il Ducato » Risultati della ricerca » equo compenso http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Risultati della ricerca » equo compenso http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Scuole di giornalismo, Iacopino: “Nuovo quadro di indirizzi”. Da maggio più web nei programmi http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/scuole-di-giornalismo-iacopino-nuovo-quadro-di-indirizzi-da-maggio-piu-web-nei-programmi/71143/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/scuole-di-giornalismo-iacopino-nuovo-quadro-di-indirizzi-da-maggio-piu-web-nei-programmi/71143/#comments Sun, 19 Apr 2015 15:05:45 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71143 INTERVISTA VIDEONel Consiglio nazionale di maggio l’Ordine nazionale modificherà le direttive al quale i corsi riconosciuti devono fare riferimento, potenziando il lavoro sul digitale. ha anticipato al Ducato il presidente dell'Ordine dei giornalisti. Sull'equo compenso bocciato dal Tar del Lazio: "Retribuzioni da fame. Io non sono ottimista però qualche segnale positivo c’è"]]> PERUGIA – Più nozioni di giornalismo digitale nelle scuole di giornalismo: nel Consiglio nazionale di maggio l’Ordine nazionale modificherà il quadro di indirizzi al quale i corsi riconosciuti devono fare riferimento. Lo ha anticipato al Ducato il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino al Festival di Perugia che ha rassicurato sull’intenzione di potenziare l’insegnamento del giornalismo digitale: “Dobbiamo garantire ai giovani una preparazione che offra loro delle opportunità reali. Gli spazi sono pochi, se dobbiamo lasciare le innovazioni alla buona volontà di qualche master… proveremo a dare delle indicazioni più incisive sulle materie di formazione”.

Equo compenso per i giornalisti. Ad aprile il Tar del Lazio ha accolto il ricorso fatto dall’Ordine contro il tariffario approvato dalla federazione della stampa (Fnsi) in sintonia con la federazione degli editori (Fieg). “Quelle retribuzioni erano da fame – continua Iacopino – e non garantivano ai giornalisti di vivere. Io però non sono ottimista perché credo che la complicità fra Fnsi e Fieg non sia finita”. Ammette però che qualche segnale positivo c’è.

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Equo compenso per i giornalisti, primo passo in commissione http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/equo-compenso-per-i-giornalisti-primo-passo-in-commissione/55965/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/equo-compenso-per-i-giornalisti-primo-passo-in-commissione/55965/#comments Wed, 29 Jan 2014 15:48:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=55965 LEGGI Figli di un'editoria minore]]> precari_stanca-e1386155609929

Equo compenso per tutti. O meglio, equo compenso per tutti – Atto primo. Stamattina la Commissione all’interno del dipartimento dell’Editoria ha approvato, con sei voti su sette, la delibera quadro che stabilisce che le modalità di attuazione dei compensi minimi per i giornalisti non subordinati.

È un primo passo concreto per l’applicazione della legge 233/2012 che stabilisce la remunerazione proporzionata alla quantità e al lavoro svolto da tutti i freelance e gli autonomi che svolgono lavoro non dipendente nelle testate giornalistiche nazionali, a più di un anno dall’entrata in vigore della norma.

A favore della delibera sei componenti della Commissione: il sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, il presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti Italiani) Andrea Camporese, il segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Giovanni Rossi, Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, oltre che Paola Urso, rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Eva Spina, rappresentante del Ministero dello sviluppo economico. Unica astenuta durante la votazione la Fieg, Federazione italiana editori giornali

“Si tratta di una decisione molto importante – ha commentato il Sottosegretario Legnini – che andrà completata con la definizione dei parametri numerici dell’applicazione dell’equo compenso. Mi auguro che l’astensione costruttiva delle parti datoriali possa preludere ad una definizione positiva anche della seconda ed ultima decisione che dovrà essere assunta”. Tradotto: sarà possibile terminare i lavori solo se gli editori, come in questo caso, non ostacoleranno i prossimi passaggi.

Rimangono, infatti, da approvare le tabelle contenenti i compensi minimi (fermi al momento al 2007), che dovranno essere prodotte entro il 28 febbraio. Sui parametri economici relativi alle retribuzioni minime dei giornalisti non dipendenti la parola definitiva arriverà il prossimo 10 marzo.

iacopino

Il “tutti” in maiuscolo nel post scritto da Iacopino sul suo profilo Facebook, una volta conclusa la riunione della Commissione non è casuale. Nei giorni scorsi, infatti, era nata una polemica tra il presidente dell’Ordine  e la Fnsi. Il sindacato dei giornalisti voleva escludere dalle tabelle riguardanti i pagamenti minimi, i lavoratori autonomi. “Cioè quasi tutti – ha spiegato al Ducato lo stesso Iacopino – perché quelli che attualmente non sono autonomi, che hanno cioè un contratto parasubordinato, se passa questa interpretazione, non lo vedranno rinnovato”. Gli editori infatti potrebbero aggirare l’obbligo dell’equo compenso, chiedendo ai lavoratori parasubordinati di aprire una partita Iva.

Ma è la legge stessa che definisce la platea di giornalisti cui è rivolta

“In attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge e’ finalizzata a promuovere l’equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo di cui all’articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive”.

Mentre assegna alla Commissione due compiti diversi

  • Definire il compenso minimo per i giornalisti
  • Compilare un elenco di tutte le pubblicazioni (quotidiani, periodici, anche telematici, agenzie stampa, emittenti radiotelevisive) che garantiscono l’equo compenso

LEGGI ANCHE - Figli di un’editoria minore: il compenso per i giornalisti non dipendenti è meno equo

Inoltre la legge 233/2012 prevedeva sia che la Commissione venisse istituita entro trenta giorni dall’entrata in vigore (era il 31 dicembre 2012), sia che questa valutasse i parametri numerici dell’equo compenso entro due mesi dall’insediamento. Da allora di tempo ne è passato.

Un primo passo, anche se tardivo, comunque importante: “L’abolizione della schiavitù – ha scritto oggi sul suo profilo Facebook Enzo Iacopino  – non fa sparire d’incanto i negrieri. Ma per loro sarà molto più dura negare i diritti a chi lavora. Sarà dura anche per quegli editori che non accedono alle varie forme di finanziamento pubblico. I magistrati hanno, adesso, dei riferimenti molto precisi”.

