Amerigo Vaglini, la memoria storica del Camen

Amerigo Vaglini

PISA - “Lì dentro succedevano cose eccezionali: eravamo parte di una rivoluzione, facevamo scoperte incredibili”. Con il suo libro stretto tra le mani e gli occhi riluccicanti di ricordi, Amerigo Vaglini racconta la sua esperienza come perito nucleare e tecnico del reattore al Camen di San Piero a Grado, dove ha lavorato fin dall’inizio delle attività di ricerca. “Arrivai al Centro per le applicazioni militari dell’energia nucleare grazie a mio padre. Lui sapeva che io morivo letteralmente per tutto quello che riguardava la fisica, che ero affascinato dalla storia dei ragazzi di via Panisperna, tant’è che ero riuscito a iscrivermi all’università affrontando dei corsi di integrazione, obbligatori all’epoca per chi come me aveva il titolo di perito industriale. L’idea di rompere l’atomo, di studiare quello che poteva creare, mi sembrava qualcosa di grandioso”.

Amerigo rappresenta letteralmente la memoria storica del centro pisano e il suo quaderno “Il nucleare a Pisa” è uno dei rari documenti di quello che accadeva all’ombra della pineta di San Piero a Grado e dentro le mura della sala del reattore. È stato uno dei primi italiani a prendere la patente per la conduzione di un reattore nucleare di ricerca, sostenendo un concorso nazionale e contemporaneamente lavorando all’interno del reattore Galilei, dove seguiva le lezioni di specializzazione organizzate per i tecnici assunti.

“Prima lavoravo all’elettrosincrotone di Frascati, avevo meno di diciannove anni, ma mio padre voleva che guadagnassi un po’ di più. Grazie al suo lavoro, era archivista capo al distretto militare di Pisa, venne a sapere che a breve sarebbe stato aperto il Camen e che cercavano personale altamente specializzato, così mandò la domanda al posto mio. Poco dopo mi arrivò il telegramma di convocazione per un colloquio con il direttore del centro”.  Da qui iniziò la carriera di Amerigo, che lo portò anni più tardi a frequentare corsi di aggiornamento professionale a San Francisco e a innamorarsi del lavoro ogni giorno di più. “A seconda dei turni che avevo al reattore, poteva capitare di doverlo mettere in funzione. Allora, se il ciclo partiva con il mio turno, operavo con le barre di uranio nella sala di controllo per raggiungere la criticità, la massa critica di pari neutroni di produzioni e di assorbimento, la potenza zero. Poi piano piano aumentavo la potenza per arrivare alla stabilità, in modo che il flusso dei neutroni fosse costante. La nostra limitazione era di 5 megawatt, oltre ai quali non si poteva andare. Per ogni servizio al reattore avevo due giorni di riposo che passavo sempre dentro al Camen come tecnico di contatto tra il reattore e gli enti che chiedevano di poterlo utilizzare per le ricerche, quindi dalle università all’Enel”.

Amerigo Vaglini in una foto d'epoca dentro al Camen

Amerigo Vaglini in una foto d'epoca dentro al Camen
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Amerigo racconta anche la peculiarità di chi volle l’apertura del centro di ricerche, militare sì ma votato in primo luogo alla scienza: “Gli ufficiali che a quel tempo erano al Camen erano quasi tutti anche professori universitari. Erano diventati militari perché, con lo scoppio della guerra, erano dovuti partire. Quando dopo cinque anni fuori non riuscirono a ritrovare i vecchi posti di lavoro nelle varie università, iniziarono a insegnare fisica, matematica, elettronica e così via ai cadetti dell’accademia. Sono questo tipo di militari che riunitisi decisero della nascita del centro nucleare: ricercatori in divisa”.

Il reattore Rts-1 acquistato dal Camen arrivava direttamente dagli Stati Uniti, e furono tecnici americani a metterli in azione per la prima volta: “ Io non ero ancora né perito né operatore, ma mi chiesero se volevo assistere alla prima criticità. Gli americani ci vendettero il reattore ‘chiavi in mano’ diciamo, infatti due di loro vennero appositamente per metterlo in azione per la prima volta. Lì, alle due di mattina del 4 aprile 1963, dopo ore di operazioni eseguite molto lentamente e con tutti gli accorgimenti necessari, vidi per la prima volta l’effetto l’effetto cherenkov. Fu qualcosa di straordinario. Una luce blu intensa in quel modo è una cosa che non osservi in natura, la vedi solo dentro un reattore nucleare. Alla fine delle operazioni stappammo la bottiglia di champagne!”.