Cinquanta ore asserragliati negli uffici della Antonio Merloni di Fabriano, nell’entroterra delle Marche. Tre giorni in attesa che qualcuno portasse da fuori pranzo e cena. Tanto è durata l’azione di protesta più eclatante dall’inizio della drammatica crisi che rischia di far chiudere i cancelli di una tra le più grandi aziende del distretto industriale di Fabriano. Sul territorio, compreso l’indotto, rimarrebbero disoccupati circa 5.000 lavoratori.

La storia dell'occupazione (guarda le foto) comincia il 5 novembre 2009, quando otto operai si chiudono nella sede di via Veneto. Sono iscritti alla Fiom, ma la Cgil fa mancare il suo appoggio alla protesta. Gli operai passano due notti lì dentro. E il secondo giorno si aggiunge un iscritto alla Fim-Cisl. Sopra di loro i giardini pensili della villa di Antonio Merloni, che dominano il palazzo di vetro color ocra degli uffici. Il patron se l’è fatta costruire proprio all’ultimo piano dell’edificio. Sfidare la proprietà di Merloni, da queste parti, significa andare contro il potere costituito. E mentre la sfida continua, appeso ai cancelli d’ingresso, di fianco a uno stand che distribuisce volantini con le richieste degli occupanti, si legge su uno striscione la scritta rossa: “La vostra lotta è la nostra lotta”, firmato: Effetti Collaterali. Sono stati loro a ideare la protesta finita soltanto quando il presidente della regione Marche Gian Mario Spacca ha accettato di incontrare gli occupanti e di leggere il loro documento.

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