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Figli di un’editoria minore: il compenso per i giornalisti non dipendenti è meno equo http://ifg.uniurb.it/2014/01/15/ducato-online/equo-compenso-giornalisti-iacopino/54445/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/15/ducato-online/equo-compenso-giornalisti-iacopino/54445/#comments Wed, 15 Jan 2014 14:55:45 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=54445 combo_internaURBINO –  Che differenza c’è tra un giornalista autonomo di una testata cartacea e quello di una testata online? La differenza è che il primo con i suoi articoli potrebbe arrivare a guadagnare più del doppio rispetto al suo collega 2.0. È uno dei punti controversi del dibattito sull’equo compenso per giornalisti freelance e collaboratori autonomi, che si trascina ormai da tempo. Più di un anno fa era stata adottata la legge 233/2012 che ancora oggi non ha trovato piena applicazione. Era stata anche istituita una Commissione all’interno del dipartimento Editoria della presidenza del Consiglio che avrebbe dovuto aggiornare i parametri economici relativi alle retribuzioni minime dei giornalisti non dipendenti, fermi al 2007. Così è stato: i tariffari sono stati stilati, ma l’accordo tra giornalisti ed editori non è stato ancora raggiunto.

Guardando alla nuova tabella dei compensi minimi, pubblicata dall’Ordine dei giornalisti, si nota una significativa differenza, in termini economici, tra le varie tipologie di produzione giornalistica: take di agenzia, fotonotizie, servizi radiofonici, ecc. Tale diversità emerge, ad esempio, tra ciò che verrebbe corrisposto per un articolo destinato al cartaceo (100 euro) e uno realizzato per una testata online (40 euro).

Chi scrive per il web è figlio di un’editoria minore? Come si giustifica questa disparità di trattamento? “Perché si dovrebbe giustificare?”, risponde il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino. Dopo aver sottolineato che esiste una differenza sostanziale che riguarda la disponibilità economica delle diverse testate, dei diversi media, e “una valutazione dei costi dell’avviamento” del tipo di produzione editoriale, ha aggiunto: “È naturale che un articolo scritto per un quotidiano delle dimensioni del Corriere della Sera abbia un compenso diverso rispetto a uno scritto per l’online. Anche perché se aggiorni cinque volte lo stesso pezzo, in teoria, non ti verrebbero corrisposti 40 euro ma 200, dato che l’aggiornamento implica un intervento di lavoro che va compensato. Magari non a prezzo pieno, ma va compensato”.

Come si è detto, per il momento l’accordo sui pagamenti minimi è slittato, se ne riparlerà il prossimo 27 gennaio. Motivo del disaccordo non è la tabella in sé, ma chi ne beneficerebbe. Questo documento, spiega Iacopino, “era stato preparato da due gruppi dell’Ordine: quello dei precari freelance e quello della Carta di Firenze. Il 3 gennaio c’è stato un incontro con il segretario e il presidente della Fsni (Federazione nazionale stampa italiana, ndr), che è anche presidente della Commissione lavoro autonomo. Avevamo convenuto che questa fosse la base comune per un confronto con la Federazione italiana editori giornali (Fieg), in sede di Commissione equo compenso”.

Una posizione condivisa che però sembra esser venuta meno, parzialmente, durante la riunione di due giorni fa, quando c’è stato un repentino cambio di rotta da parte della Fnsi. “Il cambiamento – chiarisce il presidente dell’Ordine – riguarda chi è inserito in quella tabella. Il testo che la Fnsi voleva inserire in delibera durante la riunione escludeva i lavoratori autonomi, cioè quasi tutti. Perché quelli che attualmente non sono autonomi, che hanno cioè un contratto parasubordinato, alla scadenza dello stesso, se passa questa interpretazione, non lo vedranno rinnovato. È evidente, perché se li togli fuori dai minimi…”. In altre parole, Iacopino spiega che tirar fuori dai minimi tariffari gli autonomi equivale a dire agli editori di non rinnovare alla scadenza tutti i contratti in essere, invitando i colleghi ad aprire una partita Iva, “un modo perfetto per aggirare l’equo compenso”.

Il documento di cui si parla, “scritto dalla direzione generale della Fieg, e poi accettato dalla Fsni”, recita: “Per i rapporti di lavoro, i quali, in ragione della completa autonomia di svolgimento della prestazione, sono qualificabili a pieno titolo come autonomi il compenso professionale non si presta ad essere assoggettato ai minimi tariffari, ma resta affidato alla libera contrattazione delle parti, anche nell’ambito di linee guida opportunamente dall’ordinamento professionale”.

Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti un accordo così concepito non s’ha da fare perché “vanifica di fatto la legge sull’equo compenso”. E aggiunge: “Sono sconcertato del fatto che la Fsni non abbia colto il significato di quella proposta della Fieg”. Già lunedì Enzo Iacopino aveva espresso su Facebook il suo disappunto: “Hanno tentato di convincermi in ogni modo che la proposta era conveniente. Per chi? Per gli editori, senza dubbio”. E ancora: “La libera contrattazione si può fare tra parti eguali, non tra giornalisti sfruttati e editori”. È questione di un comma, uno solo, ma cruciale e per trovare una soluzione si terrà una nuova riunione il 27 gennaio. E se il giorno seguente la Commissione non dovesse trovare un accordo, una proposta di retribuzioni condivise, il governo entro il 10 marzo ne presenterà una sua alla stessa commissione per l’approvazione, eventualmente a maggioranza.

Precariato e paghe vergognose sono molto comuni tra i giornalisti. Da qui l’urgenza di mettere nero su bianco un sistema che argini lo sfruttamento della categoria. I numeri parlano chiaro: su 106 mila giornalisti iscritti all’Ordine, solo il 19,1% ha un contratto di lavoro dipendente, 1 su 5, mentre la restante parte, migliaia di colleghi, viene pagata una miseria. “Anche 50 centesimi ad articolo”, sottolinea Enzo Iacopino. Certo, c’è anche chi riesce ad ottenere compensi significativamente più alti, anche a tre cifre. Ma sono in 14.000 ad avere redditi inferiori a 5.000 euro annui lordi. Un lavoratore autonomo o parasubordinato su cinque dichiara compensi compresi tra lo zero e i mille euro all’anno, per una retribuzione media di 433 euro per 2.096 Co.co.co e 477 euro per 3.231 “liberi professionisti” (rapporto Lsdi). Qual è invece il compenso per un “articolo 1”, un assunto? I dati li fornisce l’Fnsi: un redattore con più di 30 mesi ha una retribuzione lorda di 2.177,84 euro mensili (circa 83 euro al giorno); uno con meno di 30 mesi 1.551,61.

I lavoratori hanno diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, lo dice la Costituzione. E 50 centesimi ad articolo non evocano il concetto di dignità, piuttosto ricordano fame e precarietà. E gli editori possono non essere a conoscenza di questa situazione? Iacopino su Facebook scrive: “Bisogna impedire che si comportino come negrieri. Hanno bisogno degli schiavi perché senza di loro i giornali non andrebbero in edicola”.

