi sono di due ordini: il diritto d’autore e la privacy delle persone. “Spesso le testate si appropriano di foto e video postati sui social senza preoccuparsi di specificare chi li ha prodotti, questo viola i diritti dell’autore che nella maggior parte dei casi, 84%, chiede solo di essere indicato come fonte, senza pretendere compensi”, spiega Jori. Sono tre i casi in cui in Italia è possibile usare liberamente contenuti trovati online:

  • devono contenere informazioni di interesse pubblico;
  • essere di stringente attualità;
  • rientrare nel diritto di cronaca

Quello della privacy è un tema ancora più urgente: succede spesso che foto di privati cittadini finiscano sui principali canali di informazione perché magari ritraggono sullo sfondo personaggi famosi.

E’ quello che è successo a Maddy Campbell, una ragazza australiana il cui profilo Instagram è stato pubblicato su Nine News, un importante canale televisivo australiano, sul Sidney Morning Herald e sul Daily Mail solo perché in una sua foto compariva Redfoo, componente del duo musicale Lmfao.

Sullo stesso argomento:

]]>
http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/moderare-i-commenti-un-duro-lavoro-ma-qualche-giornalista-deve-pur-farlo/71040/feed/ 0