Minori non accompagnati: a Siracusa i volontari si sostituiscono allo Stato


Pubblicato il 5/04/2014                          
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minoriRashid (nome di fantasia), 17 anni, cammina per le strade di Siracusa sempre con una mano in tasca. Non ha più un dito: i militari del dittatore del Gambia, Yahya Jammeh, lo hanno torturato e poi gli hanno tagliato l’indice della mano sinistra. E’ per questo che quando aveva 15 anni ha lasciato la sua famiglia anche se non voleva. Rashid è uno dei 3.225 minori non accompagnati arrivati via mare in Italia nel 2013. Da mesi aspetta nel centro temporaneo di Priolo, periferia di Siracusa, di essere trasferito in una struttura idonea ma i posti non ci sono. “Passo la mia giornata a dormire. Mangio solo pasta e pane e a volte l’acqua manca e non mi posso lavare”, racconta.

Dal settembre 2012 ha attraversato l’Africa per arrivare in Italia, un viaggio durato un anno e tre mesi: Senegal, Mali, Niger, Libia. “E’ successo tutto all’improvviso. Alcune persone stavano organizzando una manifestazione contro il governo e si sono rivolti al negozio di mio fratello per stampare delle magliette con delle scritte contro il dittatore. I militari l’hanno scoperto e ci hanno arrestato. Io sono riuscito a scappare, mio fratello è stato ucciso. Dormire all’aperto è stato duro. In Mali ho vissuto per strada per un mese prima di avere una casa, mentre in Niger ho abitato in un garage per sette mesi. Dovevo lavorare per mettere da parte i soldi per proseguire il viaggio. In Libia mi hanno arrestato, un poliziotto mi ha fatto scappare ma ho dovuto lavorare gratis per lui due mesi”.

Il momento più brutto non sono state le torture, né la fame, né quando è rimasto per ore senza dormire sopra a un barcone diretto in Italia per la paura di morire: “E’ stato quando sono arrivato in Senegal, mia madre mi ha chiamato e mi ha detto che mio fratello era morto. Non l’ho potuto neanche salutare, non ho salutato nessuno”.

minori 2Con l’inizio ad ottobre di Mare Nostrum, l’operazione della marina militare impegnata nel controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo, tutti i minori recuperati in mare vengono portati nel comune di Augusta. Le strutture sono al collasso, così i migranti vengono sistemati nel Palazzetto dello Sport della città che solo nel mese di marzo 2014 ne ha accolti 150.  Gli altri 230 sono stati sistemati nelle strutture di prima accoglienza dei comuni di Floridia, Portopalo (Pachino) e Priolo. Dovrebbero rimanere in questi centri poche ore prima di essere trasferiti negli Sprar (sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) se richiedenti asilo o nelle comunità alloggio di tutta Italia. Invece restano lì per mesi.

A Floridia i minori sono stati portati nella casa di cura “Il Don Orione” che ospita malati psichici. Un operatore che lavora nella struttura e che vuole rimanere anonimo racconta: “I pazienti hanno continue crisi perché non sono abituati a vivere con questi ragazzini. Così, vengono imbottiti di farmaci. Non c’è neanche un mediatore culturale. E’ arrivato un bambino di 12 anni con la febbre a 41 anni, dopo giorni hanno scoperto che aveva la malaria”. Il centro fino ad oggi ha accolto un centinaio di minori, solo 15 sono stati trasferiti nelle case famiglie, gli altri sono fuggiti. Di loro si sono perse le tracce.

Il Comune di Augusta, sciolto per mafia nel marzo 2013 e attualmente commissariato,  ha scritto al ministero del Lavoro e delle politiche sociali per chiedere aiuto: “Serve una cabina di regia centrale, che possa regolamentare lo smistamento dei minori in comunità del territorio nazionale”.

Simona Cascio, volontaria di “Accogli Rete”, racconta: “Lo scorso anno sono arrivati più di mille minori non accompagnati solo nella provincia di Siracusa e il territorio non era pronto. La maggior parte di loro scappava. Fino all’8 agosto 2013, erano portati nel centro d’accoglienza Umberto I in una situazione di promiscuità con gli adulti”. Simona e altri volontari hanno così deciso di rivolgersi al Tribunale dei Minori e di diventare i loro tutori.

“Abbiamo consegnato una lista di 13 persone che poi sono diventate 90. Il nostro compito è questo: ognuno di noi prende in carico un minore. Lo aiutiamo con i documenti, lo accompagniamo alle visite mediche o a fare un giro in città, insomma lo seguiamo passo passo. Tutti i tutori vengono formati: fanno incontri con avvocati, psicologi e mediatori culturali”.

“L’assistente sociale di Augusta” continua Simona, “deve seguire mediamente 200 ragazzi. Molte comunità vogliono solo minori nati fra il 1998 e il 2000. Non prendono migranti come Rashid prossimi ai 18 anni”.

Ma il vero problema è uno solo: “L’accoglienza è affidata al terzo settore perché mancano i soldi. Il Palajonio viene gestito dalla Chiesa, dai parroci. Raccolgono coperte, vestiti, cibo. Nei centri come Priolo, sono i tutori, i volontari che si occupano di aiutare i minori nel percorso di integrazione nel territorio, ma questi non sono luoghi dove possono essere accolti”.

“Per noi questi ragazzi hanno dei nomi, delle storie. Sono state vittime di tortura, hanno bisogno di assistenza psicologica. Per l’assistente sociale, che per legge dovrebbe fare un colloquio con il minore e collocarlo nella comunità più adatta, sono solo dei numeri”.

“Questi spazi bianchi accanto ai loro nomi sono i tutori che dobbiamo ancora trovare”, afferma mostrando la lista dei minori appena arrivati ad Augusta. “Ne servirebbero 200. Ci aiutano avvocati, un barbiere che gli taglia i capelli, un fotografo che gli fa le foto per i documenti e poi le suore che raccolgono i vestiti per loro.”

“Molti ci chiedono perché lo facciamo. Non siamo pazzi. Semplicemente non sopportavamo più l’idea che ci fossero minori fantasma. Scappano da queste strutture temporanee perché nessuno li segue, col rischio di finire nella tratta, nella criminalità organizzata. E’ uno “sbattimento” incredibile”, ammette Simona sorridendo,  “ma  le soddisfazioni sono tante. Altri Comuni ci vogliono prendere a modello”.

Rashid per ora, insieme ad altri 127 minori,  rimane a Priolo. Non è facile per lui parlare di futuro anche se ha ancora tutta la vita davanti. “Forse ci saranno cose belle, non lo so, lo spero. Mi piacerebbe fare il muratore. Ma soprattutto vorrei rivedere mia madre. L’ultima volta che l’ho sentita ho pianto”.

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