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Legnini: “Equo compenso anche senza editori, è il mio dovere” http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/#comments Wed, 12 Jun 2013 07:01:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50786 Ducato: l'importanza dell'accordo sulle tariffe minime per i freelance ("ma se serve più tempo, va concesso"), l'ipotesi di un accordo con Google e l'importanza dell'Ordine dei giornalisti]]>

Il sottosegretario con delega all’editoria Giovanni Legnini

L’equo compenso va attuato con o senza gli editori. Giovanni Legnini, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all’editoria, sente pesare sulle spalle il dovere dell’attuazione della legge che dovrebbe garantire dei compensi minimi ai freelance. Una legge approvata a gennaio, che prevedeva entro tre mesi i primi risultati, e ad oggi è ancora inattuata.

Legnini vorrebbe tempi brevi e l’accordo di tutte le parti. Un’utopia? Gli abbiamo chiesto come intende muoversi nel mare di questo e degli altri problemi dell’editoria italiana: contributi pubblici alle testate, accordo con Google, crisi della stampa, controllo dell’informazione online e abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Legnini parla della notizia come di una “merce preziosissima” e crede nell’Ordine come la migliore tutela dell’attività giornalistica.

Sottosegretario Legnini, la commissione che dovrebbe definire l’equo compenso per i giornalisti precari non riesce a riunirsi per la mancanza di un delegato unico degli editori. Come pensa di risolvere il problema?
Abbiamo parlato con gli editori per persuaderli a sbloccare questa situazione e abbiamo ricevuto una certa disponibilità. La Commissione è stata riconvocata per giovedì 13 giugno: lì vedremo se questa volontà è concreta. Se dovesse persistere la diserzione, noi andremo avanti ugualmente.

Quindi procederete senza gli editori?
Sono convinto che procederemo con gli editori. Ciò che è certo è che c’è una norma di legge che va attuata. Io sono anche titolare della responsabilità di attuazione del programma di governo: ho il dovere di attuarla. Punto. Se il tema è quello di favorire una più estesa partecipazione degli editori, si possono trovare altre forme, anche di consultazione extra-commissione.

La commissione ha una composizione mista: editori, rappresentanti dell’ordine, sindacati. Quanto tempo ci vorrà per mettere d’accordo tutte le parti?
Fosse per me chiuderei i lavori nel giro di poche settimane. Ma se le parti mi chiedessero più tempo per raggiungere un accordo, io glielo concederei. Ho la ferma intenzione di privilegiare la via negoziale: vorrei che i diversi soggetti si mettessero d’accordo nell’individuare i criteri per l’equo compenso. Se non ci riusciranno, o se non vorranno farlo, o se si creeranno ostacoli, allora individueremo una soluzione che non sia unanime o consensuale.

La norma prevede che le testate che non aderiscono alle tariffe dell’equo compenso perdano i contributi pubblici. Ma il 90% delle testate italiane non li prende. In questo caso, non c’è alcuna sanzione?
Le testate che non accedono ai contributi dovranno applicare la norma comunque. Se non la applicheranno i soggetti eventualmente lesi potranno agire giudizialmente. Il mio timore è che se non si definisce bene la natura giuridica del risultato del lavoro della commissione, possano generarsi dei conflitti: per questo voglio privilegiare il negoziato, così si attenuerebbe il rischio di impugnazione.

I contributi pubblici all’editoria sono un tema molto dibattuto e c’è chi chiede di abolirli del tutto. Ma perché l’industria editoriale deve essere diversa da altri settori e ha bisogno di sostegno? Non può essere autosufficiente?
La ragione giuridica e costituzionale di questo sostegno è favorire il pluralismo. Negli altri settori non si producono idee o notizie, ma beni o servizi: lì la liberalizzazione fa bene al mercato e ai consumatori. Ma qui la merce è preziosissima: è la notizia, l’informazione che orienta l’opinione pubblica. Quindi il trattamento deve essere necessariamente differente.

Lei ha ipotizzato un accordo con Google sul modello francese per sostituire con quei soldi i fondi per il finanziamento pubblico. Ma non c’è il rischio che – invece di aiutare la digitalizzazione dei giornali italiani – così si sovvenzioni la carta stampata, a ‘fondo perduto’ diciamo?
Non è così, non ho mai ipotizzato che con quelle risorse si debba sostituire il finanziamento pubblico e quindi dare soldi alla carta stampata. Quei fondi eventualmente servono per finanziare l’innovazione dell’editoria, non la conservazione. Progetti innovativi, che consentono di accrescere la quota dell’informazione online e di far entrare in questo comparto i giovani, per rendere l’editoria italiana al passo coi tempi, più dinamica, più attrattiva.
Inoltre le eventuali risorse saranno messe a disposizione come corrispettivo del fatto che Google attinge ai prodotti editoriali che oggi si producono: quindi è anche una sorta di compensazione, diciamo così, del diritto d’autore.

Il giornalismo online oggi è meno regolamentato di quello cartaceo, e le leggi sulla stampa creano una disparità di trattamento tra i giornalisti della carta e dell’online. Ci sono delle proposte per disciplinare anche il mondo dell’online e per livellare la normativa rivolta ai giornalisti?
Il fatto che i giornali online crescano è un bene e da parte mia non c’è la volontà – attraverso una migliore regolamentazione – di “controllare” le notizie, come qualcuno ipotizza. Ci mancherebbe altro: io sono un fermissimo assertore del pluralismo, della totale libertà di espressione del pensiero. Detto questo, che ci sia la necessità di un regolamento più preciso sulla nascita e la vita dei giornali online è pacifico. Il fatto che sulla Rete circolino sistematicamente notizie inventate è un problema serio, che impone la rivisitazione della disciplina relativa, anche quella penalistica.

L’Ordine dei giornalisti, come associazione di categoria, riceve molte critiche. Crede che nel prossimo futuro possano esserci proposte per la sua abolizione?
Personalmente credo che gli ordini debbano essere mantenuti per quelle professioni che hanno un rilievo costituzionale; per gli altri settori, no. L’attività giornalistica ha un indiscutibile rilievo costituzionale, e ha bisogno di una regolamentazione e di una tutela. Ogni tanto invochiamo i modelli di altri paesi, ma non è detto che siano migliori dei nostri.

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Gattafoni: “Priorità a formazione continua. Scuole di giornalismo unica strada” http://ifg.uniurb.it/2013/06/03/ducato-online/gattafoni-priorita-a-formazione-continua-scuole-di-giornalismo-unica-strada/49587/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/03/ducato-online/gattafoni-priorita-a-formazione-continua-scuole-di-giornalismo-unica-strada/49587/#comments Mon, 03 Jun 2013 16:59:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=49587 URBINO – Si è riunito stamattina alle 10 il consiglio dell’Ordine dei giornalisti delle Marche per eleggere il nuovo presidente: sarà Dario Gattafoni che era già stato nominato nel 2011 dopo la rinuncia del vecchio presidente, Gianni Rossetti.

Tanti i problemi che riguardano la professione giornalistica: dall’organizzazione dei corsi per la formazione continua alla legge sull’equo compenso non ancora applicata concretamente passando per le scuole di giornalismo, l’unica strada percorribile per chi vuol fare questa professione.

Dottor Gattafoni, si aspettava di essere rieletto?

Si, me lo aspettavo e con me sono stati riconfermati 8 membri del vecchio consiglio. Questo perché abbiamo iniziato un percorso insieme e il lavoro fatto finora necessita di essere completato.

Quali sono gli obiettivi per il prossimo triennio?

L’impegno maggiore è organizzare i corsi per la formazione permanente prevista dalla legge 148 del 2011. Sarà un compito non facile perché l’ordine dei giornalisti è nuovo a questo tipo di attività mentre altri ordini professionali sono abituati a gestire cose del genere. Non sappiamo nei dettagli come ci muoveremo, stiamo aspettando la convocazione da Roma per avere direttive precise. Comunque, la formazione prevede il conseguimento di 60 crediti triennali e si è deciso, con l’Ordine nazionale, di far partire i corsi il primo gennaio 2014. Abbiamo sei mesi per organizzarci.

Chi finanzierà la formazione permanente obbligatoria?

In teoria gli ordini regionali ma è difficile trovare fondi. Noi avevamo anche pensato di istituire una fondazione per accedere ai finanziamenti comunitari (l’Ordine non può accedervi direttamente). Comunque sia, bisognerà organizzare capillarmente la formazione anche utilizzando l’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino (Ifg) che è il fiore all’occhiello dell’Ordine delle Marche.

Lei crede che le scuole di giornalismo siano ancora una realtà valida?

Senza dubbio, è l’unica carta spendibile nel mondo del lavoro. Basta guardare le statistiche per capire che è l’unica strada perseguibile se si vuol fare questo mestiere perché fornisce un impianto solido a livello culturale.
C’è una legge ferma da anni in parlamento che prevede l’obbligo di passare attraverso le scuole per diventare professionisti: sarebbe una cosa molto utile ma forse il potere politico ha paura di una formazione troppo elevata della classe giornalistica.

Quali sono le altre priorità?

Un altro obiettivo importante è la digitalizzazione dell’archivio in collaborazione con la Soprintendenza. Abbiamo avuto il riconoscimento dal Ministero per costruire un’archivio della storia del giornalismo marchigiano e una biblioteca tematica. Abbiamo raccolto le tesi, gli articoli e tutto quello che riguarda il giornalismo fatto nella nostra regione.

Che cosa pensa della legge sull’equo compenso?

Credo sia una conquista dell’ordine nazionale, un fatto molto positivo perché rappresenta uno strumento in più per combattere lo sfruttamento dei giornalisti precari. Certo sarà molto difficile da applicare.

Questa mattina durante il consiglio sono state assegnate anche le altre cariche: il vice presidente è Nicola Di Francesco, il segretario Stefano Fabrizi e il tesoriere Luca Romagnoli. Gli altri componenti del Consiglio sono:  Simonetta Marfoglia, Franco De Marco, Giuseppe Poli, Patrizio Patrizi, Gabriele Vincenzi. Il collegio del sindaci revisori è composto da Edoardo Danieli, Paola Maria Cimarelli ed Egidio Montemezzo.

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Equo compenso: dopo tre mesi dalla Fieg ancora nessun nome http://ifg.uniurb.it/2013/06/03/ducato-online/equo-compenso-dopo-tre-mesi-dalla-fieg-ancora-nessun-nome/49508/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/03/ducato-online/equo-compenso-dopo-tre-mesi-dalla-fieg-ancora-nessun-nome/49508/#comments Mon, 03 Jun 2013 15:47:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=49508 LEGGI ANCHE Equo compenso: ecco chi decide
La protesta dei precari]]>
URBINO – È ancora al palo la Commissione che ha il compito di stabilire l’equo compenso per i giornalisti freelance e i collaboratori  sprovvisti di un contratto da lavoratore subordinato. Sono passati più di tre mesi dalla prima riunione della commissione, dopo l’approvazione della legge 233/2012 ma la Fieg (federazione italiana editori di giornali) dopo 100 giorni non ha ancora nominato il suo delegato unico.

In vista della riunione che si terrà il 13 giugno, il nuovo sottosegretario all’Editoria del governo, Giovanni Legnini,  ha strigliato il sindacato degli editori con  una dura lettera: fare una scelta subito,  questo il contenuto del messaggio.

Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, ha riportato oggi la notizia su Facebook  (in foto).  “Cento giorni rubati alla vita di migliaia di colleghi”, scrive sul social network.

La commissione è presieduta dal sottosegretario all’editoria Giovanni Legnini ed è composta da Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani), Giovanni Rossi, segretario generale della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) e dallo stesso Enzo Iacopino. L’unico nome che manca è proprio quello espresso dal sindacato degli editori, quelli cioè che in futuro dovranno rispettare il vincolo imposto di un ‘prezziario’ o comunque di un minimo compenso per la prestazione giornalistica.

Francesco Cipriani, responsabile dell’area lavoro e welfare della Federazione,  contattato a inizio maggio dopo la nomina di Legnini, aveva detto che la riunione per la scelta del delegato sarebbe avvenuta entro pochi giorni. “È come chiedere a Confindustria, Confapi, Confartigianato, quattro, cinque associazioni di designare un unico rappresentante” aveva dichiarato a fine aprile Arcangelo Iannace, responsabile relazioni esterne dell’associazione degli editori.

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Equo compenso, i precari al governo: “Tre mesi già scaduti” http://ifg.uniurb.it/2013/05/07/ducato-online/equo-compenso-i-precari-al-sottosegretario-tre-mesi-gia-scaduti/45905/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/07/ducato-online/equo-compenso-i-precari-al-sottosegretario-tre-mesi-gia-scaduti/45905/#comments Tue, 07 May 2013 16:19:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45905 LEGGI Equo compenso, è tutto fermo ]]>

Il nuovo sottosegretario alla Presidenza della Repubblica con delega all’Editoria

Non aveva ancora finito di giurare fedeltà alla Repubblica, che i giornalisti avevano già iniziato a speronarlo. Giovanni Legnini, il nuovo sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all’Editoria del governo Letta, ha ricevuto una lettera aperta dal coordinamento dei giornalisti precari abruzzesi “5euronetti” proprio il 4 maggio, giorno del convegno “Corto circuito: politica e informazione, equilibri precari” a Pescara, a cui non aveva potuto partecipare perché impegnato nei suoi primi atti in Parlamento.

La prima riga della lettera è per gli auguri di buon lavoro, ma già dalla seconda si parla di crisi dell’editoria e libertà di informazione. Il gruppo chiede l’attuazione della legge 233/2012 sull’equo compenso, che dovrebbe tutelare i giornalisti precari e i freelance da retribuzioni troppo basse.

Il coordinamento ribadisce che la norma è in vigore dal 18 gennaio, e una Commissione plurilaterale in 3 mesi avrebbe dovuto decidere l’equo compenso da applicare. “Questi termini temporali – si legge nella lettera – sono però già scaduti, senza che la Commissione si sia nemmeno formalmente insediata, a causa dei tentativi dilatori perpetuati dagli editori“.

Durante il convegno stesso, “5euronetti” twittava:

In effetti, per dare il via ai lavori, mancherebbe solo il delegato unico degli editori. Due settimane fa la Fieg (Federazione italiana editori giornali) aveva promesso che in 15 giorni avrebbe dato un nome. Francesco Cipriani, responsabile dell’area lavoro e welfare della Federazione, ha dichiarato che la riunione per scegliere il delegato sarà “uno di questi giorni. Ma è tutto da vedere – aggiunge – perché non so se Legnini manterrà o no la linea dell’ex sottosegretario Peluffo”.

Il coordinamento “5euronetti” chiede inoltre che gli editori facciano propri i principi della Carta di Firenze, una carta deontologia sulla precarietà nel giornalismo, firmata dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana), in quanto “parametro irrinunciabile per una informazione democratica e dignitosa”.

Legnini ha fatto pervenire al coordinamento un messaggio in cui si rende disponibile ad incontrare il coordinamento per valutare l’avvio dei lavori della commissione sull’equo compenso. In una lettera, resa pubblica all’inizio del convegno, ha scritto anche che “Naturalmente condivido le vostre istanze di lotta al precariato, di rispetto dei diritti essenziali per un’attività professionale libera da condizionamenti e pienamente espressiva della libertà di informazione”.

Sullo stesso argomento:

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http://ifg.uniurb.it/2013/05/07/ducato-online/equo-compenso-i-precari-al-sottosegretario-tre-mesi-gia-scaduti/45905/feed/ 0
Equo compenso, è tutto fermo. Manca ancora il delegato degli editori http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/equo-compenso-e-tutto-fermo-manca-ancora-il-delegato-fieg/44821/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/equo-compenso-e-tutto-fermo-manca-ancora-il-delegato-fieg/44821/#comments Thu, 25 Apr 2013 01:20:27 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44821 Si allungano i tempi per la definizione dell’equo compenso per il lavoro giornalistico: la Commissione che deve stabilire le modalità di retribuzione del lavoro di questa categoria non è ancora riuscita a riunirsi. I tempi si dilatano e, a due mesi dal primo incontro infruttuoso,  quando già si sarebbe dovuti essere giunti a una conclusione, tutto è paralizzato.

La Commissione composta dal sottosegretario all’Editoria, Paolo Peluffo, dal presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti Italiani) Andrea Camporese, dal segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Giovanni Rossi, da Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, oltre che da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e uno dello sviluppo economico è rimasta bloccata proprio per via della scelta di un rappresentante unico degli editori.

“Abbiamo chiesto al sottosegretario Peluffo – spiega Francesco Cipriani, responsabile dell’area lavoro e welfare della Fieg, Federazione italiana editori giornali – di allargare la base rappresentativa; è difficile trovare un unico rappresentante per settori disomogenei come i quotidiani, i periodici e l’editoria radiotelevisiva”.

La richiesta della Fieg è stata rigettata e sono state fornite indicazioni utili alla scelta del rappresentante degli editori che parteciperà alla Commissione, tra le quali la verifica quantitativa del settore che ha più peso nel mercato.

“Troveremo un designato a breve – continua Cipriani – già nelle prossime due settimane potremmo essere pronti per la prossima riunione”. Riunione che potrebbe aver luogo, secondo la legge, anche senza la presenza del rappresentante degli editori. Secondo Enzo Iacopino: “Se lo nominano va bene, altrimenti possiamo andare avanti lo stesso. Non c’è un diritto di veto. Resta il fatto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dopo un invito formale rivoltogli da me, ormai un mese fa, ha ritenuto di non convocare la Commissione. Il mio parere – continua Iacopino – è questo: il governo Monti ha sempre avuto delle forti difficoltà a litigare con gli editori”.

Lamentele per la situazione stagnante, che stride con i tentativi di convocazione degli stati generali dell’informazione precaria, arrivano anche dalla Fnsi: “La questione dell’applicazione dell’equo compenso giornalistico è sostanzialmente paralizzata in questo momento. Il sottosegretario della presidenza del Consiglio, Peluffo, sottosegretario di un governo in carica non si sa ancora per quanto – afferma Giovanni Rossi – ha promosso in modo formale un’imminente convocazione ma niente è ancora avvenuto”.

E se da una parte i lavori della Commissione rimangono sospesi, la battaglia per l’equo compenso non perde il suo valore essenziale di tutela della professione giornalistica: “Un cronista che viene pagato 50 centesimi lordi per un pezzo pubblicato sul web – spiega Stefano Corradino, direttore dell’associazione Articolo 21 – è un insulto alla dignità del lavoro ma anche della Costituzione, che prevede il diritto di essere informati. Oltre a rappresentare un rischio: questi colleghi sono spesso vittime di minacce, pressioni, atti intimidatori e querele. Vanno salvaguardati non lasciati soli”.

Forse però non c’è da stupirsi per i tempi epici della burocrazia italiana, qualsiasi aspetto essa tocchi. Arcangelo Iannace, responsabile relazioni esterne della Fieg, commenta così la difficoltà nella scelta di un unico rappresentante per gli editori: “E’ come chiedere a Confindustria, Confapi, Confartigianato, quattro, cinque associazioni di designare un unico rappresentante. Abbiamo impiegato sessanta giorni per fare un presidente del Consiglio, cosa ci aspettiamo”.

Sullo stesso argomento:

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Per un pugno di euro: quando freelance vuol dire sfruttato http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/#comments Thu, 25 Apr 2013 00:26:25 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44703

Ernest Hemingway

C’era una volta il freelance. Si potrebbe cominciare il pezzo così ma già al secondo periodo bisognerebbe cambiare soggetto perché pare che di freelance in Italia non ce ne siano quasi più. Almeno non di quelli che potremmo definire puri.

Se freelance è il giornalista libero professionista che scova le notizie, le confeziona e le vende a più committenti traendone una commisurata e consistente retribuzione, allora possiamo dire con certezza che l’Italia non è un paese per freelance.

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

“Prima – spiega la Calicchio – il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi – continua la giornalista – di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi”.

L’INTERVISTA “Altro che libertà, siamo solo collaboratori sottopagati”

DI LIBERO C’E’ SOLO IL FREE DEL NOME
“La scelta di essere indipendenti e autonomi  – afferma Giovanni Rossi, presidente della Fnsi, Federazione nazionale stampa italiana – è patrimonio di pochissimi colleghi, ammesso che ce ne siano. Ci sono giornalisti che aspirano a rimanere senza vincoli ma non di certo tra le ultime generazioni: per questi lo stato di lavoratore indipendente è obbligato. Non si trova lavoro all’interno delle redazioni, perciò se si vuole fare questo lavoro non c’è alternativa: lo si fa da autonomo o da falso autonomo”.

I giornalisti freelance nella Penisola sono tanti e farne una stima puntuale è quasi impossibile: giovani o meno giovani obbligati all’indipendenza, sottopagati – o non pagati affatto – che vedono ogni giorno svilita la propria professione e la propria dignità lavorativa.

“I freelance in genere – continua Giovanni Rossi – hanno diversi committenti. Se un giornalista lavora tutto il giorno per un solo committente, e magari lo fa pure da casa, in realtà è di fatto un lavoratore dipendente. E questo è il caso anche di giornalisti precari in nero che affollano le redazioni”.

Una falla nel sistema evidenziata anche da Stefano Tesi, giornalista che ha lanciato nel suo blog un censimento di giornalisti freelance italiani: “Sui 2000 stimati hanno risposto solo in 57. E perché? Perché molti non sanno neanche cosa voglia dire freelance o, se lo sanno, scoprono di non esserlo. Mi pare – continua Tesi – che ci sia la volontà di non fare emergere l’esistenza di categorie diverse di giornalisti da quelle codificate e riconosciute finora”.

Lavoro autonomo e lavoro precario dovrebbero essere sue cose distinte”, afferma Giovanni Rossi, che esprime la necessità di convocare gli stati generali dell’informazione precaria per conoscere in profondità il fenomeno, monitorarlo e normarlo nel modo più giusto possibile. “Abbiamo chiesto alla Giunta esecutiva federale di convocare gli stati generali o il 26 e 27 giugno o l’11 e il 12 luglio. Abbiamo raccolto diverse sottoscrizioni – continua Rossi – ma adesso sta alla Giunta deliberare”.

Fabrizio Morviducci, giornalista toscano dell’Osservatorio sul precariato dell’Ordine che ha sottoscritto l’appello della Fnsi, ribadisce quest’anomalia tutta italiana:  “I freelance sono una fetta del precariato. Sono persone che svolgono lavoro a tempo pieno ma in condizioni non dignitose. Fino a quando ci saranno persone che pensano di poter scrivere senza remunerazione solo in cambio di visibilità, non andremo molto lontano. Lo slogan del coordinamento dei giornalisti precari pugliesi è sacrosanto: l’informazione non è un hobby”.

SCRIVERE PER LA GLORIA
La visibilità è il panem et circensem che gli editori elargiscono ai giornalisti precari adducendo la scusa – in buona parte fondata – della crisi che sta investendo ormai da anni il settore. Ma molti non ci stanno più e denunciano con i mezzi più disparati. E’ di pochi giorni fa la notizia di un giornalista americano Nate Thayer che ha pubblicato online la conversazione con Olga Khazan, editor de The Atlantic che gli aveva chiesto di inserire un suo pezzo sui rapporti tra basket e diplomazia con la Corea del Nord a titolo gratuito.

La lettera ricevuta dal The Atlantic e resa pubblica da Thayer: “Grazie per la risposta. Per il fine settimana? 1200 parole? Purtroppo non possiamo pagarti, ma raggiungiamo 13 milioni di lettori al mese. Capirei se questo accordo non ti interessasse, ma volevo sapere se eri interessato. Grazie per il tuo tempo, bellissimo articolo!

Svilimento della professione che vola anche oltreoceano e arriva in Italia. Gabriele Barbati, giornalista freelance corrispondente dalla Striscia di Gaza che ha scritto a Franco Abruzzo per lamentare la scarsa considerazione e le remunerazioni inique o inesistenti da parte dei media italiani.

LA RETE NON E’ UN POSTO FREELANCE-FRIENDLY
A mettercisi di mezzo è poi anche la Rete che lungi dall’essere risorsa, spesso si trasforma in vetrina abbagliante e luogo di sfruttamento dei giornalisti appassionati che esercitano la professione.

Il web è frontiera – afferma Morviducci – è il futuro ma al momento è solo far west, non ci sono margini definiti. La gente non è incline a pagare contenuti in rete. Proprio per questo è lì che assistiamo a forme di precariato ancora più striscianti rispetto alle testate tradizionali”.

Una delle grandi pecche del giornalismo online, sarebbe secondo Rossi, la mancanza di un giornalismo ‘industriale’, ovvero “un giornalismo professionista che consente a chi lo esercita di trarre un reddito sufficiente per la vita sua e della sua famiglia”.

Secondo Stefano Corradino, presidente dell’associazione Articolo 21, “se effettivamente nel 2043 l’ultima copia del New York Times verrà stampata, decretando la fine del giornale cartaceo, la situazione è destinata a peggiorare progressivamente. Già oggi – continua Corradino – le testate giornalistiche locali esercitano vere e proprie forme di caporalato, marciando sulla passione connaturata a questo mestiere”.

TUTELE DI UNA CATEGORIA “INDIVIDUALISTICA”
Di fronte a una situazione caotica e di indiscriminato precariato e svilimento della professione, ci si chiede quali tutele abbiano i freelance. “Sulla carta ne avrebbero anche – afferma Rossi – ma se prendiamo il caso della recente riforma del lavoro introdotta dal Ministro Fornero ci accorgiamo che non è così. Questa infatti prevede – continua Rossi – che le partite iva il cui reddito deriva per l’85% da un solo committente siano dichiarate false e che il lavoratore venga assunto. Questo chiaramente vale per tutti meno che per i giornalisti”.

Eppure sembra che ci siano frizioni anche all’interno della stessa categoria: “Il sindacato deve assolvere alla sua missione – spiega Morviducci – ovvero garantire diritti a chi non ne ha. Attualmente noi abbiamo una fetta minoritaria di persone tutelate dal sindacato a fronte di una massa critica di colleghi che stanno fuori, i quali non solo non hanno diritti ma non hanno nemmeno la più lontana ipotesi di averne nel medio termine”.

“Articolo 21 lavora proprio per costruire anche una sorta di solidarietà mediatica da parte dei colleghi – dice Corradino – nei confronti dei giornalisti precari che si trovano spesso isolati all’interno delle redazioni e che sono più ricattabili e oggetto di intimidazioni e querele”.

Passi in avanti sono stati fatti e anche di una certa importanza. La Carta deontologica di Firenze, che regolamenta lo sfruttamento del precariato giornalistico e l’approvazione della legge sull’equo compenso sono due punte di una battaglia combattuta da tanti per riconoscere dignità a una professione delegittimata a più livelli e da più attori del vivere civile.

LEGGI Equo compenso, è tutto fermo: manca ancora il delegato Fieg

“Con la Carta di Firenze abbiamo voluto fare passare il messaggio – spiega Morviducci – che sfruttare i colleghi è disdicevole e sanzionabile a livello deontologico”. Ma anche queste conquiste rischiano di rimanere vane se non si monitora lo stato attuale delle diverse professionalità.

“L’equo compenso non è una soluzione al problema dei lavoratori in nero – afferma Rossi – né di quello dei precari. Vale per i freelance, ma se uno lavora a tempo pieno per una redazione non è un freelance e va contrattualizzato”.

Per cambiare il sistema dall’interno e richiamare l’attenzione sul tema del precariato, poi, alcuni giornalisti precari hanno deciso di candidarsi alle prossime elezioni dell’Ordine. Ciro Pellegrino è uno di questi: “La candidatura è nata da un’esigenza, ovvero perché chi si era candidato a governare l’Ordine regionale, pur avendo preso in considerazione il discorso dei precari non aveva deciso ancora di abbracciare in maniera forte la causa”.

Nelle intenzioni di Pellegrino c’è quella di porre in agenda le tematiche scottanti che riguardano la categoria a prescindere dall’elezione o meno. Per questo insieme al Coordinamento dei giornalisti precari campani hanno scelto di proporre dei video di campagna elettorale – uno dei quali presentato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia – per suscitare la curiosità di un pubblico sempre più vasto.

IDEE CHE CAMBIANO LA PROFESSIONE
Esistono poi delle realtà di reazione alla crisi dilagante che fanno ben sperare per il futuro e che danno il polso della passione che muove questa professione. E’ il caso di esperienze come quella di Next New Media, service giornalistico multimediale che offre servizi giornalistici per qualsiasi piattaforma.

Andrea Battistuzzi, uno dei fondatori, racconta: “Ho fatto diverse esperienze di precariato giornalistico fino ad arrivare alla constatazione che il mercato del lavoro italiano per questo settore non va. Così abbiamo deciso di mettere insieme un network di professionisti dell’informazione che realizzassero contenuti multimediali, rispondendo così alla necessità di molte testate giornalistiche che vogliono essere presenti sul web ma non ne hanno i mezzi o le risorse”.

Come qualsiasi freelance, sfruttando i contatti a disposizione, la redazione di Next New Media è riuscita a imporsi nel mercato e a prendere diversi appalti per la gestione di intere testate o di canali tematici di queste. “Abbiamo reso più stabile la professione del freelance – spiega Battistuzzi – l’abbiamo industrializzato, creando una struttura imprenditoriale in quello che il freelance in genere fa autonomamente”.

Next New Media non è l’unica realtà a porsi in questo modo nel mercato dell’informazione: Spazi Inclusi e Fps Media per l’Italia applicano la stessa mentalità imprenditoriale alla professione, seppur declinandola in maniera diversa.

Ad esempio, Fps Media, costituita da un gruppo di professionisti provenienti dalla scuola di giornalismo Carlo De Martino di Milano, realizza inchieste e servizi multimediali messi a disposizione delle grandi testate giornalistiche italiane.

Anche Spazi inclusi, uno studio associato torinese che si occupa di fornire contenuti multimediali per testate giornalistiche oltre a creare progetti editoriali – dai contenuti alla grafica – per enti e aziende, nasce nel 2011 come reazione a un mercato del lavoro che sbarra le porte ai freelance. “In Italia freelance non vuol dire libero professionista, al massimo sfigato. Essere assunti – dice Clara Attene, una delle socie di Spazi Inclusi – è molto più che un terno al lotto. Così visto che collaboravo per il Sole 24 Ore, dividendo fisicamente la scrivania con una collega oltre che condividendo i lavori, abbiamo deciso di metterci in proprio e continuare a fare quello che avevamo sempre fatto in un modo diverso: più stimolante, più libero e flessibile”.

Sfruttando i contatti raccolti durante l’attività di freelance e partecipando a eventi-vetrina come la Social media week, lentamente Spazi Inclusi ha cominciato a farsi conoscere. “Lavorare con le redazioni implica una pratica di educazione reciproca – continua Attene – non è facile estendere il rapporto di fiducia personale costruito negli anni al resto del gruppo. Ma è proprio questo il punto di forza di Spazi Inclusi: il freelance da solo magari riesce a prendere un certo numero di lavori e con quelli non è detto riesca a vivere. Lavorando all’interno di un gruppo ci si organizza e dove non arriva uno va l’altro garantendo sempre la massima professionalità. Io mi alzo la mattina e sono contenta di lavorare in un posto che ho contribuito a creare. Non so se sarebbe così lavorando in una redazione”.

All’estero invece è di nuovo conio Newsmodo, una piattaforma web fondata dal giornalista australiano Rakhal Ebeli, che collega i media attraverso una rete mondiale a professionisti dell’informazione. Una piattaforma di committenza e vendita, secondo le regole della deontologia che si sta espandendo in Europa, America, Medio Oriente e Asia.

In uno scenario simile verrebbe voglia di pensare che, come sottolineava ieri il Wall Street Journal, fare il giornalista sia il mestiere peggiore del mondo. “Terzani diceva di voler fare il giornalista – racconta Morviducci – perché gli piaceva l’idea di avere un posto in prima fila sui fatti del mondo. A mio avviso, vale ancora la pena fare questo lavoro: è un esercizio di intelligenza e permette di essere meno indottrinabile di tanti altri cittadini”.

Sullo stesso argomento:

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“Altro che libertà da freelance, siamo solo collaboratori sottopagati” http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/altro-che-liberta-da-freelance-siamo-solo-collaboratori-sottopagati/44462/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/altro-che-liberta-da-freelance-siamo-solo-collaboratori-sottopagati/44462/#comments Wed, 24 Apr 2013 23:24:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44462 [continua a leggere]]]> Il sito di Errori di Stampa

Il sito di Errori di Stampa

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

Esiste realmente in Italia la categoria “pura” dei freelance?
Parlare di freelance in Italia oggi è difficile. Prima, in effetti, il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi.

Quindi, a differenza degli altri paesi, essere freelance da noi non è il risultato di una scelta libera.
Non lo è o almeno non lo è più. Essere freelance in questo momento in Italia vuol dire essere sottoposti a un ricatto. Sono le aziende per le quali lavori che ti costringono ad aprire la partita iva. Così in pratica sei un libero professionista ma un libero professionista che prende al mese 800 euro netti, 1000 lordi. A mio avviso questa non è una scelta e non vuol dire essere libero professionista. E’ un settore così drammaticamente in crisi che non so cosa possa aiutarlo in questo momento. Siamo 110mila giornalisti in Italia e il 60/70 % non arriva a 5000 euro all’anno. I disoccupati non si contano perché non c’è un censimento reale. Non c’è nemmeno il polso della situazione.

Valeria Calicchio

Quali sono le “chiavi”  per accedere da freelance al mercato giornalistico?
Non so quali siano le strategie. Questo lavoro funziona molto per conoscenza e cooptazione. Non è così immediato vendere. Poi la questione del citizen journalism ha aperto altri grandissimi problemi perché le testate comprano a pochissimo – o anche gratis in cambio di visibilità – pezzi, servizi, foto da gente che non è professionista, che non vive di giornalismo. Quindi l’asticella della collaborazione si è abbassata ancora di più perché le redazioni riescono a trovare contenuti e materiali gratis. Molto probabilmente riescono a vendere i pezzi quelli che lavorano all’estero ma nemmeno tanto in fondo: ci sono dei blogger famosissimi, giornalisti, colleghi che stanno in Siria che raccontano quelle situazioni da anni e che in Italia non hanno mercato.

La categoria però non è lasciata a se stessa: c’è il sindacato. In che modo tutela i freelance?
Tre anni fa è nata la commissione nazionale freelance, un organismo che si occupa di studiare e porre dei rimedi alla condizione della categoria. E’ composta da rappresentanti di tutte le regioni di Italia ed è una commissione di studio e di valutazione dei problemi relativi alla precarizzazione del lavoro giornalistico. Precarizzazione e non precariato. Perché il precario è qualcuno che già ha un contratto che gli verrà rinnovato o che comunque ha delle tutele. Invece poi c’è tutta una schiera di persone che non avendo contratti, non avendo appigli di nessun tipo, non ha diritto nemmeno al paracadute. Questa commissione cerca, quindi, di studiare il fenomeno e di porre dei rimedi con le vertenze, con il rinnovo del contratto giornalistico, con la questione dell’equo compenso.

Eppure sembra che ci siano delle correnti contrarie anche all’interno dello stesso sindacato.
Questa è una parte del sindacato. Un’altra parte in maniera ufficiosa rema contro perché schiava ancora dell’idea che sia necessario tutelare chi è già tutelato. La vertenza quindi si apre se si va in crisi e rischiano il posto di lavoro i contrattualizzati; i precari e i collaboratori, invece, sono sempre all’ultimo posto. Chiaramente la Commissione nazionale freelance è in aperto scontro perenne con la segreteria nazionale del sindacato. E’ una lotta fratricida tra contrattualizzati e nuovo sottoproletariato giornalistico.

Che aria tira nelle redazioni? Si avverte ostilità tra schieramenti opposti di giornalisti?
Certo, perché i cdr non si interessano minimamente ai collaboratori eccetto rarissimi casi. Si sono creati dei coordinamenti di collaboratori precari in molte testate tra cui il Messaggero, L’Unità, Repubblica, Rai. Lo scopo di questi coordinamenti è far sentire la voce anche di chi è collaboratore. Però fino a quando non ci sarà un rappresentante dei precari nei cdr non otterremo grandi conquiste.

Tu fai parte di Errori di Stampa, il coordinamento di giornalisti precari romani da tempo attivo nella capitale in difesa dei diritti della categoria. Pensi che combattere per cambiare questa situazione serva? 
La lotta è l’unica cosa che può salvarci da questo sistema. Il primo coordinamento dei precari è nato in Friuli nel 2006. Negli ultimi quattro anni sono nati in Italia coordinamenti in tutte le regioni e sicuramente questo ha contribuito ad richiamare l’attenzione sul tema del precariato. Prima non se ne parlava o comunque si pensava fosse una prassi dovuta: per diventare giornalista dovevi fare la gavetta. Il problema è che facevi la gavetta e poi avevi un contratto. Adesso no. La lotta serve: in due anni e mezzo siamo riusciti a ottenere grandi successi. Abbiamo scritto una carta deontologica, abbiamo ottenuto l’equo compenso per i giornalisti che è un traguardo storico perché riconosce che il lavoro intellettuale debba essere pagato equamente. Sono conquiste e le abbiamo ottenute facendo manifestazioni, petizioni, di tutto insomma.

Ora c’è un appello, che tu hai firmato, per la convocazione degli stati generali dell’informazione precaria…
Sì, ho firmato perché ritengo si debba discutere per trovare degli strumenti all’interno delle nostre associazioni di categoria per monitorare il fenomeno. Cioè non basta soltanto parlarne, bisogna monitorare con dati certi. Se la Federazione e l’Ordine non hanno il polso della situazione ma non riusciremo mai a pensare ai rimedi giusti da prendere. Stiamo chiedendo con forza la convocazione degli stati generali dell’informazione precaria per capire lo stato delle cose attualmente e discutere di soluzioni.

Una situazione drammatica, eppure la politica continua ad attaccare i giornalisti perché sono una casta.
Sono attacchi demagogici a una categoria che dalla maggior parte delle persone viene definita come casta quando invece la casta in realtà è meno del 10 %: il resto sono servi della gleba. Si attaccano persone che prendono meno di un operaio metalmeccanico. Prendere 1200 euro al mese sarebbe già un traguardo, non li prende nessuno. La maggior parte di noi è disperata.

Tirando le somme, sembra che essere giornalisti oggi non convenga. Perché invece tu lotti tanto per difendere la professione?
Perché la vita democratica di un Paese si basa sulla libera informazione dei cittadini. E’ una funzione importantissima come può essere quella del medico, quella dell’insegnante. Se non c’è informazione corretta, non c’è nemmeno democrazia. Credo che oggi più che mai ci sia bisogno di informare in maniera corretta: nel mondo globalizzato dove i canali dell’informazione si sono moltiplicati in maniera esponenziale c’è bisogno di una guida, di chi ti dia delle chiavi di lettura del reale. La professione, quindi, si è modificata ma ce n’è più che mai bisogno proprio perché si sono allargate così tanto le possibilità per essere informati che forse il rischio è di esserlo meno. C’è bisogno di mediatori, di persone che sappiano fare informazione, che è un’operazione complessa, delicata: devi trovare le notizie, verificarle. Non è facile nonostante ormai oggi ci siano blogger, Twitter, Facebook. C’è bisogno di chi rispetti la deontologia, di chi rispetti le regole che ci siamo dati negli anni per poter fare informazione in maniera corretta.

Hai mai pensato di andare all’estero?
No. Assolutamente no. Questo è il mio Paese e questo è il Paese che voglio cambiare e nel quale voglio vivere.

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